[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

186 / GIUGNO 2023 (CCXVII)


arte

DI PADRE IN FIGLIO

LA TRILOGIA DEL PARADISO DEI BASSANO

di Marialuisa Dus

  

I Dal Ponte dipingono per ben tre volte il Paradiso, per le città di Bassano, Venezia e Roma. I dipinti, testi essenziali per comprendere lo sviluppo stilistico della pittura dalpontiana di fine Cinquecento, appartengono al periodo della vecchiaia di Jacopo. L’artista bassanese esegue la tela del Paradiso per la città dov’è nato a quasi settant’anni. Le pitture costituiscono una vera e propria trilogia sul tema della festa di Tutti Santi. Chiariscono l’importanza del ruolo paterno rispetto alla produzione dei figli.

 

Jacopo aveva acquisito dal padre, Francesco il Vecchio, un’eredità artistica che negli anni Trenta del Cinquecento era riuscito brillantemente a rinnovare nella costruzione spaziale e nello stile compositivo. Francesco il Vecchio, modesto artista di provincia, fu capostipite di una dinastia di pittori comprendente tre generazioni. Il lascito di Jacopo, innovativo nel panorama europeo, evolve sotto il pennello dei suoi quattro figli. All’ultima maniera di Jacopo, scomposta e incoerente ma ugualmente penetrante, che transita da uno stile magicamente luminoso a uno gravemente tetro, Francesco, Leandro, Giambattista e Girolamo apportano, seppur talvolta in maniera pedestre, le novità della cultura artistica della loro epoca.

 

La pittura dalpontiana attorno agli anni Sessanta del Cinquecento si sofferma sui temi biblici e pastorali, apprezzati dalla committenza del tempo, e poco dopo muta linguaggio. I figli di Jacopo, meno profetici del padre, abbandonano gli equilibri classicisti del primo Jacopo così come i toni esagitati dell’ultimo Jacopo, pittore espressionista. I Bassano della terza generazione sul finir del secolo sono pronti ad accogliere come esercizio, talvolta dimesso e poco appassionato, le luci notturne della pittura seicentesca in scene di genere cupe e stereotipate.

 

Nel 1578-1580 per l’altare maggiore della chiesa di Ognissanti di Bassano Jacopo dipinge la tela del Paradiso in collaborazione con il primogenito Francesco, oggi conservata al Museo Civico. Nel ritratto cinquecentesco che della città di Bassano restituisce una visione a volo d’uccello compare sul margine destro, appena fuori le mura, una piccola croce. Nella mappa dalpontiana, dipinta da Francesco e Leandro, a lato del simbolo sacro si nota un piccolo edificio. Nel manufatto architettonico appena abbozzato si riconosce la chiesa di Ognissanti. L’edificio sacro fu costruito tra il 1568 e il 1573 dai padri Cappuccini grazie a un sussidio di cento ducati ricevuto dal comune.

 

La tela bassanese rappresenta Dio nella gloria dei suoi santi. Secondo la studiosa Giuliana Ericani le figure celesti che compaiono nel Paradiso sono quelle delle Antifone e delle Lezioni del Credo secondo Damasco, la Santissima Trinità, la Madonna, gli Angeli, i Santi, gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, le Vergini, e le gerarchie terrene, dai Vescovi ai Decani fino ai Pueri.

 

Nell’empireo, sotto la luce dello Spirito Santo, intorno a Gesù con la Vergine e san Giovanni Battista ai lati, si dispongono le cerchie angeliche.­ Più in basso a destra san Paolo con la spada, san Lorenzo con la graticola e san Stefano con la dalmatica del diacono, a sinistra san Pietro e san Luca. Si riconosco nel primo cerchio di figure gli evangelisti, Giovanni con l’aquila e Matteo con l’angelo, gli apostoli Andrea con la croce e Giacomo con il bordone e infine i patriarchi biblici, Noè con un modellino dell’arca, Mosè con le tavole del decalogo e Davide con l’arpa.

 

Nel secondo cerchio di figure vicino ai padri della Chiesa trova posto un affollato gruppo di sante. Si riconosce santa Maria Maddalena con l’ampolla degli unguenti, santa Caterina con la corona deposta a terra e la ruota, sant’Orsola con la corona sul capo, santa Giustina con la palma, sant’Agata con i seni tagliati, santa Lucia con gli occhi sul piattino. A destra compare un santo vescovo, forse san Bassiano, assieme a un francescano, un agostiniano e un cappuccino e a san Francesco d’Assisi che mostra le stigmate.

