N. 138 - Giugno 2019
(CLXIX)
IL CURIOSO CASO GIUDIZIARIO DEL FILANTROPO OSMAN KAVALA
ANCORA DIRITTI VIOLATI IN TURCHIA
di Leila Tavi
Lo
stimato
intellettuale
e
uomo
d’affari
Osman
Kavala,
accusato
di
aver
finanziato
e
ideato
le
proteste
del
parco
di
Gezi
nel
2013
a
Istanbul,
è
comparso
davanti
alla
corte
del
tribunale
di
massima
sicurezza
di
Silivri
il
24 e
25
giugno
scorsi,
dopo
essere
stato
in
custodia
cautelare
per
oltre
600
giorni.
Insieme
a
lui
altre
quindici
persone
dietro
al
banco
degli
imputati,
in
un
caso
giudiziario
che
sarà
ricordato
a
lungo
in
Turchia
e
che
rispecchia
la
profonda
crisi
dello
Stato
di
diritto,
nonché
dei
diritti
umani,
in
un
Paese
dalla
deriva
autoritaria,
dove
la
separazione
dei
poteri
non
è
più
garantita
e il
governo
mette
sistematicamente
il
bavaglio
a
chi
è
critico
nei
suoi
confronti.
L’illuminato
imprenditore
di
sessantadue
anni
rischia
il
carcere
a
vita,
ma è
apparso
davanti
alla
corte
fiero,
sicuro
di
sé e
sereno,
addirittura
durante
l’interrogatorio
ha
ironizzato
sul
fatto
che
di
certo
non
ha
né i
modi,
né
l’aspetto
di
uno
che
vuole
sovvertire
l’ordine
e
che
il
suo
supporto
alle
proteste
del
2013
si è
limitato
alla
fornitura
di
panini
e
qualche
bibita
per
rifocillare
i
partecipanti.
Ha
ricordato,
durante
la
sua
difesa,
che
l’intento
delle
persone
che
hanno
preso
parte
alla
manifestazione
di
Gezi
è
stato
quello
di
preservare
un
parco
storico
di
Istanbul
da
speculazioni
edilizie.
Tra
gli
altri
imputati
un
collaboratore
e
amico
di
vecchia
data
di
Kavala,
l’attivista
Yiğit
Aksakoğlu,
che
lo
aiutava
nella
gestione
di
una
fondazione
per
lo
sviluppo
di
servizi
educativi
per
la
prima
infanzia
prima
del
loro
arresto.
Nell’aula
del
tribunale
centinaia
sedevano
tra
gli
spalti
del
pubblico:
amici
e
sostenitori
degli
imputati,
osservatori
di
organizzazioni
a
tutela
dei
diritti
umani,
diplomatici,
giornalisti
e
politici
occidentali,
avvocati
per
i
diritti
umani
lì
convenuti
da
tutta
la
Turchia,
a
riprova
del
fatto
che
testimoni
vigilano
sullo
svolgimento
dei
processi
farsa
che
dal
mancato
colpo
di
Stato
del
2016
si
succedono
in
Turchia
con
un
ritmo
frenetico
e
solo
grazie
al
loro
contributo
è
possibile
avere
notizie
obiettive
sullo
svolgimento
dei
processi.
Oltre
seicentocinquanta
pagine
compongono
l’atto
di
accusa
per
provare
che
le
sedici
persone
sotto
accusa,
tra
i
quali
intellettuali
e
artisti
noti,
hanno
organizzato
quello
che
il
governo
turco
ritiene
essere
stato
il
“complotto”
di
Gezi,
ma
che
in
realtà
è
stata
solo
una
protesta
spontanea
e
pacifica
di
cittadini
che
manifestavano
per
preservare
uno
dei
parchi
storici
di
Istanbul
ed
evitare
la
costruzione
al
suo
interno
di
un
grande
centro
commerciale,
ma
che
è
degenerata
con
l’intervento
della
polizia
che
ha
utilizzato
gas
lacrimogeni
e
manganelli
per
disperdere
la
folla.
Tra
le
vittime
un
ragazzo
di
soli
quattordici
anni,
colpito
con
violenza
alla
testa
da
una
bombola
di
gas
lacrimogeno
lanciata
da
un
poliziotto.
Molte
le
similitudini
con
le
proteste
avvenute
all’inizio
di
maggio
scorso
nella
città
russa
degli
Urali
Ekaterinburg,
dove
centinaia
di
persone
hanno
dimostrato
nel
parco
al
centro
della
città
per
impedire
la
costruzione
di
una
cattedrale
al
suo
interno.
La
protesta
è
stata
subito
repressa
e
ventisei
sono
state
le
persone
arrestate.
Alla
fine
del
secondo
giorno
del
processo
Aksakoğlu
è
stato
rilasciato
su
cauzione,
mentre
per
Kavala
è
stata
confermata
la
custodia
cautelare
fino
alla
prossima
udienza,
che
si
terrà
il
18 e
il
19
luglio,
giorni
in
cui
il
processo
è
stato
aggiornato.
Il 3
luglio
l’EUDEL
(Delegation
of
the
European
Union
to
Turkey)
ha
dichiarato
che
Kavala
non
può
più
essere
detenuto
ancora
senza
che
un
regolare
processo
abbia
accertato
la
sua
colpevolezza.
Luglio
segna
il
sedicesimo
mese
di
carcerazione
per
il
presidente
del
consiglio
di
amministrazione
dell’associazione
Anadolu
Kültür,
fondata
da
Kavala
nel
2002
allo
scopo
di
ideare
e
diffondere
progetti
culturali
in
Turchia
e
all’estero.
