DI PADRE IN FIGLIO
LA TRILOGIA DEL PARADISO DEI BASSANO
di Marialuisa Dus
I Dal Ponte dipingono per ben tre
volte il Paradiso, per le
città di Bassano, Venezia e Roma. I
dipinti, testi essenziali per
comprendere lo sviluppo stilistico
della pittura dalpontiana di fine
Cinquecento, appartengono al periodo
della vecchiaia di Jacopo. L’artista
bassanese esegue la tela del
Paradiso per la città dov’è nato
a quasi settant’anni. Le pitture
costituiscono una vera e propria
trilogia sul tema della festa di
Tutti Santi. Chiariscono
l’importanza del ruolo paterno
rispetto alla produzione dei figli.
Jacopo aveva acquisito dal padre,
Francesco il Vecchio, un’eredità
artistica che negli anni Trenta del
Cinquecento era riuscito
brillantemente a rinnovare nella
costruzione spaziale e nello stile
compositivo. Francesco il Vecchio,
modesto artista di provincia, fu
capostipite di una dinastia di
pittori comprendente tre
generazioni. Il lascito di Jacopo,
innovativo nel panorama europeo,
evolve sotto il pennello dei suoi
quattro figli. All’ultima maniera di
Jacopo, scomposta e incoerente ma
ugualmente penetrante, che transita
da uno stile magicamente luminoso a
uno gravemente tetro, Francesco,
Leandro, Giambattista e Girolamo
apportano, seppur talvolta in
maniera pedestre, le novità della
cultura artistica della loro epoca.
La pittura dalpontiana attorno agli
anni Sessanta del Cinquecento si
sofferma sui temi biblici e
pastorali, apprezzati dalla
committenza del tempo, e poco dopo
muta linguaggio. I figli di Jacopo,
meno profetici del padre,
abbandonano gli equilibri
classicisti del primo Jacopo così
come i toni esagitati dell’ultimo
Jacopo, pittore espressionista. I
Bassano della terza generazione sul
finir del secolo sono pronti ad
accogliere come esercizio, talvolta
dimesso e poco appassionato, le luci
notturne della pittura seicentesca
in scene di genere cupe e
stereotipate.
Nel 1578-1580 per l’altare maggiore
della chiesa di Ognissanti di
Bassano Jacopo dipinge la tela del
Paradiso in collaborazione
con il primogenito Francesco, oggi
conservata al Museo Civico. Nel
ritratto cinquecentesco che della
città di Bassano restituisce una
visione a volo d’uccello compare sul
margine destro, appena fuori le
mura, una piccola croce. Nella mappa
dalpontiana, dipinta da Francesco e
Leandro, a lato del simbolo sacro si
nota un piccolo edificio. Nel
manufatto architettonico appena
abbozzato si riconosce la chiesa di
Ognissanti. L’edificio sacro fu
costruito tra il 1568 e il 1573 dai
padri Cappuccini grazie a un
sussidio di cento ducati ricevuto
dal comune.
La tela bassanese rappresenta Dio
nella gloria dei suoi santi. Secondo
la studiosa Giuliana Ericani le
figure celesti che compaiono nel
Paradiso sono quelle delle
Antifone e delle Lezioni del
Credo secondo Damasco, la
Santissima Trinità, la Madonna, gli
Angeli, i Santi, gli Apostoli, i
Martiri, i Confessori, le Vergini, e
le gerarchie terrene, dai Vescovi ai
Decani fino ai Pueri.
Nell’empireo, sotto la luce dello
Spirito Santo, intorno a Gesù con la
Vergine e san Giovanni Battista ai
lati, si dispongono le cerchie
angeliche. Più in basso a destra
san Paolo con la spada, san Lorenzo
con la graticola e san Stefano con
la dalmatica del diacono, a sinistra
san Pietro e san Luca. Si riconosco
nel primo cerchio di figure gli
evangelisti, Giovanni con l’aquila e
Matteo con l’angelo, gli apostoli
Andrea con la croce e Giacomo con il
bordone e infine i patriarchi
biblici, Noè con un modellino
dell’arca, Mosè con le tavole del
decalogo e Davide con l’arpa.
Nel secondo cerchio di figure vicino
ai padri della Chiesa trova posto un
affollato gruppo di sante. Si
riconosce santa Maria Maddalena con
l’ampolla degli unguenti, santa
Caterina con la corona deposta a
terra e la ruota, sant’Orsola con la
corona sul capo, santa Giustina con
la palma, sant’Agata con i seni
tagliati, santa Lucia con gli occhi
sul piattino. A destra compare un
santo vescovo, forse san Bassiano,
assieme a un francescano, un
agostiniano e un cappuccino e a san
Francesco d’Assisi che mostra le
stigmate.
