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> Filosofia e religione

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N. 21 - Febbraio 2007

evoluzione della teoria adalberonianA dei 3 ordini

Substitutiones et commixtiones

di Ferdinando Angeletti

 

L’avvento del Cristianesimo fu qualcosa di rivoluzionario per la civiltà occidentale. Tra le varie implicazioni che il verbo di Cristo aveva portato vi era quella dell’uguaglianza tra gli uomini.

 

In un apparato fortemente gerarchico, quale era l’Impero Romano, una teoria del genere poteva essere molto pericolosa e destabilizzante e, quindi, perseguitata, anche ferocemente (ad esempio sotto Diocleziano e Gallieno).

 

Facciamo ora un salto di tre, quattro secoli e portiamoci agli albori dell’epoca feudale. In quest’epoca un modus vivendi che rispettasse sia le esigenze politiche (che non potevano prescindere dalla differenza sociale) che quelle religiose cristiane (l’uguaglianza tra gli uomini) fu trovato: gli uomini, infatti, erano al tempo stesso Popolo di Dio, e come tali obbligati a seguire i precetti cristiani, ma erano nel contempo sudditi di un imperatore, re o feudatario e come tali portati ad obbedire alle leggi umane (ed ad accettare la disuguaglianza sociale).

 

Non è nostro interesse ora analizzare questo rapporto; esso si focalizzerà essenzialmente sul passaggio successivo. Si passa, infatti, da un sistema binario (chierico – laico, per esempio) ad uno ternario, mediante la creazione di tre grandi gruppi, volti a suddividere la società cristiana.

 

Come abbiamo visto, Il Cristianesimo aveva propugnato l’uguaglianza tra tutti gli uomini; ciononostante le differenze all’interno del Popolo Eletto erano innegabili, nonché sotto gli occhi di tutti.

 

Per questo ci si orientò ad una suddivisione del Popolo di Dio che rispecchiasse la funzione principale svolta dal singolo, una ripartizione funzionale o, per meglio dire, trifunzionale, visto che le funzioni riscontrate erano tre.

Ecco quindi la famosa partizione del vescovo Aldalberone di Laon nei tre ordines: oratores, bellatores e laboratores.

 

Fondamentalmente, quindi, il Popolo di Dio si divideva tra coloro che pregano (i chierici, gli uomini di Chiesa), coloro che combattono (nobili e cavalieri) e coloro che lavorano (nel mondo feudale in cui ci troviamo, si trattava essenzialmente di artigiani e contadini, ovverosia da persone che facevano del lavoro manuale la loro occupazione precipua)

Le funzioni erano ben distinte ma armonicamente organizzate, in quanto ognuna agiva non solo per se stessa, ma anche in favore degli altri due ordines: gli oratores pregavano per la salvezza comune, i bellatores erano tenuti alla difesa degli altri due, i laboratores lavoravano per sfamare tutti.

 

Si trattava comunque di una divisione netta ed inscindibile, nonché, e questo è molto importante, ereditaria (pur con alcuni limiti che esamineremo).

Tale summa divisio non fu frutto dell’ingegno di Adalberone di Laon, ma era già presente in uno scritto di Heric D’Auxerre databile alla fine del IX secolo.

 

Ciononostante, poiché è Adalberone, nel suo “Carmen ad Rodbertum regem”, a darne una descrizione puntuale e chiara, tale teoria (detta appunto dei tre ordini) viene a lui ascritta.

 

Abbiamo detto che tale divisione aveva anche la caratteristica dell’ereditarietà. In parole povere il figlio di un laborator non poteva fare altro che il laborator.

Questo ragionamento è valido finchè si analizzano separatamente e nei loro rapporti l’ordo bellatorum e l’ordo laboratorum.

 

Quando, però, si passa ad analizzare l’ordo oratorum, la caratteristica dell’ereditarietà non può essere contemplata, per motivazioni facilmente comprensibili.

 

Poiché non usufruisce di questa caratteristica, come può l’ordo oratorum continuare ad esistere e sopravvivere nel tempo? È qui che l’elemento dell’ereditarietà viene a perdersi, rimpiazzato con un altro che potremmo definire della “sostituzione”.

 

I tre ordines sono nettamente separati.

Tuttavia questo è vero per laboratores e bellatores.

Al contrario di quanto, un po’ affrettatamente, si è affermato precedentemente, il figlio di un bellator (o di un laborator) non necessariamente doveva seguire l’esempio paterno: poteva invece prendere i voti.

 

Ecco quindi il passaggio da un ordo ad un’altra. Il bellator, cambia, ovvero (per usare il medesimo termine) sostituisce il proprio ordo con un altro e questo non viola la concordia con la quale i tre ordines convivono.

