attualità
SULLA DICOTOMIA “LUSSO-POVERTÀ”
ANALISI DI UNA “TRAPPOLA”
di Antonino Cambria
Quella tra lusso e povertà è una
dicotomia esistita fin dall’antichità,
derivante da molteplici fattori, a cui
si è cercato di trovare la causa e
l’origine a tal punto di effettuare
un’analisi sull’accezione dei vari
termini. Sicuramente il termine povertà
non riscontra problemi di dicotomia, in
quanto identifica una situazione di
mancanza, di deficit che devono essere
colmati, indipendentemente se si tratta
di qualcosa di temporaneo o alle volte
di una potenza vorticosa che trascina a
fondo e non lascia più via di uscita.
Questo vortice, corredato di vari
fattori che analizzerò successivamente,
crea la trappola della povertà.
Contrariamente la visione del lusso è un
po’ differente, dal momento che fin dal
Settecento si è cercato di identificarne
l’accezione e che ha visto il
susseguirsi di canoni positivi e
negativi.
Da un punto di vista negativo il lusso
può essere considerato come spreco,
consumo e sperpero delle proprie
ricchezze, come tentazione e decadenza
dei principi per terminare in un circolo
vizioso dal quale si è incapaci di
uscirne perché dominati dalle passioni e
non più dai bisogni. Da un altro punto
di vista contrapposto però il lusso può
assumere una connotazione positiva,
identificandosi in un vero e proprio
motore dell’economia.
Facendo un salto indietro nel tempo,
quando ancora gli studi economici, o per
la precisione le scienze accademiche
dominavano gli ambienti di studio, ciò
che si analizzavano erano oggetti di
studio limitati. Per esempio, le regioni
oggetto di studio delle teorie
economiche erano i paesi del Vecchio
Continente, la causa principale della
condizione di arretratezza che si
riscontrava si concentrava sui problemi
interni, al massimo degli Stati vicini e
confinanti.
Prendendo in considerazione degli studi
sull’Italia, il punto focale era
concentrato sulle campagne limitrofe o
alle zone di periferia. Con l’ampliarsi
dei confini non solo fisici, ma anche
sociali, economici, politici e
tecnologici, le dinamiche si sono
espanse e da quelle che erano le
campagne cittadine, come per esempio le
campagne napoletane, di cui ne analizza
gli effetti lo studioso Genovesi, si è
passati a veri e propri Paesi che si
trovano in aere considerate
sottosviluppate e marginalizzate
rispetto ai paesi occidentali già
sviluppati.
Nel Settecento la causa
dell’arretratezza nelle campagne
napoletane doveva essere rintracciata
proprio nella schiacciante prevalenza
della grande proprietà feudale che
cercava di lottare contro ogni
espressione di privilegio e di monopolio
e che impediva una distribuzione della
proprietà, ma anche qualsiasi mutamento
e rinnovamento delle gerarchie sociali.
In quest’ottica assunse un punto di
riferimento il lusso, inteso come
fondamentale fattore di circolazione
delle ricchezze e allo stesso tempo come
strumento capace di garantire un
rinnovamento delle gerarchie
tradizionali.
Il lusso infatti diffonde denaro, crea
domanda per la produzione interna,
mobilitazione sociale e si configura
come circolatore di ricchezza.
Concependo quindi il lusso come un
sinonimo di produzione e progresso si
potrebbe utilizzare come elemento per
portare progresso e sviluppo nei paesi
in via di sviluppo rompendo così le
catene della trappola della povertà che
cingono i Paesi del terzo mondo.
A supporto di tale affermazione potrebbe
essere menzionato l’autore Isidoro
Bianchi che nella sua opera
Meditazioni sui vari punti di felicità
pubblica e privata, tratteggia un
modello di sviluppo economico che
trovava la sua forza motrice nel lusso,
inteso come naturale istinto umano
capace di condurre la società al massimo
sviluppo civile ed economico.