Nel registro inferiore si mostrano
sant’Antonio abate seduto con il
grande libro della regola sulle
ginocchia e ai piedi il fuoco, san
Martino con il mantello, san
Cristoforo con la palma, santa
Veronica con il volto di Cristo
impresso sul velo, san Rocco con il
petaso e l’abito del pellegrino, un
papa, un santo con turibolo, san
Nicolò da Tolentino con la stella in
mezzo al petto, santa Chiara e santa
Caterina da Siena.
All’interno di questo gruppo di
figure in primo piano ve ne sono
alcune del tutto analoghe per abiti
e pose ai soggetti presenti in
San Martino e il povero con
sant’Antonio abate, dipinto che
Jacopo realizza per la chiesa di
Santa Caterina, fondata alla fine
del Trecento nei pressi del fiume
Brenta come ospizio per i
pellegrini. Lodato da Giambattista
Verci per le cinquanta “bellissime
figure”, molte delle quali desunte
da Tiziano Vecellio secondo il
Ridolfi, il Paradiso di
Bassano appare come un tripudio di
volti, mani, piedi, di figure umane
nelle pose più diverse.
.
Il Paradiso,
olio su tela, cm 273 x 156,
1578-1580. Bassano del Grappa, Museo
Civico.
Amante della campagna per la quale
lascia Venezia, apprezzato dai
collezionisti fiamminghi,
appassionato di animali e piante,
Jacopo inaugura la stagione della
pittura di genere a soggetto sacro.
Con Jacopo, uno dei massimi
interpreti della cultura figurativa
veneta del Cinquecento, entra nella
scena biblica la vita campestre.
Nessuna nota paesaggistica nel
Paradiso bassanese. Tuttavia i
personaggi sacri assumono carattere
umano mentre si contorcono, i loro
volti si riempiono di rughe. Il
naturalismo di Jacopo, che trova
massima espressione nel genere
pastorale, permane anche nella
pittura in cui da vecchio si
rifugia, nelle grandi visioni
mistiche.
Nel 1578 Francesco il Giovane lascia
la bottega in Contrà del Ponte per
trasferirsi a Venezia dove dieci
anni dopo lo raggiungerà Leandro
rimasto a lavorare più a lungo in
famiglia. Francesco con il padre
aveva da poco terminato la pala
della Circoncisione
(1575-1577) commissionata dalla
Confraternita del Nome di Gesù per
l’altare della chiesa cittadina di
Santa Maria in Colle. L’iscrizione
sul plinto della colonna che compare
raffigurata a sinistra della tela
riporta i nomi di entrambi i
pittori, testimonianza della stretta
collaborazione tra padre e figlio.
Secondo lo storico Ottone Brentari
le fattezze di Jacopo si riscontrano
nella figura antistante
all’iscrizione mentre quelle di
Francesco nella figura che sguscia
appena dietro. Fu di Ottone Brentari
l’idea di erigere al grande pittore
un monumento, inaugurato nel 1893 e
tuttora apprezzabile a Bassano, in
Piazzetta Jacopo da Ponte, già Santa
Chiara. Il ritratto in marmo a
figura intera di Jacopo è di
Giovanni Fusaro, scultore povese.
Eseguita a Venezia l’opera arrivò a
Bassano tramite trasporto
ferroviario.
Un distacco quello intrapreso dal
primogenito di Jacopo forse troppo
ambizioso tanto che presto non
mancherà di chiedere aiuto.
Francesco, il più dotato dei quattro
fratelli, evidentemente contava
molto sulle proprie abilità. Dal
1575 in poi, in particolare con la
commessa del ciclo a fresco della
cappella del Rosario della chiesa
parrocchiale di Cartigliano,
l’anziano padre affida al figlio e
al suo vigore creativo molte delle
tante commesse che in quegli anni la
bottega riceve.
Il Museo di Stato dell’Ermitage di
San Pietroburgo conserva una tela di
Francesco Bassano acquistata nel
1815 a Parigi tramite il barone
Dominique Vivant-Denon, a quel tempo
direttore del Museo Louvre. La
paternità del quadro, pervenuto in
Russia come opera del veneziano
Tintoretto, è stata restituita
all’artista bassanese soltanto nel
1913 grazie agli studi di Liphart.
Nell’opera è stato riconosciuto il
bozzetto presentato al concorso
bandito a Venezia nel 1582 per il
nuovo Paradiso. “Il
dipinto da cavalletto più grande di
tutti i tempi” doveva sostituire
nella Sala del Maggior Consiglio
l’affresco del Guariento
raffigurante L’incoronazione di
Maria danneggiato dall’incendio
che nel 1577 distrusse del Palazzo
dei Dogi l’ala occidentale e quella
meridionale.
