N. 149 - Maggio 2020
(CLXXX)
IL
PAESE
DEL
SILENZIO
La
Turchia
alla
disperata
ricerca
di
riforme
e di
modernizzazione
di
Leila
Tavi
La
Turchia
ha
ancora
un
disperato
bisogno
di
riforme
e di
modernizzazione,
come
negli
anni
Venti
del
secolo
scorso,
quando
furono
introdotte
nel
Paese
in
modo
improvviso
e
violento,
causando
divisioni
e
fratture
interne.
Nella
Turchia
di
oggi,
come
in
quella
Casa
del
silenzio
che
lo
scrittore
turco
Orhan
Pamuk
scrisse
nel
1983,
manca,
o
sarebbe
meglio
dire
viene
impedita,
la
comunicazione
tra
generazioni,
classi
sociali,
gruppi
politici.
Il
monologo
è la
forma
di
comunicazione
utilizzata
dal
regime
per
la
propaganda,
mentre
il
monologo
interiore
è
l’unica
vera
dolorosa
forma
di
espressione
permessa
al
popolo.
I
Turchi
sono
terribilmente
soli
e
isolati
in
case
silenziose
e il
lockdown
ha
acuito
questo
isolamento.
La
mancata
comunicazione
porta
a
incomprensione,
odio
e
violenza.
Qualche
giorno
fa
il
silenzio
è
stato
rotto
nella
ribelle
Smirne,
dove,
nel
cuore
della
notte,
in
pieno
Ramadan,
l’adhan,
la
consueta
chiamata
sacra
alla
preghiera
islamica
che
si
fa
con
un
altoparlante
posto
sui
minareti,
è
stato
sostituito
dall’inno
partigiano
italiano,
Bella
Ciao,
nella
versione
turca
Cav
Bella
cantata
dai
Grup
Yorum.
Il
gruppo
folk,
nato
in
un
quartiere
popolare
di
Istanbul,
è
tristemente
noto
a
livello
internazionale
per
i
tre
componenti
del
gruppo
morti
a
seguito
di
uno
sciopero
della
fame
durato
trecento
giorni:
Helin
Bolek,
voce
solista,
Ibrahim
Gokcek,
bassista,
e
Mostafa
Kocak,
chitarrista.
Al
gruppo
erano
state
mosse
accuse
di
appoggiare
gruppi
terroristici,
un’accusa
“classica”
del
regime
riservata
a a
intellettuali
e
artisti
non
allineati.
La
canzone
Cav
Bella
chiudeva
ogni
loro
concerto
e il
regime
ha
presto
messo
a
tacere
il
gruppo
e
censurato
la
canzone
rivoluzionaria,
che
è un
simbolo
identitario
per
il
popolo
curdo,
che
da
anni
lotta
per
l’affermazione
del
diritto
a
esistere,
a
essere
riconosciuto
come
una
minoranza
rispettata.
Mentre
tutti
erano
isolati
in
casa
per
le
restrizioni
imposte
dal
contenimento
sociale
per
combattere
il
COVID-19,
nelle
vie
di
Sirme
ha
risuonato
Bella
Ciao
nella
versione
turca,
rompendo
il
silenzio
e
l’isolamento
della
notte
e da
lì è
stata
amplificata
attraverso
i
social
e la
sua
eco
ha
raggiunto
tutte
le
case
turche.
L’emergenza
sanitaria
ha
complicato
ulteriormente
la
già
precaria
situazione
socio-politico-economica
in
Turchia,
come
ha
raccontato
il
giornalista
Erdinc
Ergenc
alla
nostra
redazione: «Le
misure
COVID-19
sono
iniziate
con
un
incidente
di
percorso
in
Turchia.
Il
primo
coprifuoco
del
fine
settimana
è
stato
annunciato
solo
due
ore
prima
dell'inizio,
il
che
ha
causato
il
panico
tra
la
gente
e
milioni
di
persone
si
sono
riversate
nel
cuore
della
notte
in
strada
per
fare
scorte
di
cibo
e di
acqua
potabile.
