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N. 119 - Novembre 2017 (CL)

Potere legittimante 2.0
Dalla ‘renovatio imperii’ agli umori di Wall Street

di Norberto Soldano

 

Quello della separazione dei poteri è un importante principio elaborato dal costituzionalismo liberale. Correva l’anno 1748 quando vide la luce l’opera di Montesquieu De l'esprit des lois.

 

Il giurista, scrittore e pensatore politico dell’Illuminismo francese, in questo volume, ripropone alcune delle tesi già sviluppate dal filosofo inglese John Locke, nella rinnovata formula della “tripartizione” dei poteri: potere legislativo; potere esecutivo; potere giudiziario.

 

Teorizzò che ciascun potere dovesse essere individuato sulla base della funzione che esercitava e che ciascuna di esse fosse attribuita a organi istituzionali distinti; prevedeva, inoltre, che i poteri sia pure distinti e separati dovessero potersi condizionare reciprocamente dando vita ad un “sistema di pesi e contrappesi”.

 

Profonde sono state le trasformazioni politico-sociali che hanno investito i Paesi europei e industrializzati fra il XIX e il XX secolo. La rigida impostazione propugnata da Montesquieu ha subito significative alterazioni: le norme non si configurano più come generali e astratte, ma proliferano le cosiddette “leggi provvedimento”; i giudici godono di ampi margini di discrezionalità a dispetto della minimizzata veste che gli illuministi addebitavano al funzionario pubblico di semplice “bouche de la lois”; la sete di diritti sociali ha visto cogente la giurisprudenza riconoscere rilevanza giuridica a situazioni meritevoli di tutela anticipando le tardive mosse del legislatore; nota dolente dell’ultimo ventennio è stato, infine, il fenomeno della “crisi della legge”.

 

Le costituzioni europee della seconda metà del Novecento hanno inaugurato importanti innovazioni rispetto ai “format” ottocenteschi: si è dilatato il ventaglio dei diritti fondamentali enunciati a livello costituzionale; si è accentuata la spinta verso il potenziamento delle autonomie locali; la pluralità dei livelli normativi è divenuta una costante dei sistemi giuridici; è andato rafforzandosi il ruolo delle carte costituzionali nei confronti delle leggi.

 

In parallelo abbiamo assistito ad una dilatazione della legislazione ordinaria e alla crisi delle codificazioni. Si è parlato addirittura, probabilmente con un’enfasi eccessiva, di “età della decodificazione”. Quali le ragioni di questa anomalia?

 

I governi tendono a cedere indistintamente alle pressioni delle variegate istanze dei gruppi economici e dei ceti sociali della più varia natura, preoccupati più dalle scadenze elettorali che dalle sfide che ci prospetta il futuro. In secondo luogo, l’evoluzione incessante delle tecnologie rende affannoso il processo di adeguamento normativo in un inseguimento che talvolta sembra richiamare l’ilarità del cartone animato Willy il coyote. Accanto ai tradizionali poteri ne incontriamo una fitta schiera di inediti oggigiorno: si pensi alla funzione di “indirizzo politico” concernente la determinazione delle linee fondamentali di sviluppo dell’ordinamento e della politica nazionale interna ed esterna, nonché nella loro coerente attuazione; alla garanzia giurisdizionale di tipo costituzionale e di equilibrio costituzionale.

 

Taluni, come quest’ultimi, sono facilmente inquadrabili, talaltri sono di difficile collocazione. Lecito domandarsi se vi sia nella “stratosfera giuridica”, per dirla à la Carl Schmitt, un potere superiore a tutti gli altri. Esiste un potere che legittima tutti gli altri poteri?

 

Il potere ‘legittimante’ è il potere che dà potere. Anch’esso ha una sua storia che affonda le sue radici nell’alto Medioevo, sarà evidentemente opportuno ripercorrerla seppure in soldoni. Nella notte di Natale dell’800, il re dei Franchi si fa incoronare imperatore da Papa Leone III e viene ribattezzato come l’Imperatore Carlo Magno.

 

Un evento incredibile che riassume bene la mentalità vigente dell’epoca. I medievali erano vissuti nel mito della sintesi politico religiosa, nell’idea per cui tutto doveva essere unito nella così designata coincidentia oppositorum. Esisteva un solo impero, il presunto continuatore dell’Impero Romano e una sola Chiesa, quella di Roma.

 

Il sogno, l’ideale vagheggiato nel Medioevo è la renovatio imperii, ossia la restaurazione dell’antica potenza romana messa a servizio della missione universalistica del cristianesimo. Nel 494 d.C., Papa Gelasio I in una lettera all’imperatore d’Oriente Anastasio scriveva che il mondo, a suo avviso, si reggeva su due poteri. Sosteneva che, da un lato, ci fosse la auctoritas dei pontefici, i quali conferirebbero il potere senza esercitarlo brutalmente, dall’altro, la potestas dei re che può giungere sino alla coercizione fisica.

