[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 152 / AGOSTO 2020 (CLXXXIII)


attualità

I MILLE GIORNI DI CARCERE DI OSMAN KAVALA

L’ACCANIMENTO DEL REGIME

di Leila Tavi


Lunedì 27 luglio ha segnato il millesimo giorno della prigionia di Osman Kavala. Il filantropo e fondatore dell’Anadolu Kültür, conosciuto per aver promosso in Turchia la tolleranza per la diversità culturale, è stato arrestato il 18 ottobre 2017 e incarcerato il 1 novembre successivo, con l’accusa di essere uno degli ideatori della protesta di Gezi del 2013.

 

Le forti pressioni delle istituzioni internazionali hanno portato alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo nel dicembre 2019 con l’ordine di immediato rilascio per Kavala, recepito dalla Corte di Istanbul il 18 febbraio 2020, per cui Kavala è stato assolto per mancanza di prove. L’attivista è stato arrestato, però, dopo poche ore con una nuova accusa di coinvolgimento nel tentativo di colpo di stato del 2016 e i giudici che avevano ordinato il suo rilascio sono stati posti sotto inchiesta.

 

Oltre alla mancanza di prove solide nel capo d’imputazione a Kavala è stato negato anche un giusto processo. L’intero processo è stato irregolare dall’inizio alla fine, a partire dalla sua detenzione all’aeroporto Atatür di Istanbul nell’ottobre 2017. Selina Özuzun Doğan, deputata del principale partito popolare repubblicano di opposizione (CHP - Cumhuriyet Halk Partisi), ha chiesto al Parlamento chiarimenti sul perché a Kavala non fosse stata emessa una normale richiesta di comparizione in tribunale, come sarebbe dovuto essere, se ci fosse stata un’indagine regolare.

 

La polizia ha impiegato tredici giorni per l’interrogatorio dopo il fermo. Quando il procuratore ha finalmente ordinato l’arresto ufficiale di Kavala, lo ha fatto senza acquisire le dichiarazioni di Kavala. Durante tutta la fase iniziale della vicenda, i legali di Kavala non hanno avuto accesso agli atti ufficiali relativi al caso del loro assistito, considerato che è stata dichiarata da parte delle autorità giudiziarie la riservatezza sul caso.

 

Ci sono voluti sedici mesi per emettere un atto d’accusa contro Kavala, che alla fine è arrivato solo nel febbraio 2019. Nel frattempo il tribunale ha rigettato le richieste istruttorie da parte dei legali di Kavala per opporsi alla detenzione preventiva del loro assistito. Anche quando, il 27 aprile 2018, la difesa ha sostenuto che la detenzione costituiva una violazione della libertà personale (citando una recente sentenza della Corte Costituzionale su un caso simile di detenzione preventiva), la corte ha respinto le richieste di udienza e ha deciso, senza consultare Kavala o i suoi avvocati, di continuare la detenzione.

 

La corte ha anche tenuto un’udienza di riesame il 3 agosto dello stesso anno, con un avvocato nominato dall’Ordine degli Avvocati di Istanbul, senza notificare ai difensori di Kavala, ignorando in un secondo momento un’obiezione presentata dal team di Kavala. Il tribunale ha concesso a Kavala un’udienza di detenzione solo il 30 aprile 2019, un anno e mezzo dopo il suo arresto, e sei settimane prima dell’inizio del processo.

 

Osman Kavala è stato recentemente intervistato nel carcere di Silivri, dove sta scontando la sua pena, dal quotidiano greco Ethnos. Nell’intervista l’ex uomo di affari ha sottolineato come sia necessario un processo di democratizzazione nel suo Paese, per permettere che ci sia un clima politico in cui i diritti umani e le libertà fondamentali siano tutelati da norme di legge universalmente applicabili. Per raggiungere questo obiettivo, secondo Kavala, sono necessari concreti passi avanti verso la democratizzazione da parte di tutti coloro che credono nei valori di giustizia, libertà ed eguaglianza, indipendentemente dal loro orientamento politico.

 

Il processo di democratizzazione in Turchia è stato rallentato ulteriormente dall’emergenza sanitaria, che ha inciso su una crisi economica già in atto. La situazione è apparentemente così grave che il presidente Erdoğan si è sentito obbligato a lanciare una campagna di raccolta fondi su larga scala per i più bisognosi.

