N. 49 - Gennaio 2012
(LXXX)
La Tunisia nel diritto internazionale
In cerca di un equilibrio
di Francesca Zamboni
Dal
momento
che
la
Tunisia
non
può
vantare
di
una
figura
capace
di
interpretare
in
modo
neutrale
e
indipendente
le
istanze
sociali
e
politiche,
il
diritto
internazionale
è
divenuto
il
punto
di
riferimento
dell’ordinamento
interno,
soprattutto
per
quanto
concerne
gli
accordi
commerciali,
la
tutela
dei
diritti
umani
e
dei
diritti
delle
donne.
L’applicazione
delle
norme
internazionali
e il
suo
riflesso
sull’ordinamento
interno
hanno
incontrato
non
poche
difficoltà
principalmente
in
merito
alla
difesa
dei
diritti
dell’uomo.
Viceversa
le
convenzioni
internazionali,
circa
gli
aspetti
economici,
sono
state
di
facile
applicazione
e
integrazione
all’interno
dell’ordinamento
tunisino.
Basti
pensare
all’accordo
tra
l’UE
e la
Tunisia,
firmato
il
17
luglio
1995
ed
entrato
in
vigore
il
1°
marzo
del
1998,
per
comprendere
la
rapida
integrazione
del
diritto
internazionale
in
quello
statuale.
La
prima
legge
che
ha
consentito
la
ratificazione
del
Patto
internazionale
sui
diritti
civili
e
politici
e il
Patto
internazionale
sui
diritti
sociali,
economici
e
culturali
risale
al
1968.
Tuttavia
già
nel
1966
era
stata
ratificata
la
Convenzione
volta
all’eliminazione
di
ogni
forma
di
discriminazione
razziale,
seguita
nel
1967
da
altre
due:
la
Convenzione
sui
diritti
politici
delle
donne
e la
Convenzione
sul
matrimonio,
che
stabilisce
l’età
minima
per
il
matrimonio.
L’applicazione
del
diritto
internazionale
è
regolamentata
dalla
Costituzione
tunisina
agli
articoli
31 e
32,
i
quali,
oltre
a
regolamentare
la
materia,
rappresentano
validi
mezzi
per
limitare
gli
effetti
di
quelle
norme
che,
se
applicate,
potrebbero
riordinare
il
diritto
interno.
Gli
articoli
fungono
perciò
da
barriera
alle
innovazioni
frutto
delle
ratifiche
internazionali.
Per
attuare
tali
limitazioni
entrano
in
gioco
varie
strategie
tramite
l’istituzione
di
clausole
di
riserva
al
fine
di
posticipare
l’applicazione
delle
Convenzioni
o
per
ritardarne
l’applicazione.
L’articolo
32
stabilisce
che
il
Presidente
della
Repubblica
ratifica
i
trattati,
che
entrano
in
vigore
dopo
l’approvazione
della
Camera
dei
Deputati
e a
condizione
che
vengano
applicate
dall’altra
parte.
I
trattati,
una
volta
approvati,
hanno
un
potere
superiore
alla
legge
ordinaria.
L’articolo
33
riguarda
invece
i
progetti
di
legge,
la
procedura
per
la
loro
approvazione
e il
ruolo
giocato
dalla
Camera
dei
Deputati.
La
Costituzione
tace
sulle
modalità
di
pubblicazione
dei
trattati
internazionali,
anche
se
lo
strumento
tradizionalmente
impiegato
a
tal
fine
è il
Journal
Officiel
de
la
République
Tunisienne.
Quindi
non
è
certo
che
le
Convenzioni,
una
volta
ratificate,
siano
immediatamente
pubblicate,
il
che
comporta
ritardi
nella
loro
applicazione.
Tuttavia
le
Convenzioni
adottate
dall’Assemblea
delle
Nazioni
Unite
o
dall’Organizzazione
Internazionale
del
Lavoro
vengono
pubblicate
senza
interposizione.
Viceversa
altri
trattati
non
sono
mai
stati
pubblicati,
tra
cui
quello
che
riguarda
la
protezione
delle
donne
in
tempo
di
guerra.
