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turismo storico


N. 103 - Luglio 2016 (CXXXIV)

il territorio del turritano
meraviglie di sardegna
di Cristian Usai

 

La zona del Sassarese, nota come Turritano, area fertile ed estesa, è una delle più grandi province d’Italia. Tracciarne un breve profilo è tuttavia opera proditoria, giacché tante e tali sono le testimonianze relative a questo territorio che si potrebbero riempire decine di volumi.

 

L’arrivo dei romani nel 238 a.C. non cancellò le testimonianze della preesistita cultura sarda: conforme alla propria politica di inglobamento e assimilazione cultuale, Roma riutilizzò molti siti, pur non conoscendone le originarie funzioni, ancor oggi oggetto di discussione (specie per le ciclopiche costruzioni nuragiche). In numerosi nuraghi si ritrovarono, tra la fine dell’800 e il corso del ‘900, numerosi reperti romani, segno di un uso costante delle aree sino al primo millennio inoltrato.

 

Tuttavia, la più preziosa testimonianza d’epoca romana nell’area turritana resta il grande parco archeologico comprendente i resti dell’antica colonia giulia di Turris Libisonis (Porto Torres), con l’annesso Antiquarium Turritano che, assieme al Museo Sanna di Sassari, conservano numerosi e preziosissimi ritrovamenti avvenuti fra i ruderi di quella che duemila anni fa fu una fiorente cittadina, con basilica, terme, botteghe, templi e un porto commerciale attivo al pari di quello cagliaritano e olbiense.

 

Degni di segnalazione sono i numerosi sarcofagi, monete, utensili e monili, sculture monumentali e preziosi mosaici. Numerosi ritrovamenti si sono avuti, invero, in tutto il territorio: un grande acquedotto conduceva l’acqua dalla fonte dell’Eba ciara (Sassari) per 30 chilometri sino a Torres (del quale oggi restano numerosi lacerti lungo il tracciato dell’antica strada di origine romana); tracce di insediamenti sono stati trovati anche a Ossi (necropoli, strade e resti di un tempio dedicato a Giove Dolicheno nonché lingotti in piombo, monete e busti di Giulia Mamea), a Tissi (villa romana con preziosi mosaici e sepolture in sarcofago e alla cappuccina), Sorso (Santa Filitica), Alghero (villa di Sant’Imbenia), Siligo (terme poi riconvertite nella chiesa di Santa Maria di Mesumundu), Sassari (cippi commemorativi entro la cerchia delle mura medievali – l’attuale piazza Tola – monete neroniane nell’area occupata oggi da via Principe di Piemonte e altro), e un vasto insediamento nell’area di San Pietro di Silki, ove è ancora possibile scorgere colonne, capitelli e frammenti architettonici che risalgono addirittura al periodo bizantino (del periodo punico è da segnalare la necropoli di Sant’Antonio a Ossi).

 

Del periodo vandalico si hanno poche tracce (ritrovamenti a Tissi), e così per quello d’Oriente (elementi di reimpiego in diverse chiese romaniche, chiesa di Santa Maria Iscalas (Cossoine), chiesa e affreschi di Sant’Andrea Priu di Bonorva, tesoretto di tremissi longobardi ad Ossi e suppellettili liturgiche presso Ittiri.

 

In questo periodo si edificarono il primo impianto della basilica di San Gavino a Turris e di San Nicola nella futura Sassari, piccolo insediamento che vedrà – al sorgere dell’era giudicale – uno sviluppo tale da far oscurare completamente Torres e il suo prestigio, che si sarebbe ridotta a cumuli di rovine, mentre Thathari in breve tempo, sotto la protezione prima pisana poi genovese, si sarebbe circondata di poderose mura con più di quaranta torri di difesa e (XII-XIII secolo), alle quali si sarebbe aggiunto il poderoso castello aragonese nel corso del Trecento, oggi quasi totalmente scomparso; e, specialmente, si sarebbe dotata di propri Statuti, erigendosi in libero Comune sin dalla fine del Duecento.