 

La campagna “Siamo noi la nostra Turchia” (Biz Bize Yeteriz Türkiyem) ha messo insieme 2.105.007.780 lire turche entro la fine di luglio 2020. I contributi sono arrivati soprattutto da parte di istituzioni para-governative e società affiliate allo Stato, ciò ha suscitato critiche pungenti da parte delle opposizioni politiche. È improbabile che tale cifra, unita al il pacchetto di aiuti stanziati dal governo di 14 miliardi di euro, sia sufficiente a risanare la già compromessa economia turca, come riportato dal dossier Corona Papers di Yavuz Köse, professore di studi turchi all’Università di Vienna.

 

Il Presidente Erdoğan si è mostrato durante l’emergenza sanitaria come un “buon padre di famiglia”, preoccupato e premuroso per il suo popolo. Mascherine e disinfettanti sono stati distribuiti gratuitamente in tutto il territorio da parte di agenti di polizia e di altri funzionari statali come “doni” del presidente. 

 

La pandemia ha inferto un duro colpo al regime autoritario turco. Nonostante tutto, la specifica combinazione di autoritarismo e costruzione del consenso dell’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi), basato sulla teoria gramsciana, è stata cruciale per comprendere la resilienza del suo potere egemonico.

 

In aggiunta a una serie di politiche populiste attuate con successo, la ricerca dello sviluppo si è rivelata un ingrediente vitale per la costruzione del consenso di Erdoğan. Lo sviluppismo attuato da Erdoğan ha utilizzato lo strumento del potere statale per dare priorità all’obiettivo di raggiungere e sostenere una crescita economica continua, considerata per lungo tempo l’ingrediente principale in termini di prosperità economica e, quindi, di successo politico, indipendentemente dai costi sociali e ambientali, come illustrato da Fikret Adaman e Akbulut Bengi nel loro paper Erdoğan’s three-pillared neoliberalism: Authoritarianism, populism and developmentalism.

 

Il caso Kavala dimostra come il presidente Erdoğan abbia ormai quasi completamente eroso i principi fondamentali dello Stato di diritto in Turchia. Oggi la magistratura altamente politicizzata funziona come una potente arma contro dissidenti e oppositori politici ed è la longa manus di Erdoğan, il leader che con i suoi lunghi diciassette anni al potere, ha superato anche il padre della Patria, Kemal Atatürk, in carica come presidente dal 1923 al 1938. 

 

Come obiettivo e arma del potere politico, il sistema giudiziario turco è stato al centro degli sforzi di Erdoğan per smantellare le istituzioni democratiche chiave e stabilire un sistema presidenziale onnipotente, come ha sottolineato Merve Tahiroglu nel suo recente saggio How Turkey’s Leaders Dismantled the Rule of Law.

 

In considerazione del malcontento popolare e del calo di popolarità nei sondaggi, Erdoğan, in vista delle elezioni parlamentari e presidenziali del 2023, ha inasprito le misure per contrastare gli oppositori politici. 

 

Una delle armi più efficaci adottate dal governo turco per reprimere la libertà di manifestazione del pensiero è la recente legge sui social media, noto anche come “legge sulla censura”, approvata dal Parlamento mercoledì 29 luglio 2020 con i voti dell’AKP e del MHP (Milliyetçi Hareket Partisi). La legge impone ai siti di social media stranieri di nominare rappresentanti con sede in Turchia per rispondere alle preoccupazioni delle autorità in merito ai contenuti e prevede scadenze serrate per la rimozione dei contenuti online.

 

Mahir Ünal, direttore di AKP Promotions & Media, organizzazione vicina al governo, ha così commentato la nuova normativa sui social media: “Continuiamo la nostra lotta per la Cyber Patria. Il nostro scopo è quello di tutelare i diritti degli utilizzatori della rete. Abbiamo basato la nostra legge sul regolamento tedesco”.

 

In base alle nuove normative, le aziende potrebbero essere soggette a multe, al blocco della pubblicità o alla riduzione della larghezza di banda fino al 90%, fino ad arrivare all’oscuramento dei siti.

 

L’ondata à rebours di democratizzazione continua in Turchia, con una società civile indebolita e ancora impreparata a far fronte a un regime autoritario che comprime le libertà individuali all’interno del Paese, per espandere la sua influenza all’estero attraverso il Neo-ottomanesimo.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]