N. 118 - Ottobre 2017
(CXLVIII)
TURCHIa, LIBERTÀ DI STAMPA NEGATA
Il Leak Trial e il traffico di petrolio del genero di Erdoğan
di Leila Tavi
La mattina di martedì 24 ottobre 2017 nel tribunale Çaglayan di Istanbul si è svolta la prima udienza del processo a sei giornalisti accusati di aver divulgato delle informazioni “riservate” si Stato.
Le
informazioni
a
cui
si
fa
riferimento
sono
state
ricavate
dai
messaggio
di
posta
elettronica
di
Berat
Albayrak,
ministro
dell’Energia
e
delle
Risorse
Naturali
turco,
nonché
genero
del
presidente
Recep
Tayyip
Erdoğan.
Il
caso
è
stato
soprannominato
tra
i
giornalisti
esteri
che
seguono
la
vicenda
Albayrak
Leaks.
I
sei
giornalisti
sono
stati
inoltre
accusati
di
collusione
con
alcune
organizzazioni
terroristiche
locali,
la
stessa
accuse
mosse
ad
altri
redattori
di
quotidiani
implicati
in
altri
processi,
come
quello
nei
confronti
di
alcuni
giornalisti
dello
storico
quotidiano
Cumhuriyet,
che
ha
avuto
maggiore
rilevanza
mediatica
a
livello
internazionale.
Dei
sei
giornalisti,
arrestati
il
25
dicembre
2016,
tre
sono
attualmente
in
regime
di
libertà
vigilata
(Derya
Okatan,
Eray
Sargin
e
Metin
Yoksu),
ma
gli
altri
tre
hanno
scontato
una
detenzione
di
oltre
trecento
giorni
prima
di
comparire
davanti
al
giudice.
I
tre
giornalisti
incarcerati
sono:
Ömer
Çelik,
capo
redattore
di
attualità
dell’agenzia
di
stampa
pro-curda
Dicle,
Mahir
Kanaat,
del
Birgün
Gazetesi,
un
quotidiano
di
sinistra,
e
Tunca
Öğreten,
ex
redattore
del
portale
online
di
opposizione
Diken.
Le
email
dell’account
di
posta
del
ministro
sono
state
rese
pubbliche
da
WikiLeaks
il 5
dicembre
2016;
si
tratta
di
57.934
email
che
riguardano
la
corrispondenza
dall’aprile
2000
al
23
settembre
del
2016,
tra
cui
messaggi
che
riguardano
il
fallito
colpo
di
Stato
del
15
luglio
2016.
Albayrak
ha
avuto
in
quel
periodo
un
fitto
scambio
di
messaggi
con
membri
del
governo,
uomini
d’affari
e
parenti.
Il
23
settembre
il
gruppo
di
hacker
turchi
di
orientamento
marxista
chiamato
RedHack
ha
diffuso
un
comunicato
in
cui
minacciava
di
diffondere
in
rete
i
leaked
file,
se
il
governo
non
avesse
rilasciato
alcune
personalità
legate
alla
sinistra,
tra
le
quali
Aslı
Erdoğan,
scrittrice
e
attivista
per
i
diritti
umani,
e
Alp
Altınörs,
nel
direttivo
del
partito
HDP
(Halklarin
Demokratik
Partisi).
Non
avendo
ricevuto
risposta
dal
governo,
gli
hacker
turchi
hanno
reso
disponibili
le
email
di
Albayrak
su
Google
Drive
e
Dropbox,
ricevendo
come
risposta
dal
governo
turco
la
censura
sull’accesso
a
internet
attraverso
Google
Drive,
Dropbox,
Microsoft
Cloud
e
Github,
seguita
dall’arresto
di
sospetti
appartenenti
al
gruppo
RedHack.
Alcuni
messaggi
di
posta
elettronica
del
ministro
proverebbero
il
suo
coinvolgimento
in
alcuni
affari
gestiti
dalla
società
petrolifera
Powetrans,
fondata
nel
2011
e
con
il
monopolio
per
il
trasporto
di
petrolio
dal
Kurdistan
iracheno
verso
la
Turchia.