 

La Città di Sassari divenne ben presto il polo accentratore della cultura e del potere politico ed ecclesiastico della Sardegna del Nord. I sovrani di Torres, pur godendo di un solido palazzo nel piccolo centro di Ardara, con vicina cappella palatina, avevano una propria residenza anche nella Città e mantenevano pure la primitiva sede regia di Torres, ormai sempre più desolata.

 

Anche gli arcivescovi locali, pur mantenendo sede nella maestosa cattedrale di San Gavino di Torres (il massimo monumento romanico della Sardegna – XI secolo), preferirono ritirarsi nella più sicura Sassari, dove si riedificò l’antica pieve di San Nicola in forme romaniche che ancora si apprezzano nelle fiancate e nei primi due ordini del campanile – XII secolo – e si costruì un nuovo palazzo episcopale).

 

Edifici notevoli del tempo erano il Palazzo di Città e i bellissimi porticati gotici che fiancheggiavano la principale via cittadina ancor oggi in brevi tratti presenti). La dominazione aragonese fruttò a Sassari la conservazione dei privilegi di cui godeva, e il fiorire architettonico che portò all’edificazione (o al rifacimento) di eleganti edifici nobiliari e chiese, fra le quali spiccava l’oggi demolita Santa Caterina d’Alessandria (si notano tracce tuttavia in alcune piccole cappelle private e nelle strutture di alcune chiese del centro storico ampliate in età moderna).

 

Il periodo giudicale fu anche età di grande fioritura artistica: si concentrarono infatti, nel regno turritano, i monasteri più importanti della Sardegna giudicale, come San Michele di Plaiano a Sassari e San Michele di Salvennor a Ploaghe (vallombrosani), Santa Maria di Paulis e Santa Maria di Coros a Ittiri (cistercensi), Santa Maria di Cea a Banari (vallombrosani), Santissima Trinità di Saccargia presso Codrongianos (camaldolesi), Santa Maria Iscalas presso Osilo (camaldolesi), San Nicola di Trullas presso Semestene (camaldolesi), San Pietro di Silki nel villaggio omonimo non lontano da Sassari (monache benedettine pisane), San Pietro di Nurki nella Nurra (cassinesi), Santa Maria di Tergu nel paese omonimo (cassinese), Santa Maria di Campulongu a Sassari (benedettina poi francescana col nome di Santa Maria di Betlem) e molti altri minori ma non di poca importanza.

 

La presenza iberica non fu tuttavia propizia per l’area turritana: se Sassari vide aumentare infatti il suo prestigio, numerosissimi villaggi del suo territorio, compresi tutti i monasteri sovraindicati, scomparvero, decimati dalla peste, dalle guerre e contese fra sardi, genovesi e catalani, e la stessa Turris scomparve nel nulla, divenendo un misero borgo di pescatori.

 

L’arcivescovo ottenne dalla Santa Sede addirittura lo spostamento della cattedra episcopale a Sassari (1441), per evitare i pericoli sempre latenti nel sito della maestosa costruzione, ormai isolata e solitaria su un’altura dinanzi al golfo dell’Asinara, sempre meta di pellegrini da tutta la Sardegna ma troppo esposta ad attacchi e incursioni saracene. Nel frattempo la cattedrale di San Nicola si rimodellava in più ampie forme, e la Città diveniva sempre più popolosa.

 

Dopo le epidemie e le guerre del XV secolo, i villaggi più prosperi dell’area turritana erano proprio quelli che facevano corona al sassarese: Osilo, Ossi, Ittiri, Sorso, Sennori. E se Ozieri e Oschiri provvedevano egregiamente al fabbisogno di carni e formaggi, e le saline del litorale del golfo di Torres garantivano ottimi commerci, il porto della sempre più ampia e ricca città di Alghero prese su di sé molti traffici gestiti dal trascurato porto di Turris, che la Città di Sassari non riusciva a presidiare ottimamente per via della distanza e della desolazione dell’area.

