N. 42 - Giugno 2011
(LXXIII)
dIREZIONE PUGLIA
Viaggio sulle tracce dell’erbal fiume silente
di Giulia Gabriele
“Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natìa
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi
per
un
erbal
fiume
silente,
su le vestigia degli antichi padri. […]”
(Gabriele D’Annunzio – da I pastori in Alcyone)
Nel silenzio della campagna, magnifiche greggi camminano
con
andatura
lenta,
assorta.
Mani
ruvide
stringono
bastoni
di
legno
bruno,
forte.
Il
passo
è
calmo,
vibrante.
Lo sguardo attento, nostalgico. Il corpo stanco, temprato
dal
sole
e
dal
vento.
Il
paesaggio
una
distesa
verde
ricca
di
fiori.
Il lavoro degli uomini si ferma, gli occhi si fissano su
figure
mitiche
col
viso
scolpito
dal
sudore,
sui
manti
bianchi
delle
greggi,
sui
cani
che
le
proteggono.
Guardano
quel
cammino,
sentono
nel
vento
che
si
son
portati
dietro
i
pastori,
il
sapore
di
un’altra
terra.
È probabilmente il Regio tratturo L’Aquila-Foggia (o Tratturo
Magno)
quello
che
gli
uomini
del
D’Annunzio
devono
affrontare
con
l’arrivo
di
settembre.
Trecentomila
passi
a
dividere
le
due
città.
Oltre
250
km.
Percorsi, per lo più, a piedi o con i carri. L’erbal
fiume
silente
L’Aquila-Foggia
è il
più
importante
tra
i
tratturi
nonché
il
più
lungo.
A seguire il Castel di Sangro-Lucera (o ‘Tratturo della
zittola’),
il
Celano-Foggia,
il
più
settentrionale
dei
percorsi
che
dall’Abruzzo
scendono
in
Puglia
e il
Pescasseroli-Candela,
uno
dei
più
antichi
d’Italia
(denominato
dai
Romani
‘consolare
Minucia’
o ‘Numicia’)
e
lungo
circa
170
km.
Derivato dai termini latini
trans
(‘di
là
da’)
e
humus
(‘terra’),
ad
indicare
la
migrazione
‘al
di
là
della
terra’,
i
tratturi
rappresentano
per
le
civiltà
antiche
le
autostrade
dell'epoca
moderna,
lunghe
direttrici
per
uomini
e
bestie
che
percorrevano
da
nord
a
sud
la
penisola,
collegando
popoli
culturalmente
ed
etnicamente
lontani.
Le tracce di un simile sistema di allevamento
sono
presenti
non
solo
nel
Mezzogiorno
italiano
ma
anche
in
Spagna,
in
Francia
meridionale,
in
Svizzera,
nel
sud
della
Germania
e
nei
Balcani,
per
quanto
la
diffusione
più
massiccia
si
ebbe
proprio
nelle
regioni
del
nostro
centro-sud.
Il
primo
popolo
a
sfruttare
i
tratturi
in
modo
sistematico
fu
quello
dei
Sanniti,
i
cui
maggiori
centri
abitati
e
fortificazioni
nacquero
nelle
vicinanze
di
queste
importanti
vie
di
transito.
Solo
con
il
pieno
raggiungimento
del
controllo
del
territorio
per
mano
dei
Romani,
l'impiego
dei
tratturi
venne
regolarizzato
tanto
che
diverse
leggi
furono
promulgate
per
il
loro
corretto
impiego
da
parte
dei
pastori
transitanti
e
per
dirimere
controversie
tra
privati.
L'importanza
dei
tratturi
si
mantenne
invariata
nel
corso
del
Medioevo,
per
quanto
solo
con
l'avvento
degli
Aragonesi
nel
XV
secolo
il
sistema
della
transumanza
divenne
nuovamente
soggetto
ad
uno
sfruttamento
regolarizzato,
che
fece
dell'allevamento
degli
ovini
e
della
commercializzazione
dei
prodotti
il
motore
dello
sviluppo
del
Regno
del
Sud.