La
non
pubblicazione
rappresenta
lo
strumento
per
eccellenza
per
quel
giudice
che
preferisca
applicare
il
diritto
interno,
eludendo
conseguentemente
quello
internazionale.
Nel
1968,
al
fine
di
evitare
il
rinvio
della
pubblicazione,
è
stata
emanata
nel
1988
una
circolare
da
parte
del
Primo
Ministro
con
cui
si
stabilisce
che
i
progetti
debbano
essere
presentati
al
medesimo
entro
un
mese
dalla
loro
ratifica.
Tali
espedienti
però
non
hanno
prodotto
i
risultati
sperati.
La
Convenzione
per
l’eliminazione
di
tutte
le
forme
di
discriminazione
nei
confronti
delle
donne,
emanata
nel
1979,
è
stata
ratificata
nel
1985
e
pubblicata
nel
1991,
incarnando
l’esempio
delle
predette
problematiche.
Da
non
tralasciare
le
dichiarazioni
e le
riserve
che
accompagnano
la
Convenzione
che,
per
quanto
riguarda
la
condizione
della
donna,
tendono
a
lasciare
la
situazione
immutata.
Le
riserve
più
importanti
sono
quelle
disciplinate
all’articolo
9 e
all’articolo
16.
La
prima
si
occupa
del
riconoscimento
dei
diritti
delle
donne
circa
la
possibilità
di
determinare
la
nazionalità
dei
propri
figli,
che
contrasta
con
il
principio
di
eguaglianza
enunciato
all’articolo
6
della
Costituzione;
la
seconda
riguarda
l’incompatibilità
tra
la
riserva
e il
Codice
dello
Statuto
Personale,
poiché
fonte
di
discriminazione
tra
uomo
e
donna
per
quanto
riguarda
i
diritti
matrimoniali,
familiari
e
tutti
quelli
che
riguardano
la
custodia,
l’adozione
e
infine
l’amministrazione
e il
godimento
dei
beni;
la
terza
riserva
riguarda
l’interpretazione
e
l’applicazione
delle
Convenzioni
che
sono
oggetto
di
controversia
e
che,
in
base
all’articolo
29,
devono
essere
rimandate
al
giudizio
della
Corte
Internazionale
su
istanza
di
uno
degli
stati.
Per
il
diritto
interno
tunisino
la
situazione
deve
essere
invece
rimessa
alla
Corte
Internazionale
col
consenso
di
tutti
le
parti
in
causa.
Non
solo,
la
Repubblica
tunisina,
in
base
ad
una
dichiarazione
generale,
ha
deciso
di
non
adottare
quegli
atti
legislativi
in
conflitto
con
l’articolo
1
della
Costituzione,
sottolineando
l’importanza
dell’identità
nazionale
rispetto
a
qualsiasi
normativa
internazionale.
Tuttavia
il
diritto
internazionale
rimane,
sia
per
le
donne
che
per
chiunque
voglia
far
valere
i
propri
diritti
un
punto
di
riferimento
fondamentale.
Si
tratta
di
un
metodo
che
permette
di
battersi
per
diritti
personali
e
specifici
attraverso
principi
universali.
Grazie
a un
ordinamento
super
partes
si
offre
la
possibilità
di
rivendicare
e
ribadire
disposizioni
previste
dal
diritto
interno,
ma
che
non
vengono
attuate
soprattutto
quando
le
normative
riguardano
i
diritti
delle
donne.
La
lotta
femminile
ha
due
compiti
fondamentali
e
complementari
da
portare
avanti:
mantenere
inalterate
le
disposizioni
del
CSP
e
appellarsi
al
diritto
internazionale
senza
che
quest’ultimo
ottenga
il
monopolio
sul
diritto
interno.
L’obiettivo
risiede
nell’equilibrio
tra
due
ordinamenti
diversi,
che
nel
rispetto
dei
loro
compiti
devono
garantire
l’eliminazione
di
ogni
forma
di
discriminazione.