 

Questo modus vivendi così puntualmente organizzato entrò in crisi proprio a causa di substitutiones (se ci è consentito il termine) o per meglio dire, di commixtiones.

Abbiamo visto che l’anello debole del sistema è costituito dall’ordo oratorum.

È proprio dalle commixtiones tra l’ordo oratorum e gli altri due ordines che il sistema vacilla e poi crolla.

 

Ogni commixtio, come vedremo, comporta dei fortissimi colpi all’intero sistema sociale, così come alla mentalità medievale.

 

Commixtio prima: oratores et laboratores

 

Cominciamo da quella commixtio che ebbe gli effetti minori: quella tra oratores e laboratores.

 

Al tempo dell’elaborazione della teoria dei tre ordini, questa commixtio si era già sviluppata ed anzi, avrebbe subito di li a poco una sua evoluzione (o meglio un ritorno alle origini).

 

Il fatto che né Adalberone né gli altri autori prima e dopo di lui, menzionino questo stato di cose è quantomai strano ma non può far altro che confermare quante poche conseguenze avesse avuto, almeno all’epoca, tale fusione.

Torniamo quindi indietro di qualche secolo e fermiamoci al 526 d.C. anno in cui S. Benedetto da Norcia fonda con alcuni compagni il monastero di Montecassino, tra i più celebri del Medioevo.

 

La regola secondo cui i monaci si impegnavano a vivere (Regola Benedicti) era impostata ad una rigida divisione della giornata nei due momenti predominanti dell’orare e del laborare (non a caso celebre è il motto ora et labora).

In questo frangente nella stessa persona (il monaco) andavano a confluire i due elementi, propri di due ordines diversi.

 

Ad onor del vero bisogna ricordare che già dal IV secolo, con la Regola di S. Cesareo di Cappadocia, la vita dell’eremita, o del monaco, era improntata a questo genere di vita.

Lo sviluppo dell’ordine benedettino, comunque, non influenzò più di tanto l’economia e la società medievali, almeno per quanto concerne l’aspetto che più ci interessa.

Infatti con il passare del tempo, si fece sempre meno ricorso al diretto lavoro dei monaci, affidando i lavori pesanti a braccianti stagionali o a fittavoli.

 

Chi, invece, influenzò grandemente la mentalità medievale e si pose come diretta derivazione dell’ordine benedettino fu l’ordine di Citeaux, ossia i cistercensi.

Costoro, alla ricerca di un ritorno alla regola pura di S. Benedetto, si dedicarono attivamente al pregare e lavorare, preoccupandosi di disboscare boschi, di bonificare paludi, di seminare terreni lasciati incolti, lavorando molto spesso e quasi totalmente in proprio.

 

Come evidenziato da H. Pirenne, infatti, mentre le abbazie benedettine ricevevano spesso in eredità fondi già coltivati, i cistercensi, non trovando più terreni liberi, ne ricevevano di incolti, dovendo quindi provvedere in proprio.

Si assiste, quindi, alla prima spallata ad un sistema che, invece, non ammetteva altre soluzioni. Adalberone, non a caso, paragonava la comunità umana a quella divina.

E come Dio era uno e trino, così la comunità cristiana doveva essere una ma separata in tre parti.

 

Ad onor di ciò, comunque, si potrebbe dire che, come tra le tre persone della Trinità esistevano dei rapporti (mirabilmente esposti nel Credo), così anche tra i tre ordines dovevano esistere dei rapporti ben evidenziati dalle commixtiones.

 

Commixtio secunda: oratores et bellatores

 

Analizziamo in seconda battuta quella tra oratores e bellatores.

In linea teorica, e nell’immaginario collettivo coloro che pregano e coloro che combattono sono difficilmente conciliabili.

 

Anche per gli uomini medievali una cosa del genere era fuori dall’ordinario; già alcuni canonisti ed alcuni teologi non vedevano di buon’occhio operazioni belliche compiute direttamente, o in nome e per conto, di un ecclesiastico (ad esempio un vescovo – conte), tanto meno quelle dei Pontefici (forti furono le rimostranze per la campagna meridionale in funzione anti – normanna conclusasi con la battaglia di Civitate del 1053).

 

In una particolare accezione, potremmo vedere in queste prime forme una prima fusione tra l’elemento bellandi e quello orandi, corrispondente, circa alla formazione dei cosiddetti “Milites Christi”

Ciononostante, come è stato mirabilmente osservato da A. Demurger, la resistenza ad accettare questa commixtio era piuttosto forte; si trattava fondamentalmente di cambiare mentalità, di aprirsi ad un’idea prima inconcepibile.

