N. 30 - Giugno 2010
(LXI)
Il treno
marchingegno sconvolgente del diciannovesimo secolo
di Salvina Pizzuoli
La
macchina
come
minaccia,
la
macchina
come
aspettativa
di
un
futuro
migliore:
il
treno
non
si è
sottratto
a
questa
doppia
prospettiva.
Oggi
sfreccia
e
sparisce
dentro
una
galleria
con
la
sua
sagoma
slanciata
e
affusolata:
due
strisce,
una
rossa
e
una
bianca,
si
stemperano
nel
paesaggio;
è
molto
diverso
dal
bello
e
orribile
mostro
che
sferragliava
tra
bagliori
di
fuoco
e
nuvole
nere
di
fumo,
ma è
ancora
carico
del
suo
retaggio
e
preannuncia
un
futuro
prossimo
denso
di
effetti.
Oggi
si
fregia
del
prefisso
iper
e la
sua
tecnologia
lo
avvicina
a
quello,
allora
avveniristico,
uscito
dalle
pagine
di
Salgari
che
procedeva
con
la
velocità
di
trecento,
azionato
e
spinto
dentro
un
tubo
di
acciaio
da
pompe
mosse
da
macchine
poderose,
che
iniettano
nel
tubo
correnti
d'aria;
ma
la
realtà
futura
potrebbe
questa
volta
superare
le
più
sfrenate
fantasie:
senza
rotaie,
senza
motrici,
senza
ruote,
sostenuto
solo
da
cuscinetti
elettromagnetici.
Una
nuova
sfida
è
infatti
già
iniziata
e lo
vede
in
gara
con
aerei
e
automobili,
forse
foriera
di
nuovi
turbamenti,
perché
tali
e
tanti
furono
quelli
che
riuscì
a
scatenare
negli
anni
della
sua
comparsa.
Se
procediamo
con
un
viaggio
a
ritroso
negli
elementi
sensibili
del
suo
cammino,
rintracciamo
nel
panorama
artistico-letterario
gli
effetti
emozionali
che
produsse
negli
uomini
di
duecento
anni
fa
mentre
nel
territorio
sono
ancora
visibili
testimonianze
architettoniche
di
ingegneria
d’avanguardia.
Tornare
indietro
e
seguire
il
cammino
del
nostro
protagonista
sin
dalle
fasi
iniziali
non
è
difficile;
è
infatti
punteggiato
da
tracce
evidenti
dato
che
aveva
sconvolto
i
luoghi
e le
menti
dei
suoi
contemporanei
che
gli
avrebbero
conferito
ruolo
di
primo
piano
non
solo
in
letteratura,
ma
soprattutto
nell’iconografia;
un
posto
preminente,
quasi
ingombrante.
Sin
dalla
prime
locomotive
a
vapore,
che
fanno
la
loro
comparsa
intorno
al
1830
in
Inghilterra
e
negli
Stati
Uniti,
il
mostro
metallico
ha
scatenato
atteggiamenti
o di
aperta
avversione
o di
smisurata
meraviglia,
che
si
sono
protratti
nel
tempo.
Non
era
certo
visto
di
buon
grado
dai
proprietari
terrieri
dei
quali
attraversava
le
proprietà,
né
tanto
meno
dai
conduttori
di
diligenze;
anche
alcuni
medici
paventavano
sindromi
mentali
o
disturbi
legati
alle
emanazioni
tossiche.
Ma
suscitava
anche
sorpresa
e
scatenava
sogni
in
chi
attendeva
il
suo
passaggio
sbuffante,
come
un
innamorato
al
primo
appuntamento.
Anche
nelle
pagine
degli
intellettuali
del
tempo
diventa
sinonimo
di
progresso
e di
modernità
o di
meccanismo
che
sconvolge
il
territorio
e
sovverte
i
rapporti
umani.