 

Nel registro inferiore si mostrano sant’Antonio abate seduto con il grande libro della regola sulle ginocchia e ai piedi il fuoco, san Martino con il mantello, san Cristoforo con la palma, santa Veronica con il volto di Cristo impresso sul velo, san Rocco con il petaso e l’abito del pellegrino, un papa, un santo con turibolo, san Nicolò da Tolentino con la stella in mezzo al petto, santa Chiara e santa Caterina da Siena.

 

All’interno di questo gruppo di figure in primo piano ve ne sono alcune del tutto analoghe per abiti e pose ai soggetti presenti in San Martino e il povero con sant’Antonio abate, dipinto che Jacopo realizza per la chiesa di Santa Caterina, fondata alla fine del Trecento nei pressi del fiume Brenta come ospizio per i pellegrini. Lodato da Giambattista Verci per le cinquanta “bellissime figure”, molte delle quali desunte da Tiziano Vecellio secondo il Ridolfi, il Paradiso di Bassano appare come un tripudio di volti, mani, piedi, di figure umane nelle pose più diverse.

 

 

 

.

Il Paradiso, olio su tela, cm 273 x 156, 1578-1580. Bassano del Grappa, Museo Civico.

 

Amante della campagna per la quale lascia Venezia, apprezzato dai collezionisti fiamminghi, appassionato di animali e piante, Jacopo inaugura la stagione della pittura di genere a soggetto sacro. Con Jacopo, uno dei massimi interpreti della cultura figurativa veneta del Cinquecento, entra nella scena biblica la vita campestre. Nessuna nota paesaggistica nel Paradiso bassanese. Tuttavia i personaggi sacri assumono carattere umano mentre si contorcono, i loro volti si riempiono di rughe. Il naturalismo di Jacopo, che trova massima espressione nel genere pastorale, permane anche nella pittura in cui da vecchio si rifugia, nelle grandi visioni mistiche.

 

Nel 1578 Francesco il Giovane lascia la bottega in Contrà del Ponte per trasferirsi a Venezia dove dieci anni dopo lo raggiungerà Leandro rimasto a lavorare più a lungo in famiglia. Francesco con il padre aveva da poco terminato la pala della Circoncisione (1575-1577) commissionata dalla Confraternita del Nome di Gesù per l’altare della chiesa cittadina di Santa Maria in Colle. L’iscrizione sul plinto della colonna che compare raffigurata a sinistra della tela riporta i nomi di entrambi i pittori, testimonianza della stretta collaborazione tra padre e figlio.

 

Secondo lo storico Ottone Brentari le fattezze di Jacopo si riscontrano nella figura antistante all’iscrizione mentre quelle di Francesco nella figura che sguscia appena dietro. Fu di Ottone Brentari l’idea di erigere al grande pittore un monumento, inaugurato nel 1893 e tuttora apprezzabile a Bassano, in Piazzetta Jacopo da Ponte, già Santa Chiara. Il ritratto in marmo a figura intera di Jacopo è di Giovanni Fusaro, scultore povese. Eseguita a Venezia l’opera arrivò a Bassano tramite trasporto ferroviario.

 

Un distacco quello intrapreso dal primogenito di Jacopo forse troppo ambizioso tanto che presto non mancherà di chiedere aiuto. Francesco, il più dotato dei quattro fratelli, evidentemente contava molto sulle proprie abilità. Dal 1575 in poi, in particolare con la commessa del ciclo a fresco della cappella del Rosario della chiesa parrocchiale di Cartigliano, l’anziano padre affida al figlio e al suo vigore creativo molte delle tante commesse che in quegli anni la bottega riceve.

 

Il Museo di Stato dell’Ermitage di San Pietroburgo conserva una tela di Francesco Bassano acquistata nel 1815 a Parigi tramite il barone Dominique Vivant-Denon, a quel tempo direttore del Museo Louvre. La paternità del quadro, pervenuto in Russia come opera del veneziano Tintoretto, è stata restituita all’artista bassanese soltanto nel 1913 grazie agli studi di Liphart. Nell’opera è stato riconosciuto il bozzetto presentato al concorso bandito a Venezia nel 1582 per il nuovo Paradiso. “Il dipinto da cavalletto più grande di tutti i tempi” doveva sostituire nella Sala del Maggior Consiglio l’affresco del Guariento raffigurante L’incoronazione di Maria danneggiato dall’incendio che nel 1577 distrusse del Palazzo dei Dogi l’ala occidentale e quella meridionale.