Un altro colpo a questa teoria venne con le crociate.

 

La crociata (o, per meglio dire, il passagium) altro non era se non un pellegrinaggio armato, volto a visitare, e nel contempo liberare, i Luoghi Santi.

Nella mentalità medievale era inimmaginabile il caso di un pellegrino che nel contempo combatta e preghi, come faceva, appunto, il cruce signatus.

Non si trattava ancora, però, di una commixtio in toto, nella quale i due ordines si fondevano. Il cruce signatus, infatti, distingueva temporalmente i due momenti, ovverosia il bellare e l’orare.

 

Dapprima combatteva per liberare, difendere o sostenere i Luoghi Santi, e poi compiva, disarmato come voleva la regola, il pellegrinaggio al Santo Sepolcro.

Questo ordine non sempre era rispettato, spesso prima si compiva il pellegrinaggio e poi si combatteva, come nel caso di Luigi VII di Francia nel 1144 – 1145; comunque in linea teorica i due momenti erano pressoché separati.

 

Ciò che diede un colpo formidabile, ancorché non definitivo, alla teoria adalberoniana, si ebbe nei primi decenni del XII secolo, con la formazione dei primi ordini religioso – militari: Templari (dal 1118) ed Ospedalieri (dal 1127).

Non è nostro compito, ora, analizzare le cause che portarono alla formazione di tali ordini (e di quelli che presto li affiancarono) né il loro sviluppo, bensì il danno che, forse inconsapevolmente, provocarono alla teoria di Adalberone ed all’intera mentalità medievale.

 

Sotto questo punto di vista, infatti, il fratello templare, ospedaliero, teutonico, ecc. era nello stesso momento, orator e bellator.

Contemporaneamente infatti, era un cavaliere (investito o meno, a seconda della classe sociale di appartenenza) ed un chierico, o comunque un monaco, avendo preso i tre voti di castità (in alcuni casi si trattava di castità coniugale), povertà ed obbedienza.

 

La commixtio era totale: per i medievali un colpo mortale, che provocò reazioni talmente dure che lo stesso S. Bernardo da Chiaravalle (forse il miglior predicatore della storia cristiana) si sentì in obbligo di intervenire, componendo quell’apologia dell’Ordine Templare (in verità, poi, dell’intero sistema degli Ordini) che è il De laude novellae militiae.

 

L’accettazione di questo stato di cose necessitò di qualche anno, ma già nella seconda metà del XII secolo, tale processo poteva dirsi ben avviato, come è testimoniato dal vertiginoso sviluppo, numerico e patrimoniale, degli ordini religioso – militari.

Se a livello teorico la commixtio tra bellatores ed oratores era combattuta, avversata o comunque non vista di buono occhio, a livello pratico, si creò una situazione ancor più difficile.

 

Solamente ben pochi teologi e dotti avvertirono le difficoltà di un tale evento, mentre erano sotto gli occhi di tutti, dotti o meno, le conseguenze pratiche di questa commixtio.

 

I fratelli dei vari ordini militari erano, infatti, al tempo stesso dei chierici e dei combattenti: a quale autorità rispondevano? Alle autorità ecclesiastiche o a quelle temporali? O a nessuna delle due?

 

È assodato che furono le autorità ecclesiastiche ad avere il controllo degli ordini, nonostante le autorità temporali abbiano cercato sempre di avere un qualche tipo di influenza sulle azioni dei fratelli cavalieri (lampante è l’esempio degli ordini militari iberici, quali Santiago e Calatrava, spesso controllati dai sovrani dei regni iberici).

Comunque anche affermare che gli ordini erano subordinati alle autorità ecclesiastiche è quantomai impreciso.

 

In verità gli ordini erano subordinati direttamente ed esclusivamente (o quasi) al Pontefice, il che equivaleva ad un’autonomia pressoché totale.

Il privilegium fori, infatti, escludeva i fratelli dalla giurisdizione sia civile che ecclesiastica (nel senso stretto del termine) rimettendo i giudizi direttamente all’ordine di appartenenza.

 

Inoltre l’esenzione dalle decime ecclesiastiche (pratica pressoché seguita ovunque), li rendeva separati non solo dal punto di vista economico, ma anche giuridico, dalla gerarchia ecclesiastica ordinaria.

 

Il legame diretto con il Pontefice, tuttavia, non implicava una sudditanza totale alle sue direttive. È incontestabile, infatti, la pressoché totale indipendenza degli ordini militari, autonomia che a lungo andare, li rese invisi alle autorità ecclesiastiche ed, ancor di più, civili (il caso dei Templari è esemplare a riguardo).