Emilio
Praga
e
Iginio
Ugo
Tarchetti,
esponenti
della
Scapigliatura
lombarda,
lontani
nei
valori
della
loro
poetica
dai
nuovi
orizzonti
aperti
dal
progresso
scientifico,
vivono
il
fenomeno
da
spettatori
e
mostrano
nei
confronti
del
treno
atteggiamenti
diversi
e
contraddittori
che
ondeggiano
tra
il
fascino
e la
ripulsa;
il
primo
si
fa
testimone
dello
scempio
del
paesaggio
naturale
ad
opera
del
ferrato
cammin
descrivendo
nei
suoi
versi
con
toni
crudi
la
nuova
faccia
del
mondo
che
di
pali
…
copresi/
che
pare
un
cimitero;/
si
abbatton
torri
e
querce
e
campanili,/
il
cielo
è
tutto
un
rabesco
di
fili
;Tarchetti
al
contrario
descrive
un
viaggio
in
treno
durato
sei
ore
come
se
si
fosse
trovato
in
una
specie
di
dolce
rapimentocon
l’anima
perduta
nella
natura,
della
quale
riesce
ad
abbracciare
in
poche
ore
estensioni
smisurate;
per
lo
scrittore
il
treno
è
come
se
avesse
messo
all’uomo
le
ali.
Emessaggero
di
morte
nel
romanzo
di
Tolstoj:
la
protagonista
Anna
Karenina
muore
infatti
suicida
sotto
un
treno.
La
scelta
è
eloquente
come
ha
sottolineato
Eifman
rivisitando
il
capolavoro
del
romanziere
russo;
nel
suo
balletto
il
treno
è
fatto
di
carne
e di
membra
che
stritolano
l’eroina,
vittima
di
una
società
insensibile
e
inumana,
incarnata
dal
treno.
In
Thoreau
il
fischio
stesso
della
locomotiva
sarà
registrato
come
suono
innaturale
e
minaccioso;
mentre
in
Pirandello,
nella
novella
omonima,
il
fischio
sarà
richiamo
maligno
nella
logorante
routine
di
un
impiegato
modello
e
nello
stesso
tempo
salvezza
dalla
medesima.
È
evidente
che
le
reazioni
entusiastiche
esprimevano
la
fede
illuministica
nel
progresso
e
nelle
capacità
umane
oppure
gli
interessi
della
nuova
borghesia
industriale
e
commerciale;
le
contrarie
evidenziavano
la
minaccia
di
uno
snaturamento
e la
volontà
quindi
di
restare
ancorati
alle
certezze
del
passato;
erano
comunque
entrambe
espressione
del
turbamento
profondo
determinato
da
un
congegno
capace
di
sconvolgere,
e
non
soltanto
i
vecchi
canoni
del
viaggiare.
La
prima
apparizione
nell’arte
figurativa
è
illustre;
la
tavola
è di
Turner
(1844),
pochi
anni
dopo
la
comparsa
nell’Inghilterra
del
1830
della
prima
locomotiva
a
vapore.
Turner
all’età
di
settant’anni
dipinge
Pioggia,
vapore
e
velocità,
ispirato
da
un’esperienza
personale
vissuta
in
un
giorno
di
pioggia,
all'altezza
del
Maidenhead
Bridge,
su
un
convoglio
della
Great
Western,
compagnia
ferroviaria
inglese
creata
nel
1833,
lungo
la
linea
che
da
Londra
raggiungeva
le
regioni
dell'ovest
dell'Inghilterra
e il
sud
del
Galles.
Pochi
elementi
caratterizzano
la
tela:
un
ponte
ad
arcate
sulla
sinistra
e un
ponte
a
destra
su
cui
sta
correndo
la
locomotiva;
il
treno,
circondato
dal
fumo
nero,
non
è
ben
definito
e
delineato
nelle
forme
se
non
in
quelle
caratteristiche
della
vaporiera;
il
paesaggio
è
fatto
di
vapore
e
luce
che
confonde
i
contorni
dentro
macchie
di
colore;
una
lepre
corre
accanto
al
treno.
La
linea
diagonale
del
ponte
evidenzia
la
corsa
inarrestabile
della
locomotiva,
meccanismo
associato
alla
lepre,
equivalente
di
velocità
in
natura.