 

I giuristi del Basso Medioevo ripescheranno le parole di questa epistola come efficace argomentazione della “teoria delle due spade” nel clima rovente della lotta per le investiture. Le aspirazioni egemoniche non mancano neppure nei nefasti scenari che la postmodernità ci offre come spettacolo quotidiano.

 

La Russia di Vladimir Putin pone le fondamenta di un nuovo colosso sovietico rivolgendo le sue attenzioni espansionistiche alle repubbliche baltiche, dove si è già da tempo insediata la solida trincea della NATO; la Turchia di Erdogan guarda con ammirazione al glorioso passato dell’Impero Ottomano e conserva nel cassetto il desiderio di rifondarlo; la potenzia iraniana e il regime nordcoreano di Pyongyang accelerano i loro programmi nucleari con test missilistici che tengono ininterrottamente il fiato sospeso sulla comunità internazionale; la Cina architetta investimenti nel continente africano e sembra determinata ad acquistare la leadership incontrastata in quello asiatico.

 

La classe politica in Italia è indebolita dall’astensionismo dilagante, dalle mani “golpiste” della magistratura sempre in agguato, piacevolmente disposta a tirare fuori i suoi scheletri dall’armadio per incoraggiare il giustizialismo di piazza. Il suo “populismo a fasi alterne” ne pregiudica la affidabilità. I partiti “classici” si compiacciono dei risultati delle consultazioni partecipative con i propri militanti illudendosi, con un po’ di farina e tv a colori, di placare il dissenso diffuso verso le istituzioni.

 

Strumenti simili alle primarie, pur di nobile intento, rappresentano grossomodo la messa in scena del clientelismo: milioni di persone si mobilitano perché il potentato di turno sul territorio chiama i suoi fedelissimi a raccolta e costoro si precipitano alla “chiamata alle armi” del rispettivo padrone. «Non lo vede solo chi non vuol vedere e non ne è consapevole soltanto chi gira la testa dall’altra parte», per sviscerare il concetto con le parole di Bettino Craxi.

 

Siamo in una società che sembra “ingessata”. I numerosi tentacoli della sottocultura rafforzano questa malsana convinzione. Si può ironizzare, polemizzare, ma rebus sic stantibus le iniquità vanno accettate, “digerite” anche contro la nostra volontà.

 

La realtà ci appare immutabile. La minaccia terroristica e la tensione nucleare sono le principali piaghe del nostro tempo. Queste piuttosto che stimolarci a una violenta reazione, che può consistere in assidue manifestazioni per la pace o la richiesta petitoria di un riarmo finalizzato alla medesima, inducono l’individuo, che il sottoscritto ha ancora il coraggio di elevare a “cittadino”, a lasciarsi “drogare” dalle tante forme di intrattenimento elargite generosamente dall’Establishment, anziché riflettere e cercare di incidere, attraverso i metodi della democrazia, sulle grandi questioni perennemente aperte che riguardano la civiltà Occidentale.

 

Si consolidano le élite e un forte senso di impotenza regna indisturbato nella moltitudine. Durante la scorsa estate un sanguinoso pestaggio in una discoteca spagnola è costato la vita ad un giovane italiano. In tanti i coetanei, lì presenti, che hanno osservato inermi, con le braccia conserte, l’atto di atrocità che si stava consumando sotto i propri sguardi paralizzati: l’unica loro replica è stata quella di imbracciare lo smartphone e filmare l’accaduto. La speranza generale è che vi sia sempre un display che ci protegga dalle facce “oscure” del complesso “cubo di Rubik” della società postmoderna che con il nostro inavvertito disimpegno contribuiamo a non risolvere.

 

Un mondo troppo grande in cui del grido di protesta sano e genuino non giunge che un eco vacuo e scolorito alle istituzioni che contano, le quali sono sempre più dislocate e meno legate da vincoli identitari con i loro destinatari. La vicenda degli ulivi salentini colpiti dalla Xylella centra bene l’obiettivo: migliaia di cittadini che protestano a Lecce fanno rumore e possono sensibilizzare le coscienze degli amministratori locali; gli stessi a Bruxelles non riuscirebbero neanche a circondare simbolicamente la sede della Commissione Europea.

 

Quale novità fa da collante di tutti questi aspetti? Nientedimeno che il “crepuscolo degli dei”, per usare il titolo di un capolavoro del compositore Richard Wagner, della politica. E quindi i “titoli di coda” del suo primato.

 

L’ex Ministro del Lavoro, Elsa Fornero lo ha più volte ribadito nelle sue uscite televisive: «la strada è quella delle riforme strutturali e dei sacrifici, ce lo chiede Mario Draghi». Chi è costui? L’attuale governatore della BCE. E di chi è espressione la Banca Centrale Europea?

 

Diego Fusaro ha coniato il congegno verbale di “aristocrazia finanziaria” che bene si attaglia come risposta succinta e precisa al nostro interrogativo e che senza grossi sforzi retorici possiamo indicare, unanimemente, come il ‘potere legittimante 2.0’. Chi legittima oggi il sistema politico?

 

Gli umori dell’alta finanza, il suo “mainstream” e i suoi autorevoli vicari sparsi un po’ qua e là.



 

 

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