N. 20 - Gennaio 2007
TURCHIA E UE:
UN DIFFICILE NEGOZIATO
Integrazione e allargamento dell’Europa
di
Valeria Crescenzi
A poco più di un anno di
distanza dal 3 ottobre 2005, data che segnava
l’apertura ufficiale dei negoziati per l’adesione
della Turchia all’Unione europea, lo scorso 29
novembre la Commissione ha deciso, in una sua
raccomandazione indirizzata al Parlamento Europeo, di
sospendere parzialmente le trattative. In particolare
saranno congelati i negoziati circa 8 capitoli dei 35
previsti dal processo di adesione.
Tali capitoli riguardano
la libera circolazione dei beni, la pesca, il diritto
di stabilimento e di fornitura di servizi, la politica
dei trasporti, l’agricoltura e lo sviluppo rurale,
l’unione doganale e le relazioni esterne.
La recente decisione
della Commissione europea è espressione delle
difficoltà e delle perplessità che da sempre
accompagnano il negoziato con la Turchia. I rapporti
tra quest’ultima e l’Unione europea affondano le loro
radici nel 1959, anno in cui il premier Menderes
presentava domanda di associazione alla CEE.
Le relazioni tra la
Comunità e la Turchia si consolidarono ulteriormente
nel 1963 quando il governo turco ottenne un Accordo di
associazione meglio conosciuto come “Accordo di
Ankara”. Fondato sull’art. 238 del TCE, tale tipologia
di accordo costituisce una sorta di anticamera
all’entrata nella Comunità.
Le informazioni di
carattere storico poco sopra fornite, costituiscono le
coordinate essenziali per inquadrare cronologicamente
l’origine delle relazioni tra l’Unione ed Ankara, ma
ciò che è più interessante è soffermarsi sul dibattito
che si è venuto sviluppando negli ultimi due anni in
seguito alla decisione, presa durante il Consiglio
europeo di Helsinki del 1999, di conferire alla
Turchia lo status di candidato.
Affinché un Paese possa
presentare domanda di adesione all’UE è necessario che
soddisfi i cosiddetti “criteri di Copenaghen”. Essi
richiedono che vengano rispettate determinate
condizioni quali: democrazia con istituzioni stabili,
rispetto dei diritti umani e delle minoranze etniche;
economia di mercato funzionante e in grado di
sostenere la competitività del mercato unico; capacità
di acquisizione dell’intero acquis communautaire.
Alla data del 3 ottobre
2005 i venticinque Paesi membri dell’Unione
stabilirono all’unanimità che la Turchia, grazie alle
riforme apportate dal governo Erdogan, era stata in
grado di soddisfare i primi due criteri
precedentemente menzionati.
Nonostante il parere
favorevole della Commissione, venne specificato che il
processo di adesione turco sarebbe durato circa un
decennio e che su alcuni settori chiave come la libera
circolazione dei lavoratori e la politica agricola,
sarebbero state necessarie intese bilaterali
specifiche.
Dal punto di vista
formale quindi, il negoziato con Ankara sembra
rispettare il percorso già seguito precedentemente da
altri paesi, ma dal punto di vista strettamente
sostanziale è ancora ben lontano dal concludersi. Il
negoziato presenta caratteri del tutto originali che
si accompagnano, come vedremo, allo scetticismo e alle
paure, più o meno fondate, dell’opinione pubblica
europea.
Come è stato detto
precedentemente, alcune cautele sono state
immediatamente proposte dalla Commissione nel momento
stesso in cui venne stabilito che i negoziati
ufficiali potevano essere avviati. Diverse sono le
ragioni alla base di tale atteggiamento.
Innanzitutto l’entrata
della Turchia comporterebbe un aumento della
popolazione europea di ben 73 milioni circa di persone
(pari al peso demografico degli ultimi 10 paesi nuovi
entrati). Questo comporterebbe uno stravolgimento
degli equilibri venutisi a creare all’interno
dell’Unione, dal momento che la Turchia avrebbe una
popolazione sostanzialmente pari a quella della
Germania con conseguente necessità di rivedere i
meccanismi di ponderazione dei voti in seno al
Consiglio e la distribuzione dei seggi all’interno del
Parlamento europeo. Il peso demografico della Turchia
avrebbe inoltre ripercussioni economiche notevoli se
si considera che gli standard di vita della
popolazione turca sono più bassi rispetto agli
standard di molti degli Stati membri.
Ma ciò che spaventa
maggiormente l’opinione pubblica è che questi nuovi
cittadini dell’Unione siano di religione musulmana.
La Turchia può essere
probabilmente considerata il Paese della regione
mediorientale che più ha cercato di avvicinarsi al
modello occidentale di democrazia e che presenta
caratteri di laicità delle istituzioni, così come
dichiarato nel preambolo della Costituzione del 1982.
Nella realtà però, tale principio non viene
rispettato.