Già
a
pochi
anni
dalla
sua
comparsa,
il
treno
è
vissuto,
interpretato
e
proposto
dalla
sensibilità
artistica
del
tempo
come
marchingegno
affascinante,
dirompente
e
trionfatore,
tanto
da
diventare
oggetto
tra
i
più
rappresentati;
l’arte
in
plain-aire
proporrà
infatti
da
Monet
a
Manet
stazioni
e
treni,
meccanismi
fumiganti
e
solitari
o
accostati
all’elemento
umano,
come
nel
realismo
degli
scompartimenti
di
Daumier.
A
questi
esordi
in
sordina,
possiamo
dire,
figurandoli
con
quelli
successivi,
segue
la
totale
affermazione
e il
primato
nelle
tele
dei
futuristi
italiani.
Il
treno,
la
città
industriale,
la
stazione
e lo
sbuffare
delle
locomotive
saranno
elementi
non
solo
presenti,
ma
rappresentativi,
come
dichiaravano
le
parole
di
Marinetti
su
Le
figaro
nel
1909
-
noi
canteremo […]
le
locomotive
dall'ampio
petto,
che
scalpitano
sulle
rotaie,
come
enormi
cavallini
d’acciaio
imbrigliati
di
tubi…
Pannaggi,
Severini,
Boccioni,
Depero
lo
renderanno
protagonista
in
molte
tele.
Anche
la
pittura
metafisica
di
De
Chirico
inserirà
spesso
la
sagoma
inconfondibile
di
un
treno
in
varie
Piazze
dfItalia;
il
suo
pennacchio
occuperà
uno
spazio
non
secondario,
nonostante
le
dimensioni
non
appariscenti
e la
posizione
sullo
sfondo.
Il
binomio
treno
e
stazione
diventerà
non
solo
inseparabile
protagonista
in
pittura
e in
architettura,
ma
anche
di
quell’arte
che
rispondeva
ai
nuovi
bisogni
del
mercato:
l’arte
delle
affiches,
i
manifesti
anticipatori
della
cartellonistica
pubblicitaria;
da
Beltrame,
prestigioso
illustratore
della
copertina
della
Domenica
del
Corriere,
a F.
Hugo
D’Alesi
fino
a
Cassandre
la
nuova
forma
d’arte
riuscì
a
veicolare
precisi
messaggi
delle
compagnie
ferroviarie
committenti,
rivolgendosi
al
grande
pubblico
cui
erano
destinate;
dopo
un
primo
momento
in
cui
prevale
la
parte
illustrativa,
si
assiste,
soprattutto
tra
le
due
guerre
e
nelle
opere
di
Cassandre
in
particolare,
alla
nascita
di
quello
che
oggi
comunemente
chiamiamo
messaggio
mediatico;
nei
suoi
cartelloni
infatti
il
treno,
sfrondato
da
ogni
peculiarità,
assurge
a
simbolo
di
libertà,
viaggio,
avventura.
La
stazione,
altro
elemento
chiave
del
binomio,
oltre
all’essere
punto
di
arrivo
e
partenza,
assumerà
anche
caratteristiche
che
esuleranno
dal
dato
sensibile
costituito
dalle
realizzazioni
dell’ingegneria
e
dell’
architettura,
sarà
immaginario
di
separazioni
e
attese,
di
spostamenti
dinamici,
ma
anche
di
differenze
sociali,
di
ricerca
di
una
vita
meno
disagiata,
di
illusioni
di
un
mondo
più
piccolo
e
migliore.
La
stazione
che
contraddistingue
le
capitali
europee
alle
origini
del
fenomeno
è la
stazione
di
testa
in
quanto
in
essa
tutte
le
linee
provenienti
dalle
diverse
direzioni
convergono
verso
un
unico
marciapiede
posto
trasversalmente.
La
stazione
è al
tempo
stesso
parte
della
città
e
passaggio
verso
l’esterno.
La
sua
stessa
struttura
sembra
richiamare
questa
doppia
funzione
con
il
suo
aspetto
bifronte:
da
una
parte
la
facciata
classicheggiante,
con
le
composizioni
dei
marmi
e
delle
pietre
pregiate,
quella
rivolta
verso
lo
spazio
urbano
al
quale
si
affaccia
in
forme
volutamente
ricercate
e
convenienti
alla
funzione;
dall’altra
il
lato
industriale,
di
fabbrica,
quello
rivolto
verso
lo
spazio
extraurbano,
dove
dominano
il
ferro
e il
vetro,
materiali
nuovi
e
versatili.