Kavala
è
stato
preso
in
custodia
dalle
forze
dell’ordine
il
18
ottobre
2017
e
arrestato
all’alba
del
1°
novembre
dello
stesso
anno
con
l’accusa
di
voler
sovvertire
l’ordine
costituzionale
del
suo
Paese
e
impedire
al
governo
turco
di
adempiere
ai
suoi
doveri.
Si
tratta
di
capi
d’imputazione
generici,
ma è
indubbio
che
Kavala
sia
un
personaggio
scomodo
per
il
regime
turco,
per
il
suo
modo
occidentale
e
libero
di
vedere
la
politica,
incentrato
sui
diritti
personali
e
per
la
memoria
storica
che
l’imprenditore
vuole
fortemente
far
rivivere
in
senso
progressista.
Pensiamo
per
esempio
al
genocidio
armeno,
all’eterogeneità
dell’Anatolia,
alla
persecuzione
degli
ebrei
durante
la
Repubblica
kemalista,
finora
negati
dalle
autorità.
Altre
sono
inoltre
le
questioni
che
Kavala
vuole
portare
all’attenzione
a
livello
nazionale
e
internazionale,
come
il
dramma
degli
sfollati,
dei
rifugiati,
degli
espulsi,
dei
bambini
che
il
convulso
turbinio
di
eventi
economici
e
sociali
ha
costretto
a
vivere
per
la
strada
nelle
grandi
città,
abbandonati
a se
stessi,
soprattutto
a
causa
dell’esodo
dalle
campagne
provocato
dagli
scontri
tra
l’esercito
turco
e il
PKK
tra
il
2015
e il
2016
nel
sud-est
del
Paese,
regione
a
maggioranza
curda.
Kavala
ha
cercato
inoltre
di
creare
una
memoria
culturale
per
la
Turchia,
alla
ricerca
ancora
dei
suoi
artisti
di
riferimento,
come
per
la
Francia
Molière
e
Renoir,
o
per
l’Italia
Dante
e
Leonardo,
ma
che
non
siano
rappresentativi
di
una
sola
cultura,
ma
dell’eterogeneità
turca,
che
non
può
escludere
l’identità
curda
e
quella
di
tutte
le
altre
minoranze.
L’uomo
d’affari
ha
deciso
nella
seconda
metà
degli
anni
Novanta
del
secolo
scorso
di
non
proseguire
la
carriera
del
padre
in
finanza,
ma
di
dedicarsi
al
mecenatismo
culturale,
interessandosi
alle
espressioni
artistiche
degli
armeni,
degli
assiri,
dei
curdi,
dei
greci,
dei
rom,
dei
siriani,
che
hanno
abitato
nella
storia
il
territorio
dell’impero
ottomano
prima
e
della
repubblica
turca
successivamente,
per
dare
voce
alle
minoranza
oppresse,
per
farle
riconoscere
come
parte
integrante
della
cultura
turca.
Due
eventi
sono
stati
fondamentali
per
scoperta
della
“vocazione”
filantropica
di
Kavala:
la
conferenza
sull’ambiente
dell’ONU
del
3-14
giugno
1996
a
Istanbul
e il
terribile
terremoto
del
17
agosto
1999,
con
oltre
17.000
vittime,
50.000
feriti
e
migliaia
di
dispersi
nel
nord-ovest
della
Turchia.
La
conferenza
del
1996
ha
permesso
alle
poche
ONG
turche
attive
all’epoca
di
entrare
in
contatto
con
le
grandi
ONG
internazionali
per
collaborare
con
loro,
Kavala
fu
all’epoca
figura
fondamentale
per
il
dialogo
tra
le
ONG
locali
e
quelle
internazionali.
Kavala
si
era
formato
agli
inizi
degli
anni
Ottanta
prima
a
Manchester,
poi
a
New
York
e le
sue
posizioni
politiche
erano
già
a
quell’epoca
progressiste.
Era
un
simpatizzante
della
rivista
Birikim,
che
fu
fatta
chiudere
dal
regime
militare
nel
1980.
Alla
morte
del
padre
per
arresto
cardiaco
nel
1982,
Kavala
propose
a
Murat
Belge
e
alla
redazione
di
Birikim
di
creare
un’agenzia
di
stampa
indipendente
dal
nome
di
Iletisim,
che
il
giovane
filantropo
sostenne
senza
far
parte
attivamente
del
progetto.
Da
quegli
anni
in
poi
Kavala
si è
speso
affinché
la
cultura
diventasse
un
veicolo
di
democrazia
e di
giustizia
sociale,
senza
imbracciare
fucili,
in
silenzio,
ha
iniziato
un
percorso
che
lo
ha
portato
a
essere
oggi
una
figura
stimata
e
apprezzata
dal
suo
popolo
e
all’estero.
Kavala
è
l’uomo
di
punta
l’opposizione
pacifica,
democratica
e
pluralista
a un
regime
autoritario
e
caratterizzato
da
un
oscurantismo
religioso,
che
teme
il
cambiamento
che
Osman
Kavala
può
incarnare.
La
sua
incarcerazione
è
stato
un
atto
dimostrativo
da
parte
del
regime
turco,
che
così
ha
voluto
ancora
una
volta,
come
per
il
caso
dei
giornalisti
del
Cumhuryet,
dei
quali
abbiamo
parlato
ampiamente
nei
mesi
scorsi,
imbavagliare
la
società
civile
e
fiaccare
la
sua
resilienza.