Lo Stato è di fatto il
gestore della vita religiosa attraverso l’azione della
Presidenza degli affari religiosi da cui dipendono
gli Imam e i funzionari delle moschee. In tal modo,
l’obiettivo di evitare un abuso della religione ha
portato ad un risultato opposto favorendo invece una
compenetrazione tra vita politica e vita religiosa.
Al di là della questioni
religiose, culturali e demografiche che
inevitabilmente influenzano il processo di adesione
della Turchia, sul tavolo delle trattative vi sono tre
questioni irrisolte molto delicate, una delle quali,
in particolare, è stata alla base della decisione
della Commissione di congelare parzialmente i
negoziati.
La prima questione è
quella concernente la non volontà della Turchia di
riconoscere il genocidio armeno. Secondo Ankara si
trattò di vittime della guerra e chiunque non sia in
accordo con la versione dello Stato, è perseguibile
secondo le leggi dello stesso.
La seconda questione
attiene alla condizione della minoranza Curda. In
particolare sono state ripetutamente denunciate
violazioni dei diritti umani, pertanto la minoranza
chiede la separazione dal governo centrale e la
creazione di un Kurdistan indipendente.
La terza questione,
riguarda il persistere dell’occupazione turca di parte
dell’isola di Cipro e il rifiuto di riconoscerne la
relativa Repubblica democratica, peraltro già membro
dell’Unione europea. A livello diplomatico,le
trattative restano ferme al 1974, anno dell’invasione
da parte dell’esercito turco in conseguenza di un
colpo di stato greco-cipriota appoggiato dai
colonnelli al potere ad Atene.
Il tentativo di
riunificazione dell’isola tramite un referendum
patrocinato dall’ONU nel 2004 e miseramente fallito a
causa dell’opposizione del leader greco-cipriota
Tassos Papadopoulos, ha portato alla chiusura, da
parte turca, dei porti e degli aeroporti alle navi e
agli aerei provenienti dalla Cipro greca.
La posizione dell’Unione
è stata cristallina: fino a che la Turchia si
rifiuterà di riconoscere la legittimità della parte
meridionale di Cipro, i negoziati non andranno avanti.
A sostegno della linea perseguita dalla Commissione si
aggiungono le perplessità di alcuni dei Paesi membri.
Ancora una volta
l’Europa si trova sostanzialmente divisa in due
schieramenti: chi è favorevole all’entrata della
Turchia come l’Italia e la Gran Bretagna, le quali
invitano le istituzioni comunitarie alla cautela, e
chi invece è contrario come Germania, Austria, Francia
e Olanda che sono più orientate ad un congelamento
totale delle trattative e condividono l’idea che con
la Turchia si debba costruire solo una partnership
privilegiata.
Dal momento che le
problematiche sono molteplici e decisamente delicate,
non è possibile giungere ad una conclusione in tempi
brevi della questione.
Si possono però trarre
alcune conclusioni parziali tenendo conto della
delicata situazione in cui versa l’Unione europea. In
seguito ai risultati negativi dei referendum in
Francia e Olanda sulla ratifica della Costituzione
europea, si è riproposto il dibattito tra allargamento
e approfondimento. Ebbene, il processo di allargamento
alla Turchia costituisce un tema strettamente
interconnesso con il dibattito sul futuro dell’UE.
Dal punto di vista
geostrategico inglobare la Turchia significherebbe,
per l’Europa, poter agire in una regione cruciale per
gli equilibri mondiali a venire. Si eviterebbe inoltre
che la Turchia si rivolga a paesi che l’Unione
percepisce come pericolosi. Di non secondaria
importanza, inoltre, è il ruolo di cuscinetto da
sempre svolto dalla Turchia nel dividere il mondo
mediorientale dall’ex Unione sovietica.
In materia di
approvvigionamenti poi, la Turchia, attraverso
l’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyan, di recente costruzione,
è destinata a diventare la quarta arteria di afflusso
di risorse energetiche dell’Unione. Ciò potrebbe
comportare, ad esempio, un mutamento negli equilibri
internazionali tra l’Unione e l’ex gigante sovietico.
In conclusione, vorrei
porre ai lettori una riflessione capovolgendo i ruoli
giocati dalle parti in causa. È stato già affermato
che la maggioranza dell’opinione pubblica europea non
desidera che la Turchia entri a far parte dell’UE, ma
la questione è: la Turchia vuole realmente entrare in
Europa?
Sono i Turchi pronti ad
accettare le condizioni e le responsabilità che questa
scelta comporta? Il compromesso è alla base di ogni
sincera relazione democratica e la democrazia è a sua
volta pre-condizione essenziale per aderire al
progetto Europa.
Se la Turchia non è in
grado di far propri tali presupposti non è plausibile
immaginare la costruzione di un rapporto stabile e
sicuro con un paese-ponte con il medio oriente che,
più di tutti, deve essere in grado di garantire
l’adesione effettiva a questi principi. |