 

Commixtio tertia: bellatores et laboratores

 

Abbiamo or ora analizzato la commixtio più comune, la più nota, ovverosia quella tra oratores e bellatores. Esiste comunque un’ulteriore combinazione inter ordines, forse meno famosa e studiata, ma più rilevante dal punto di vista storico: quella tra bellatores e laboratores.

 

Tale rapporto contemplò diversi ed anche contrastanti momenti e noi cercheremo di analizzarli più o meno tutti.

 

Pensando al Medioevo ed al mestiere delle armi, non si può fare a meno di evidenziare il rapporto logico – ideologico: guerriero à cavaliere à nobile.

 

Una battaglia, però, non si combatte solamente con truppe a cavallo, ma anche con truppe appiedate. Spesso il Medioevo è stato definito l’età della cavalleria, e certo a ragione; infatti in nessuna altra epoca la cavalleria ebbe un ruolo tanto predominante e decisivo nel risolvere una battaglia.

 

Eppure quel periodo si concluse relativamente presto. Già nel XIV secolo si mostrarono le prime avvisaglie di questa crisi, con le battaglie di Sempach (1386) e Morgarten (1315) ed ancor di più Crecy (1346) ed Azincourt (1415), dove corpi di fanteria pesante (nei primi due casi) o di arcieri (nel caso delle battaglie della guerra dei Cent’anni) sconfissero pesantemente le truppe a cavallo nemiche.

 

L’ultimo spasmo è costituito dalla battaglia di Pavia (1527), considerata la “tomba della cavalleria”. Fondamentalmente, in questo caso, un corpo di archibugieri annientò il fior fiore dell’esercito francese, costituito dalla cavalleria pesante.

Dopo aver molto brevemente analizzato il declino della cavalleria, soffermiamoci un istante su un elemento.

 

Abbiamo parlato di corpi di fanteria pesante, di arcieri e finanche di archibugieri. Si tratta di truppe appiedate, dotate di armi particolari (la picca, il longbow, l’archibugio, ma non bisogna dimenticare la balestra) che permisero loro di sconfiggere i ben più titolati avversari montati.

 

Da chi erano formati questi corpi? Da nobili, ovvero da bellatores nel senso stretto del termine? Certamente no. Queste unità erano formate da contadini, o comunque da persone provenienti dagli strati più bassi della popolazione.

 

Cosa sono questi ultimi, se non i laboratores citati da Adalberone di Laon? Ci troviamo, quindi, di fronte ad un’ulteriore commixtio. I laboratores fusi con i bellatores hanno dato origine ad unità militari non più appannaggio delle classi elevate, bensì delle classi più basse.

 

Si tratta di un concetto che trova le sue radici nelle milizie comunali dell’XI – XII secolo e che si evolve man mano.

 

Tali milizie, infatti, erano essenzialmente composte da cittadini del comune, che combattevano per la difesa della propria città (Legnano 1176) o per l’allargamento della stessa a danno dei comuni vicini (Campaldino 1289 solo per citare una delle più note) per poi ritornare alle proprie occupazioni.

 

Ciononostante se nel Comune medievale è evidente la commixtio bellatores – laboratores, essa comunque era destinata a durare poco. Non a caso, nel giro di un secolo, le milizie comunali lasciarono il campo a forze di professionisti, le compagnie di ventura.

 

E da chi erano formate le compagnie di ventura, se non da laboratores “arruolati”? l’esempio leggendario di Muzio Attendolo Sforza è più che lampante in questo.

 

Ciò che era un commixtio diviene, nel tempo, una substitutio. All’inizio abbiamo parlato di substitutio intendendo con ciò il passaggio da un ordo ad un altro (da bellator, o laborator, a orator).

 

Qui, invece, il trasferimento è dall’ordo laboratorum all’ordo bellatorum. Ecco così la formazione di unità di professionisti, spesso mercenari, quali picchieri svizzeri o i lanzichenecchi tedeschi nonché, ma in una visione più ampia, la formazione degli eserciti permanenti formati da professionisti, tipici del 1600 – 1700.

 

Eppure il difetto di queste forze era di essere numericamente esigue.  Non caso, nel XIX secolo, si diffusero le due teorie (in aperto contrasto), sulla maggiore utilità di un esercito di leva (sul modello prussiano) o di caserma (sul modello francese).

Alla base di queste due teorie, altro non vi è se non un diverso rapporto tra laboratores e bellatores.

 

Qualora si parli di commixtio, si avrà l’esercito di leva, in caso contrario si parla di una substitutio.

 

Analizziamole più attentamente.