Tuttavia,
questi
coprifuoco
nel
fine
settimana
hanno
giocato
un
ruolo
vitale
nel
mantenere
i
numeri
del
contagio
relativamente
bassi.
Tutti
sanno
che
i
numeri
dei
test
sono
ancora
bassi,
anche
perché
molte
persone
non
hanno
la
possibilità
di
accedere
a
questi
test.
Quindi
i
dati
ufficiali
non
rappresentano
tutta
la
verità.
Anche
se
il
governo
non
può
distorcere
i
dati,
di
sicuro
non
corrispondono
a un
quadro
complessivo,
come
in
altre
parti
del
mondo.
Ciò
che
è
più
pericoloso
è il
crescente
autoritarismo
che
sta
attanagliando
la
Turchia.
Ci
sono
oltre
cento
giornalisti
in
carcere,
molti
solo
per
aver
criticato
il
presidente.
Più
di
migliaia
di
attivisti
per
i
diritti
umani,
avvocati,
studenti
e
dissidenti
sono
in
grave
pericolo
di
vita,
con
la
rapida
diffusione
del
virus.
In
generale,
i
social
media
sono
monitorati
e a
rischio
censura,
mentre
i
dissidenti
sono
minacciati
di
morte
o di
essere
incarcerati.
Mentre
pian
piano
si
stanno
allentando
le
restrizioni
per
il
COVID-19,
non
si
vede
nessun
segno
di
allentamento
del
governo
autoritario
sulla
società
civile».
Un
Paese
tormentato
e
insonne,
la
Turchia,
come
nel
romanzo
di
Pamuk,
come
uno
dei
suoi
protagonisti,
Fatma,
che
trascorre
ogni
notte
da
sola
nel
suo
letto
a
guardare
per
ore
il
soffitto
o
gli
oggetti
della
stanza
che
trascorrono
con
lei
la
lunga
notte
e
che
sono
i
suoi
unici
compagni
di
vita:
la
spalliera
del
letto,
una
spazzola,
una
caraffa,
una
chiave,
una
bottiglia
di
colonia,
un
giornale,
un
fazzoletto,
una
sveglietta,
tutti
al
loro
posto,
tutti
immobili.
Fatma
li
osserva
in
modo
ossessivo,
mentre
il
suo
pensiero
è
inodore,
insapore,
pietrificato,
come
un
blocco
di
ghiaccio.
Fatma
resta
in
attesa
di
ricevere
un
messaggio,
un
segno,
che
quei
solitari
compagni
rompano
il
silenzio
della
notte,
ma
quegli
oggetti
così
familiari,
che
le
hanno
già
riportato
alla
mente
così
tanti
ricordi
nelle
interminabili
notti
trascorse
insieme,
non
hanno
più
nulla
da
dire,
allora
Fatma
ogni
tanto
guarda
fuori
dalla
finestra
per
rompere
la
monotonia,
ma
l'esperienza
le
ha
insegnato
che
è
improbabile
riuscire
a
vedere
qualcosa
di
incoraggiante:
«C'è
stato
un
tempo
in
cui
pensavo
che
il
mondo
fosse
un
bel
posto,
ero
una
bambina,
ero
stupida.
Ho
chiuso
le
tende,
ho
premuto
forte
la
maniglia
della
finestra.
Che
il
mondo
rimanga
là
fuori».
Il
popolo
turco,
ancora
una
volta
nella
storia,
si
trova
in
una
difficile
condizione
sociale
e
civile,
diviso
tra
coloro
che
professano
il
culto
della
persona
di
Erdoğan
e
coloro
che
lo
lo
vedono
come
la
principale
minaccia
del
Paese.
Erdoğan,
ancora
più
che
Atatürk
nel
1923,
vorrebbe
una
Turchia
a
sua
immagine
e
somiglianza,
ma
fino
a
che
la
Turchia
avrà
un’anima
democratica
la
personale
“rivoluzione”
di
Erdoğan
non
sarà
mai
compiuta.