[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

166 / OTTOBRE 2021 (CXCVII)


attualità

Erdoğan VS Kavala

sulla vicenda dei dieci ambasciatori

di Leila Tavi

 

Erdoğan ha partecipato al summit del G20 a Roma, archiviando così la crisi diplomatica da lui scatenata in seguito alla minaccia di dichiarare persona non grata i dieci diplomatici occidentali in servizio in Turchia, che il 18 ottobre hanno sottoscritto un appello congiunto per far valere la sentenza della Corte europea dei diritti umani per la liberazione di Osma Kavala. La sentenza della CEDU ha dichiarato nel settembre 2020 illegittima la detenzione di Kavala, filantropo, uomo d’affari e attivista turco in carcere dal 2017 per motivi politici, ingiustamente sospettato di tentativo di rovesciare il governo e l’ordine costituzionale in Turchia attraverso la forza e la violenza.

 

Gli ambasciatori sotto il mirino del presidente turco rappresentano il Canada, la Danimarca, la Francia, la Finlandia, la Germania, la Norvegia, la Nuova Zelanda, i Paesi Bassi, gli Stati Uniti e la Svezia. Per i questi diplomatici non è stata richiesta l’espulsione, Erdoğan è intervenuto tramite il Ministero degli Affari Esteri turco e i dieci ambasciatori sono stati considerati “persona non grata”, in base all'articolo 9 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, secondo cui i diplomatici non sono espulsi, ma de facto impossibilitati a svolgere i loro compiti di rappresentanza diplomatica e a un passo dall’essere richiamati in patria dai loro governi. Alla dichiarazione del 18 ottobre della Turchia è seguito un tweet dell’ambasciata statunitense ad Ankara, condiviso da tutte le altre rappresentanza diplomatiche coinvolte, che ha ricordato come, secondo l’articolo 41 della sopracitata convenzione, le rappresentanze diplomatiche non debbano interferire negli affari interni di un Paese che li ospita. La crisi diplomatica è rientrata e la partnership strategica tra Turchia e Stati Uniti è stata confermata dall’incontro bilaterale avvenuto nel quadro del summit del G20 a Roma il 31 ottobre, nonostante forte sia la pressione dei think tank statunitensi sulla Casa Bianca affinché con Erdoğan si adotti una linea dura. 

 

In contesti di alta diplomazia come il G20, però, la ragion di Stato prende sempre il sopravvento, così gli interessi economici e geo-politici dell’Occidente sono prevalsi sulla rottura con il presidente turco, che ha ottenuto in cambio l’archiviazione del sofàgate. Se l’Occidente non può permettersi di allontanare un partner strategico come la Turchia, Erdoğan non può lasciare il suo Paese isolato, nel mezzo di una lunga e grave crisi economica, con la lira turca che da inizio 2021 ha perso circa il 25% del suo valore, e con l’inflazione che non concede tregua. La crisi diplomatica scongiurata tra la Turchia e i dieci Paesi dell’Occidente è l’epilogo di una controversia che, da parte del governo turco, sembrerebbe più avere una valenza di politica interna, una dimostrazione di “autorevolezza” a livello internazionale, per convincere il popolo turco di quanto Erdoğan sia un leader forte, in grado di dialogare con le grandi potenze su un piano paritario.


 

Il partito di Erdoğan perde consensi, l’opposizione si compatta in vista delle elezioni parlamentari e presidenziali del 2023, pertanto il governo teme figure di riferimento come Osman Kavala, stimato e supportato dall’Occidente, ormai in prigione da quattro anni senza una vera e propria condanna e nonostante la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) abbia chiesto il suo rilascio immediato, motivato dal fatto che l'arresto di Kavala è basato su motivi politici, senza alcuna prova ragionevole a sostegno delle accuse. Il 17 settembre scorso il Consiglio d'Europa ha dato alla Turchia un ultimo avvertimento affinché liberi l'imprenditore 64enne. Se Ankara si rifiuterà ancora di scarcerare Kavala, per fine novembre dovrà aspettarsi una procedura di infrazione a suo carico da parte del Consiglio d’Europa, secondo quanto è stato dichiarato dai ministri dell’organismo internazionale. Continuare a ignorare la sentenza della CEDU da parte della Turchia potrebbe avere più svantaggi che vantaggi e, quindi, Kavala potrebbe tornare in libertà anche prima delle elezioni del 2023.

 

Kavala è stato imprigionato alla fine del 2017, con l'accusa di aver finanziato le proteste di Gezi Park nel 2013 e di aver preso parte a un colpo di stato fallito nel 2016, accuse che Kavala ha sempre respinto con grande forza d’animo. Si trova nella prigione di Silivri, un carcere di massima sicurezza nella provincia di Istanbul. Il filantropo turco è noto per il suo sostegno a progetti artistici e il suo finanziamento di progetti che promuovono la diversità culturale e i diritti delle minoranze. Erdoğan lo ha pubblicamente accusato di essere la "longa manus" del miliardario e filantropo statunitense George Soros, che il presidente turco ritiene essere responsabile di insurrezioni in diversi Paesi.

 

Con una notevole forza di volontà che i lunghi anni di carcere non hanno piegato, Kavala spera in una una liberazione prima delle elezioni, come ha dichiarato recentemente in un’intervista a Der Spiegel, per rappresentare il nuovo che avanza.Da parte sua Erdoğan ha declinato l’invito a partecipare al vertice sul clima Cop26 di Glasgow, adducendo come giustificazione il fatto che non sono state soddisfatte le richieste da parte della Turchia relative alle misure di sicurezza. Nei social voci non confermate in modo ufficiale parlano di cattive condizioni di salute del presidente turco, che ultimamente è stato ripreso e fotografato in eventi pubblici con difficoltà nei movimenti, sempre sostenuto da persone di fiducia e si è parlato di vuoti di memoria e confusione mentale. A supporto di questa tesi un saggio del senior fellow del US Council on Foreign Relations Steven Cook, pubblicato sul Foreign Affairs il primo ottobre scorso, in cui l’analista politico ha dichiarato che Erdoğan sarebbe: “too sick to keep leading Turkey”. Cook auspica un leader forte post-Erdoğan, concludendo il suo saggio con le seguenti parole: ““it is worth considering the possibility that another strongman could rule a post-Erdogan Turkey, perhaps under a state of emergency”.

 

Due leader politici, Erdoğan e Kavala, un Paese che è in attesa di un cambiamento, che molto probabilmente non arriverà con le elezioni del 2023, che anche se non rappresenteranno una tappa fondamentale per il processo di democratizzazione in Turchia e per la questione curda, saranno però un banco di prova per Erdoğan, al potere da un ventennio, e delineeranno il nuovo corso della politica estera turca.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]