Nel
XIX
secolo
infatti
l'architettura
industriale
divenne
un
importante
campo
di
sperimentazione
sia
di
tecniche
costruttive
sia
dell’impiego
di
nuovi
materiali,
quali
la
ghisa,
il
ferro,
il
vetro
e il
cemento
armato,
che
saranno
utilizzati
infatti
per
strutture
agili
e di
rapida
costruzione
come
la
struttura
del
Crystal
Palace
di
Londra,
creato
appositamente
per
la
grande
esposizione
del
1851;
i
ponti
ferroviari
o la
famosa
Tour
Eiffel,
del
1889.
In
Italia
le
centine
di
acciaio
che
costituiranno
l’ossatura
possente
delle
stazioni
dei
grandi
nodi
ferroviari
e
dei
ponti
restano
ancora
oggi
testimoni
di
questa
tecnica
di
costruzione
con
la
loro
traccia
importante
lasciata
sul
territorio,
mentre
le
opere
dell’immaginario
hanno
trasportato
fino
a
noi
il
turbamento
e il
fascino
suscitato
da
un
mezzo
che
in
quell’epoca
rappresentò
o il
sogno
o l’
incubo
di
uno
sfrenato
cambiamento.
Per
noi
uomini
del
terzo
millennio,
ormai
disincantati
di
fronte
anche
alle
più
avveniristiche
promesse
della
scienza,
la
nuova
Frecciarossa,
treno
ad
alta
velocità,
cosa
rappresenterà?
Sarà
celebrata
ancora
nell’immaginario
collettivo
o
potremmo
leggere
i
suoi
colori
e la
sua
forma
come
messaggio
demoniaco
e
distruttore?
Lo
sapremo
presto.
Nella
competizione
che
si è
aperta
entreranno
presto
anche
gli
scali;
gli
aeroporti
infatti,
per
non
essere
da
meno
forse
delle
nuove
stazioni,
si
stanno
rinnovando
in
modo
da
offrire
al
viaggiatore
una
pausa
in
tutto
relax
dentro
avveniristiche
strutture
aeree,
sospese
tra
cielo
e
terra.
Perché
allora
non
rispolverare
un
progetto
di
Antonio
Sant’Elia
? Un
suo
disegno
del
1914
presenta
un
edificio
integrato,
stazione
e
scalo,
dove
la
pista
di
atterraggio
è
collegata,
con
ascensori
dentro
torri
di
acciaio
e
funicolari
a
cremagliera,
ad
una
stazione
sottostante.
E
per
i
viaggi
intercontinentali
chi
avrà
la
meglio
l’aereo
o il
treno?
È
prevista
la
prossima
realizzazione
di
una
lunga
linea
ferroviaria
che
congiungerà
l’occidente
con
l’oriente;
se
la
Tran-Asian
Railway
,
questo
è il
nome
del
progetto
delle
Nazioni
Unite
che
ha
preso
avvio
negli
anni
’60,
sarà
finalmente
realizzata,
la
Cina
sarà
collegata
con
la
Bulgaria
attraverso
11.460
Km
di
rete
ferroviaria
e,
con
percorsi
integrati,
anche
l’India,
Singapore,
Iran
e
Pakistan.
Questo
potrebbe
significare
molte
cose:
i
governi
sarebbero
stati
finalmente
capaci
di
superare
le
controversie
politiche
ed
economiche;
il
lungo
viaggio
in
treno
permetterebbe
ai
viaggiatori
di
impossessarsi
lentamente
dei
paesaggi
ed
entrare
in
reale
contatto
con
le
popolazioni
locali,
mentre
chi
non
ama
volare
potrebbe
finalmente
poter
visitare
in
modo
più
comodo
e
diretto
paesi
così
lontani;
oriente
ed
occidente
potrebbero
conoscere
un
contatto
più
reale
ed
efficace
e il
mondo
potrebbe
essere
davvero
più
piccolo
e
più
umano.
In
questo
forse
consisterà
la
nuova
rivoluzione
portata
dal
treno
a
noi
uomini
del
terzo
millennio.