La
prammatica
del
1447
emanata
da
Alfonso
I
d'Aragona
quando,
col
compito
principale
della
riscossione
di
tributi,
fu
istituita
la
"Dogana
della
Mena
delle
pecore
in
Puglia"
con
sede
a
Lucera
prima
e a
Foggia
poi,
imponeva
differenti
periodi
per
la
migrazione
del
bestiame:
entro
i
primi
di
maggio
doveva
avvenire
lo
spostamento
verso
l'Appennino
di
tutte
le
specie
di
animali
(detto
‘monticazione’);
il
ritorno
in
Puglia,
invece,
era
diversificato:
le
pecore
e le
capre
dovevano
ridiscendere
entro
la
fine
di
settembre,
i
tori
e le
vacche
entro
dicembre.
I
pastori,
quindi,
passavano
la
vita
tra
partenze,
arrivi
e
ancora
partenze.
Durante
il
tragitto
dormivano
in
tende,
vicino
le
greggi
radunate
in
un
recinto
‘mobile’.
Il
loro
lavoro
era
rubato
dagli
occhi
di
bambini
curiosi
e
ricompensato
dagli
adulti
(a
volte
capitava
che
i
contadini
facessero
radunare
gli
animali
nei
loro
campi,
in
modo
che
mangiassero
l’erba
e
concimassero
il
terreno
e
dessero
pasta,
pane,
uova
ai
pastori
in
cambio
di
qualche
forma
di
formaggio
o di
ricotta.
Nessun
accordo
scritto,
semplicemente
una
reciproca
riconoscenza/convenienza
tra
‘uomini
di
fatica’).
Quando,
poi,
era
tempo
di
riprendere
il
cammino
verso
la
Puglia,
che
durava
circa
un
mese,
i
pastori
mungevano
gli
animali,
mettevano
da
parte
il
latte
e si
avviavano
lungo
il
tratturo
con
il
gregge,
seguiti
dai
loro
cani;
i
vetturini,
poche
ore
dopo,
preparavano
formaggi
e
ricotte,
radunavano
gli
strumenti
e i
recinti
e
non
solo
li
raggiungevano,
ma
li
superavano
anche,
per
piazzare
di
nuovo
un’altra
stazione
a
circa
30
km
di
distanza
dalla
precedente.
E
così
finché
non
si
aprivano
davanti
a
loro
le
temperate
e
accoglienti
terre
pugliesi.
Gentili
e
pronte
a
diventare,
in
un
tacito
rituale,
la
casa
di
questi
pastori-migranti:
Andria,
Canosa,
Casale
Trinità,
Salpi,
Salsola
costituivano
alcune
delle
23
locazioni
ordinarie
in
cui
era
suddiviso
il
Tavoliere
delle
Puglie.
Art.
1
Legge
Regionale
23
dicembre
2003
n.
29,
"Disciplina
delle
funzioni
amministrative
in
materia
di
tratturi"
che
istituisce
il "Parco
dei
tratturi
della
Puglia",
in
quanto
"monumento
della
storia
economica
e
sociale
del
territorio
pugliese
interessato
dalle
migrazioni
stagionali
degli
armenti
e in
quanto
testimonianza
archeologica
di
insediamenti
di
varia
epoca".
La
legge
parla
chiaro
(e
non
solo
per
la
Puglia):
i
tratturi
sono
un
patrimonio
(nazionale
aggiungerei)
e
non
si
toccano.
Eppure
c’è
un
però.
Capita,
volendo
provare
a
riscoprire
questi
percorsi
erbosi,
sì
di
trovare
perentori
cartelli
con
scritto
“Tratturo”,
ma,
a
volte,
senza
che
ci
sia
la
minima
traccia
almeno
di
un
misero
filo
d’erba
o di
una
timida
pratolina.
Al
loro
posto,
dei
bei
campi
arati
o
una
strada
asfaltata.
Insomma,
lo
scenario
sembra
essere
una
sorta
di
Ei
fu
campestre.
E a
memoria
di
quelle
vie
rimangono
i
ricordi
di
uomini
e
donne
che
hanno
fatto
passare
tra
le
dita
vento
e
anni,
assaporando
cieli
azzurri,
mari
blu
e
verdi
valli.
Di
altri
uomini
e
donne
dai
visi
scolpiti
dai
giorni,
allora
bambini
curiosi
pronti
a
rubare
con
gli
occhi
il
mistero
della
vita
che
nasce,
di
quei
pastori
senza
casa,
di
quel
mondo
che
si
reggeva
sulla
fatica
di
mani
ruvide
e
cuori
puri.