 

Tra ‘500 e ‘600 si installò in Città il Tribunale dell’Inquisizione, si eresse la chiesa rinascimentale di Gesù-Maria per l’appena giunta Compagnia di Gesù (1559), cui si aggiunsero l’Università (1562), la Casa Professa gesuitica e molti conventi (cappuccine, trinitari, serviti, domenicani ecc.), il Seminario Tridentino Turritano (1593) e addirittura il Seminario Tridentino Arborense (1591-1611), eretto a Sassari per il venefico clima malarico della Città di Oristano.

 

Si impiantò inoltre la seconda tipografia dell’Isola (1616) ad opera di Antonio Canopolo, e si eressero i due retabli lignei barocchi più grandi della Sardegna: quello di Gesù-Maria (demolito alla metà del XIX secolo) e quello della Madonna del Rosario, ad oggi il maggiore dell’Isola.

 

Fra le figure di spicco nell’ambiente culturale dell’epoca di Carlo V, Filippo II e Filippo III, spiccano i nomi di Gavino Farina (medico di fama europea), Gerolamo Araolla (poeta), Joan Bilevelt (pittore gesuita fiammingo), Baccio Gorini (pittore fiorentino esule in Sardegna), Alessio Fontana (ministro di Carlo V e fondatore dell’Università turritana), Antonio Canopolo, vescovo e munifico benefattore dell’Università e della Città, Pietro Quesada-Pilo (giurista e cattedratico di Leggi), Andrea Manca (arcivescovo e benefattore dei poveri), e molti altri. Il Seicento fu tuttavia anche l’epoca della grande peste che nel 1652 ridusse drasticamente la popolazione del Logudoro, che solo dopo qualche anno riuscì a incrementare le proprie fila.

 

Nel funesto evento fu riformulato nel capoluogo turritano un Voto all’Assunta per la liberazione dalla peste, effettivamente scomparsa di quattro mesi circa di furiosa ecatombe. Per l’occasione si promise di offrire ogni anno alla Vergine dei ceri, in rappresentanza delle categorie lavorative della Sassari di allora.

 

Diventati nel tempo monumentali colonne lignee riccamente adornate, con la loro pittoresca sfilata nel centro storico cittadino che si svolge il 14 agosto, sono stati dichiari Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 2014.

 

Lo stesso voto si formulò anche a Nulvi e Ploaghe, e ancora si mantiene. Il Settecento vide sorgere, durante la breve parentesi austriaca, la bella chiesa classicista di San Michele, ancora ornata dall’aquila bicipite asburgica, il completamento della facciata monumentale del Duomo cittadino (il prospetto più grande e scenografico dell’intera Isola) e la costruzione di eleganti dimore signorili, come il palazzo del duca Manca dell’Asinara oggi sede del Comune.

 

Ma fu anche periodo di torbidi: la città e i paesi limitrofi furono coinvolti nella ribellione antifeudale guidata da Giovanni Maria Angioy, e vessati dal cattivo governo del marchese Allì di Maccarani, che portò nel 1780 a gravi tumulti e alla distruzione di importanti sezioni dell’Archivio Storico cittadino, così come avvenuto nel 1527 con l’invasione francese.

 

Nel 1765 si riformò l’Università sotto la guida del ministro Lorenzo Bogino, e da quel momento fu sempre premura della Casa Reale che le istituzioni scolastiche ed accademiche cittadine fossero sempre al pari di quelle di terraferma.

 

Dopo la cacciata dei gesuiti nel 1848 il Seminario Tridentino di Oristano divenne Convitto Nazionale con scuole di ogni grado; l’Università si aprì a numerosi e più vari insegnamenti e l’aria liberale e costituzionale diede all’intera area turritana nuovo vigore.

 

Nacquero in questi anni le prime industri di saponi, concerie, vetrerie e manifatture di stoffe, cui si sarebbero aggiunti i famosi mulini e pastifici che ancora si notano nella zona industriale storica alla periferia di Sassari.



 

 

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