attualità
Erdoğan VS Kavala
sulla vicenda dei dieci ambasciatori
di Leila Tavi
Erdoğan ha partecipato al summit del G20
a Roma, archiviando così la crisi
diplomatica da lui scatenata in seguito
alla minaccia di dichiarare persona
non grata i dieci diplomatici
occidentali in servizio in Turchia, che
il 18 ottobre hanno sottoscritto un
appello congiunto per far valere la
sentenza della Corte europea dei diritti
umani per la liberazione di Osma
Kavala. La sentenza della CEDU ha
dichiarato nel settembre 2020
illegittima la detenzione di Kavala,
filantropo, uomo d’affari e attivista
turco in carcere dal 2017 per motivi
politici, ingiustamente sospettato di
tentativo di rovesciare il governo e
l’ordine costituzionale in Turchia
attraverso la forza e la violenza.
Gli ambasciatori sotto il mirino del
presidente turco rappresentano il
Canada, la Danimarca, la Francia, la
Finlandia, la Germania, la Norvegia, la
Nuova Zelanda, i Paesi Bassi, gli Stati
Uniti e la Svezia. Per i questi
diplomatici non è stata richiesta
l’espulsione, Erdoğan è intervenuto
tramite il Ministero degli Affari Esteri
turco e i dieci ambasciatori sono stati
considerati “persona non grata”, in base
all'articolo 9 della Convenzione di
Vienna sulle relazioni diplomatiche,
secondo cui i diplomatici non sono
espulsi, ma de facto impossibilitati a
svolgere i loro compiti di
rappresentanza diplomatica e a un passo
dall’essere richiamati in patria dai
loro governi. Alla dichiarazione del 18
ottobre della Turchia è seguito un tweet
dell’ambasciata statunitense ad Ankara,
condiviso da tutte le altre
rappresentanza diplomatiche coinvolte,
che ha ricordato come, secondo
l’articolo 41 della sopracitata
convenzione, le rappresentanze
diplomatiche non debbano interferire
negli affari interni di un Paese che li
ospita. La crisi diplomatica è rientrata
e la partnership strategica tra Turchia
e Stati Uniti è stata confermata
dall’incontro bilaterale avvenuto nel
quadro del summit del G20 a Roma il 31
ottobre, nonostante forte sia la
pressione dei think tank statunitensi
sulla Casa Bianca affinché con Erdoğan
si adotti una linea dura.
In contesti di alta diplomazia come il
G20, però, la ragion di Stato prende
sempre il sopravvento, così gli
interessi economici e geo-politici
dell’Occidente sono prevalsi sulla
rottura con il presidente turco, che ha
ottenuto in cambio l’archiviazione del
sofàgate. Se l’Occidente non può
permettersi di allontanare un partner
strategico come la Turchia, Erdoğan non
può lasciare il suo Paese isolato, nel
mezzo di una lunga e grave crisi
economica, con la lira turca che da
inizio 2021 ha perso circa il 25% del
suo valore, e con l’inflazione che non
concede tregua. La crisi diplomatica
scongiurata tra la Turchia e i dieci
Paesi dell’Occidente è l’epilogo di una
controversia che, da parte del governo
turco, sembrerebbe più avere una valenza
di politica interna, una dimostrazione
di “autorevolezza” a livello
internazionale, per convincere il popolo
turco di quanto Erdoğan sia un leader
forte, in grado di dialogare con le
grandi potenze su un piano paritario.
Il partito di Erdoğan perde consensi,
l’opposizione si compatta in vista delle
elezioni parlamentari e presidenziali
del 2023, pertanto il governo teme
figure di riferimento come Osman Kavala,
stimato e supportato dall’Occidente,
ormai in prigione da quattro anni senza
una vera e propria condanna e nonostante
la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU)
abbia chiesto il suo rilascio immediato,
motivato dal fatto che l'arresto di
Kavala è basato su motivi politici,
senza alcuna prova ragionevole a
sostegno delle accuse. Il 17 settembre
scorso il Consiglio d'Europa ha dato
alla Turchia un ultimo avvertimento
affinché liberi l'imprenditore 64enne.
Se Ankara si rifiuterà ancora di
scarcerare Kavala, per fine novembre
dovrà aspettarsi una procedura di
infrazione a suo carico da parte del
Consiglio d’Europa, secondo quanto è
stato dichiarato dai ministri
dell’organismo internazionale.
Continuare a ignorare la sentenza della
CEDU da parte della Turchia potrebbe
avere più svantaggi che vantaggi e,
quindi, Kavala potrebbe tornare in
libertà anche prima delle elezioni del
2023.
Kavala è stato imprigionato alla fine
del 2017, con l'accusa di aver
finanziato le proteste di Gezi Park nel
2013 e di aver preso parte a un colpo di
stato fallito nel 2016, accuse che
Kavala ha sempre respinto con grande
forza d’animo. Si trova nella prigione
di Silivri, un carcere di massima
sicurezza nella provincia di Istanbul.
Il filantropo turco è noto per il suo
sostegno a progetti artistici e il suo
finanziamento di progetti che promuovono
la diversità culturale e i diritti delle
minoranze. Erdoğan lo ha pubblicamente
accusato di essere la "longa manus" del
miliardario e filantropo statunitense
George Soros, che il presidente turco
ritiene essere responsabile di
insurrezioni in diversi Paesi.
Con una
notevole forza di volontà che i lunghi
anni di carcere non hanno piegato,
Kavala spera in una una liberazione
prima delle elezioni, come ha dichiarato
recentemente in un’intervista a Der
Spiegel, per rappresentare il nuovo
che avanza.Da parte sua Erdoğan ha
declinato l’invito a partecipare al
vertice sul clima Cop26 di Glasgow,
adducendo come giustificazione il fatto
che non sono state soddisfatte le
richieste da parte della Turchia
relative alle misure di sicurezza. Nei
social voci non confermate in modo
ufficiale parlano di cattive condizioni
di salute del presidente turco, che
ultimamente è stato ripreso e
fotografato in eventi pubblici con
difficoltà nei movimenti, sempre
sostenuto da persone di fiducia e si è
parlato di vuoti di memoria e confusione
mentale. A supporto di questa tesi un
saggio del senior fellow del US Council
on Foreign Relations Steven Cook,
pubblicato sul Foreign Affairs il primo
ottobre scorso, in cui l’analista
politico ha dichiarato che Erdoğan
sarebbe: “too sick to keep leading
Turkey”. Cook auspica un leader forte
post-Erdoğan, concludendo il suo saggio
con le seguenti parole: ““it is worth
considering the possibility that another
strongman could rule a post-Erdogan
Turkey, perhaps under a state of
emergency”.
Due leader politici, Erdoğan e Kavala,
un Paese che è in attesa di un
cambiamento, che molto probabilmente non
arriverà con le elezioni del 2023, che
anche se non rappresenteranno una tappa
fondamentale per il processo di
democratizzazione in Turchia e per la
questione curda, saranno però un banco
di prova per Erdoğan, al potere da un
ventennio, e delineeranno il nuovo corso
della politica estera turca. |