 

Alla competizione veneziana prendono parte Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese, Palma il Giovane e Francesco Bassano. I quattro artisti presentano bozzetti raffiguranti gli Ognissanti, simili per dimensioni diversi per stile compositivo. Il primo premio fu aggiudicato ex aequo a Paolo Veronese e Francesco Bassano. I due artisti lavorano al progetto congiuntamente fino a quando nel 1588 Veronese muore. Oggi in loco dietro il Tribunale, dove al tempo sedevano il Doge e la Signoria, trova posto il grande telero realizzato da Tintoretto e dalla sua bottega.

 

Lo studio dell’iconografia del bozzetto dalpontiano, raffigurante al centro l’Incoronazione della Vergine circondata dai ventiquattro vegliardi dell’Apocalisse, ha evidenziato forti somiglianze con l’idea presentata dal Veronese. Entrambi gli artisti si allontanano dal concetto spaziale piramidale tipico dell’epoca rinascimentale. Il gruppo di figure centrale sta dentro un “cono dantesco” luminoso che inclina verso il fondo. A legare il tribunale celeste e quello terreno è un pozzo di luce. La critica contemporanea rintraccia nel bozzetto di Francesco il recupero della soluzione luministica e spaziale concepita pochi anni prima vicino al padre quando assieme a lui lavora alla stesura del Paradiso bassanese. Secondo Fomichova all’abbozzo del nuovo Paradiso per il Palazzo Ducale di Venezia lavorò anche il vecchio Jacopo. Chiamato in Laguna dal figlio fu di grande sostegno nell’ideazione della composizione.

 

Sul tema Ognissanti Francesco il Giovane ritornerà alcuni anni dopo l’esperienza veneziana quando con il fratello Leandro per la chiesa del Gesù a Roma dipinge la Trinità, i santi e le sante del Paradiso. Realizzata a Venezia, l’opera fu spedita a Roma dopo il gennaio del 1592. Il 3 luglio di quell’anno, a pochi mesi dalla morte del padre, Francesco muore gettandosi dalla finestra dopo un precedente tentativo di suicidio. Dalla madre Elisabetta Merzani aveva ereditato “alcune leggerezze di mente, le quali col progresso del tempo si avanzarono in modo, che diede ne’ deliri” scrive il Ridolfi.

 

Il Paradiso romano, inserito entro un’edicola timpanata marmorea, presenta una divisione marcata delle figure in quattro gruppi, secondo “una sequenza per cieli successivi scalati verso l’empireo” afferma la storica Ericani. Compare Dio Padre vicino a Gesù assente nel Paradiso bassanese. Il raffronto tra le due tele palesa la portata della transizione padre-figlio. L’armoniosa profondità costruita con tinte accese e a colpi di pennello, che Jacopo ricerca attraverso uno studio attento della gestualità tutto teso all’unitarietà compositiva, si rabbuia nelle tonalità fredde e piatte di Francesco la cui pittura, carica di contrasti luministici, accoglie i dettami dell’epoca barocca.

 

Jacopo dai suoi contemporanei era molto apprezzato per quel modo di stendere il colore a macchia. Del pittore bassanese il Boschini nella Carta del Navigar Pitoresco ricorda: «quei colpi, quel machie e quele bote – Che stimo preciose piere fine – Perle, rubini, smeraldi e turchine – diamanti, che risplende fin la note». Lo scintillio cromatico che cifra l’opera giovanile e della piena maturità vira in contrasti chiaroscurali violenti in vecchiaia. Il colore si fa spettrale, s’incupisce in scene notturne e drammatiche dalla forte valenza psicologica. Jacopo reagisce al classicismo del Rinascimento e anticipa il Seicento, il naturalismo di Caravaggio e l’espressionismo di El Greco. Figli e nipoti fanno proprio l’ultimo Jacopo, il più tormentato ma anche il più moderno, dando avvio al così detto Bassanismo. I seguaci della dottrina pittorica dalpontiana rubano ai Bassano soltanto il nome, non la potenza artistica.

 

«Del Bassano si ha da pensare più sublimemente» scrive lo storico dell’arte Roberto Longhi nel 1926. Sono gli anni della rivalutazione critica del pittore veneto dopo un lungo silenzio sulla sua opera. Nell’Ottocento il critico Theophile Gautier, che con Jacopo condivideva l’amore per i gatti, afferma: «Siamo arrivati al punto di odiare i Bassano grandi e piccoli. Quegli eterni quadri di animali usciti dalla loro bottega e sparsi per tutta l’Europa!». Lo scrittore francese s’infuria nei confronti del Bassanismo, un fenomeno nel quale ravvisa la regione dell’oblio in cui il grande Jacopo cadde per più di due secoli.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]