Per quanto riguarda l’esercito di leva (basato essenzialmente sul richiamo dei riservisti e, quindi sulla quantità) prenderemo in considerazione l’esercito del Regno di Prussia dell’età della Restaurazione.

Per quanto riguarda, invece, l’esercito di caserma, ci rifaremo a quello francese del medesimo periodo.

 

L’ordinanza prussiana del 1808, successivamente modificata, stabiliva che l’esercito sarebbe stato formato da un contingente di tre classi di leva per tre anni.

Dopo questo breve periodo (breve se paragonato a quello di altri stati), i soldati andavano in congedo illimitato, rimanendo altri due anni a disposizione nella Riserva ed altri otto nella Landwehr (una specie di milizia territoriale). Coloro che, al momento del richiamo, non erano stati dichiarati idonei alla leva, venivano comunque inseriti nei ranghi della Landwehr.

 

Per quanto riguarda i quadri di comando di quest’ultima e della Riserva, si provvedeva con volontari o con uomini provenienti dall’esercito di linea.

Riassumendo, in caso di guerra, l’esercito prussiano poteva mobilitare tredici classi (tre di leva più due di Riserva più otto di Landwehr; per quanto riguarda i non idonei, si tratta di tredici anni di Landwehr).

 

Come si può chiaramente evincere, nello stato prussiano il sistema tendeva a richiamare alle armi il maggior numero possibile di cittadini, tenendoli per un lungo periodo in potenziale allerta (anche se il periodo effettivo era molto breve).

È qui che si esplica la commixtio prima citata. Difatti un cittadino prussiano dopo i tre anni di leva (comunque imprescindibili per avere una qualche dimestichezza con le forze armate, il cosiddetto esprit militaire), non sempre obbligatori, era virtualmente un soldato per altri dieci anni ed anche oltre, considerando la sua inclusione nel secondo scaglione della Landwehr (altri sette anni, dai trentatrè ai quaranta) o nella Landsturm, una specie di milizia di paese (altri venti anni, fino ai sessanta).

 

Questo cittadino aveva, se ci è permesso dirlo, due “anime”: da una parte il suo ruolo, la sua posizione e la sua funzione “civile”, dall’altra il suo obbligo militare verso la patria.

In questo caso è impossibile negare la presenza di una commixtio, evidente come è.

Il sistema francese è totalmente agli antipodi: si tende a richiamare relativamente pochi cittadini, ed a tenerli per un periodo più lungo sotto le armi, al termine del quale, però, il cittadino è completamente libero da obblighi verso la patria.

Le ordinanze francesi, infatti, prevedevano la chiamata di un’aliquota di cinque classi di leva, per complessivi cinque anni di ferma obbligatoria.

 

Questa aliquota era formata in primis da volontari, poi da congedandi disposti a rinnovare la leva e successivamente, da cittadini sorteggiati tra i richiamabili di una classe di leva.

 

Al termine del quinquennio obbligatorio, come prima accennato, si era completamente dispensati da qualsiasi altro obbligo militare, nonostante le modifiche del 1830 e del 1866 aggiungessero eventuali altri due (poi quattro) anni in cui il cittadino era virtualmente richiamabile in caso di emergenza.

 

Ciononostante, come afferma giustamente il Pieri, tale scelta era stata compiuta solo a fini propagandistici.

 

Durante quei cinque anni il cittadino, qualsiasi ruolo e/o posizione avesse nella società civile, era un militare nel senso stretto del termine.

 

Qui di evince la substitutio prima richiamata ed ora motivata. Certo si tratta pur sempre di una substitutio temporanea, eppure essa, per quel tempo, era totale.

Cinque anni sono un periodo oggettivamente lungo per poter semplicemente “formare” un militare (ed in questo senso sarebbe impossibile un eventuale paragone tra il quinquennio francese ed il triennio prussiano, più consono a questo scopo).

Non si può far altro che parlare di substitutio, dunque.

 

Da rilevare, infine, che proprio il paese che aveva fatto della commixtio tra popolazione ed esercito il proprio cavallo di battaglia (il celeberrimo cittadino – soldato del periodo rivoluzionario e napoleonico) è stato quello che ne ha tratto meno insegnamenti, affidandosi ad un diverso sistema.

 

Al contrario uno dei paesi che più aveva combattuto la Francia e Napoleone (la Prussia, appunto) è stato quello che ha tratto la migliore lezione.

Il fatto di considerare migliore il sistema prussiano rispetto a quello francese non è nient’altro che una mera constatazione delle conseguenze del primo vero scontro tra i due sistemi – la guerra franco prussiana del 1870 – di cui tutti conoscono l’esito.



 

 

 

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