Alla competizione veneziana prendono
parte Jacopo Tintoretto, Paolo
Veronese, Palma il Giovane e
Francesco Bassano. I quattro artisti
presentano bozzetti raffiguranti gli
Ognissanti, simili per dimensioni
diversi per stile compositivo. Il
primo premio fu aggiudicato ex
aequo a Paolo Veronese e
Francesco Bassano. I due artisti
lavorano al progetto congiuntamente
fino a quando nel 1588 Veronese
muore. Oggi in loco dietro il
Tribunale, dove al tempo sedevano il
Doge e la Signoria, trova posto il
grande telero realizzato da
Tintoretto e dalla sua bottega.
Lo studio dell’iconografia del
bozzetto dalpontiano, raffigurante
al centro l’Incoronazione della
Vergine circondata dai
ventiquattro vegliardi
dell’Apocalisse, ha evidenziato
forti somiglianze con l’idea
presentata dal Veronese. Entrambi
gli artisti si allontanano dal
concetto spaziale piramidale tipico
dell’epoca rinascimentale. Il gruppo
di figure centrale sta dentro un
“cono dantesco” luminoso che inclina
verso il fondo. A legare il
tribunale celeste e quello terreno è
un pozzo di luce. La critica
contemporanea rintraccia nel
bozzetto di Francesco il recupero
della soluzione luministica e
spaziale concepita pochi anni prima
vicino al padre quando assieme a lui
lavora alla stesura del Paradiso
bassanese. Secondo Fomichova
all’abbozzo del nuovo Paradiso
per il Palazzo Ducale di Venezia
lavorò anche il vecchio Jacopo.
Chiamato in Laguna dal figlio fu di
grande sostegno nell’ideazione della
composizione.
Sul tema Ognissanti Francesco
il Giovane ritornerà alcuni anni
dopo l’esperienza veneziana quando
con il fratello Leandro per la
chiesa del Gesù a Roma dipinge la
Trinità, i santi e le sante del
Paradiso. Realizzata a Venezia,
l’opera fu spedita a Roma dopo il
gennaio del 1592. Il 3 luglio di
quell’anno, a pochi mesi dalla morte
del padre, Francesco muore
gettandosi dalla finestra dopo un
precedente tentativo di suicidio.
Dalla madre Elisabetta Merzani aveva
ereditato “alcune leggerezze di
mente, le quali col progresso del
tempo si avanzarono in modo, che
diede ne’ deliri” scrive il
Ridolfi.
Il Paradiso romano, inserito
entro un’edicola timpanata marmorea,
presenta una divisione marcata delle
figure in quattro gruppi, secondo
“una sequenza per cieli successivi
scalati verso l’empireo” afferma la
storica Ericani. Compare Dio Padre
vicino a Gesù assente nel
Paradiso bassanese. Il raffronto
tra le due tele palesa la portata
della transizione padre-figlio.
L’armoniosa profondità costruita con
tinte accese e a colpi di pennello,
che Jacopo ricerca attraverso uno
studio attento della gestualità
tutto teso all’unitarietà
compositiva, si rabbuia nelle
tonalità fredde e piatte di
Francesco la cui pittura, carica di
contrasti luministici, accoglie i
dettami dell’epoca barocca.
Jacopo dai suoi contemporanei era
molto apprezzato per quel modo di
stendere il colore a macchia. Del
pittore bassanese il Boschini nella
Carta del Navigar Pitoresco
ricorda: «quei colpi, quel machie
e quele bote – Che stimo preciose
piere fine – Perle, rubini, smeraldi
e turchine – diamanti, che risplende
fin la note». Lo scintillio
cromatico che cifra l’opera
giovanile e della piena maturità
vira in contrasti chiaroscurali
violenti in vecchiaia. Il colore si
fa spettrale, s’incupisce in scene
notturne e drammatiche dalla forte
valenza psicologica. Jacopo reagisce
al classicismo del Rinascimento e
anticipa il Seicento, il naturalismo
di Caravaggio e l’espressionismo di
El Greco. Figli e nipoti fanno
proprio l’ultimo Jacopo, il più
tormentato ma anche il più moderno,
dando avvio al così detto Bassanismo.
I seguaci della dottrina pittorica
dalpontiana rubano ai Bassano
soltanto il nome, non la potenza
artistica.
«Del Bassano si ha da pensare più
sublimemente» scrive lo storico
dell’arte Roberto Longhi nel 1926.
Sono gli anni della rivalutazione
critica del pittore veneto dopo un
lungo silenzio sulla sua opera.
Nell’Ottocento il critico Theophile
Gautier, che con Jacopo condivideva
l’amore per i gatti, afferma: «Siamo
arrivati al punto di odiare i
Bassano grandi e piccoli. Quegli
eterni quadri di animali usciti
dalla loro bottega e sparsi per
tutta l’Europa!». Lo scrittore
francese s’infuria nei confronti del
Bassanismo, un fenomeno nel quale
ravvisa la regione dell’oblio in cui
il grande Jacopo cadde per più di
due secoli.