Tra
il
2014
e il
2015
la
stampa
indipendente
turca
ha
portato
all’attenzione
dell’opinione
pubblica
un
coinvolgimento
del
governo
turco
in
traffici
di
petrolio
acquistato
dallo
Stato
Islamico
dell’Iraq
e
del
Levante.
Tra
i
giornalisti
che
hanno
dato
maggiore
risalto
alla
notizia
troviamo
Tunca
Öğreten.
Le
email
di
Albayrak
sono
state
una
conferma
delle
accuse
mosse
dai
giornalisti
indipendenti
all’entourage
di
Erdoğan,
oltre
a
costituire
una
prova
tangibile
dei
ripetuti
tentativi
del
governo
di
controllare
i
mezzi
di
comunicazione
di
massa
e i
social
media.
In
particolar
modo,
i
social
media
sono
stati
largamente
utilizzati
come
mezzo
di
comunicazione
e
diffusione
delle
notizie
durante
le
sollevazioni
di
popolo
del
2013
contro
Erdoğan.
Il
governo
ha
da
allora
utilizzato
la
tecnica
delle
infiltrazioni
attraverso
fake
news
e
falsi
profili
come
mezzo
di
propaganda.
A
seguito
del
fallito
colpo
di
Stato
del
luglio
2016
il
governo
ha
iniziato,
inoltre,
un’epurazione
di
giornalisti
e di
intellettuali
senza
precedenti,
molti
sono
stati
gli
arresti
per
collusione
con
organizzazioni
terroristiche.
Nel
processo
iniziato
martedì
24
ottobre
Tunca
Öğreten
è
stato
accusato
di
simpatizzare
con
il
gruppo
terrorista
armato
DHKP-C,
connesso
con
RedHack,
e di
avere
contatti
con
il
movimento
Gülen,
fondato
dal
politologo
Fethullah
Gülen
e
considerato
dal
governo
turco
come
un’organizzazione
terroristica
denominata
Fethullahçı
Terör
Örgütü
(FETÖ).
Anche
Kanaat
è
stato
accusato
di
avere
legami
con
FETÖ,
sulla
base
di
alcuni
documenti
ritrovati
sul
suo
cellulare,
che
proverebbero
il
fatto
di
essere
venuto
in
possesso
di
informazioni
riservate
su
membri
del
governo
attraverso
FETÖ
e di
essere
in
contatto
sui
social
con
altri
gruppi
terroristici,
come
il
Marksist-Leninist
Komünist
Partisi
(MLKP).
Inoltre
i
sei
giornalisti
sono
stati
accusati
di
manipolare
le
informazioni,
di
distruggere
dati
e di
interferire
nel
sistema
d’informazione.
Çelik
ha
deciso
invece
di
non
difendersi
da
accuse
che
considera
essere
«basate
sul
nulla»;
il
giornalista
ha
incentrato
il
suo
discorso
sulla
necessità
che
la
Turchia
riconosca
e
garantisca
i
diritti
e le
libertà
fondamentali,
tutelati
da
uno
Stato
di
diritto.
Il
giornalista
ha
scelto
di
esprimersi
in
curdo
davanti
al
giudice,
perché
cresciuto
nel
Sur,
un
distretto
della
provincia
curda
di
Diyarbakir,
raso
al
suolo
durante
il
conflitto
turco-curdo
della
fine
del
2015.
Il
reporter
ha
sottolineato
come
la
verità
non
arrivi
alla
gente
e
che
i
giornalisti
in
Turchia
sono
costretti
a
operare
in
condizioni
precarie
e
pericolose,
per
garantire
il
diritto
alla
verità.
Alla
fine
dell’udienza
solo
Ömer
Çelik
è
stato
rilasciato
in
libertà
vigilata,
mentre
gli
altri
due
colleghi
resteranno
in
carcere
fino
alla
nuova
udienza
del
6
dicembre
prossimo.
Oltre
170
giornalisti
sono
detenuti
nelle
carceri
turche,
un
macabro
primato
per
il
governo
Erdoğan
e un
bilancio
in
negativo
per
la
società
civile
turca,
che
ha
così
visto
venir
meno
bruscamente,
in
tempi
recenti,
un
consolidato
ruolo
critico
della
stampa
e
dei
mezzi
di
comunicazione
nei
confronti
dell’establishment.