Il termine “lusso” fu introdotto solo a
partire dalla terza edizione del
Vocabolario degli Accademici della
Crusca del 1691 e venne considerato con
il significato di qualcosa di superfluo,
ciò di cui gli uomini non hanno
necessità. Un superfluo che era visto
come elemento di una società progredita,
che se non saputo gestire si trasformava
in eccesso, considerato invece, come
dilapidazione della propria fortuna.
Successivamente Marie Dumont nella sua
versione dimostrò che il lusso
corrispondesse a tutto quello ciò che
era indispensabile e quindi da non
considerare come eccesso.
L’eccesso racchiude in sé l’elemento
negativo del lusso che si associa al
consumo di un prodotto, portandolo fino
all’estrema condizione. Alla stregua
della povertà anche il lusso, se non
saputo gestire, si può configurare come
una trappola dalla quale difficilmente
si scappa. Però ciò che mi preme
sottolineare in questa breve relazione è
come il lusso, visto come motore di
sviluppo e progresso, anche se non
necessario alla vita dell’uomo, diventi
un tassello fondamentale per rompere la
“trappola” della povertà.
Esistono varie definizioni della
“trappola” della povertà, come anche
quella del sottosviluppo, analizzabili e
in parte descrivibili grazie alla teoria
dello sviluppo di Joseph Alois
Schumpeter. Una prima definizione
riportabile è quella dei due professori,
Cristopher Barrett e Michael Carter
rispettivamente della Charles H.
Dyson School of Applied Economics and
Management (Cornell University,
Ithaca, NY, USA), e dell’Agricultural
& Resource Economics (University of
California, Davis, USA), partendo dalla
definizione di Azariadise Stachurski
spiegano meglio cosa si intende per
trappola della povertà.
La trappola della povertà, definita
dagli anglofoni come “any
self-reinforcing mechanism which causes
poverty to persist”, è il fatto di
continuare a stare povero, non per
essere povero in alcuni momenti nel
tempo, ma in maniera continua e
generazionale. I ricercatori si
focalizzano sull’identificare e spiegare
che l’esistenza di questa trappola
comporta anche un’assenza di bacini di
attrazione di asset e flussi finanziari
e monetari che evolvono nel tempo.
Secondo numerosi studi, le persone o le
famiglie in condizioni di povertà
estrema restano bloccate in una cronica
difficoltà, che ne impedisce l’ascesa
sociale verso migliori condizioni di
vita e vanifica le opportunità di
guadagnare incrementi di reddito. Questa
cronicità dipende da vari elementi che
portano nel tempo a rinforzare la
trappola della povertà e alcuni di essi
ne sono cardine principale.
Sicuramente si può affermare che la
trappola della povertà è la situazione
che si verifica quando un paese povero
persiste nel tempo senza uscire dalla
povertà. Questo perché non può
sviluppare strutture che gli permettano
di crescere economicamente, socialmente
e culturalmente. La trappola della
povertà è storicamente strettamente
legata ai Paesi che non hanno vissuto
una rivoluzione industriale. L’assenza
di risparmio è la componente
fondamentale che impedisce a queste
economie di sviluppare e promuovere
investimenti che aumentano il grado di
industrializzazione delle loro economie.
Secondo la “teoria degli stadi”, ripresa
da Alexander Gerschenkron e Walt W.
Rostow nelle loro opere, spiega che
tutti i paesi passano attraverso gli
stessi stadi dello sviluppo economico;
perciò, le nazioni sottosviluppate
sarebbero a uno stadio primitivo lungo
il percorso lineare di sviluppo storico,
mentre le nazioni sviluppate si
troverebbero a uno stadio successivo.
Tuttavia, secondo questa teoria questa
situazione di povertà dovrebbe essere
temporanea, e non perpetua come però
concretamente accade. Quindi esistono
vari elementi che rendono tale.
Vediamo ora alcuni autori ed elementi
riscontrati. Riassunti tutti i dati e
gli elementi graficamente, si può capire
che ci troviamo in presenza di una
trappola della povertà cronica
dall’andamento e dai punti di equilibrio
in cui vi si inverte la concavità della
curva che identifica l’andamento dei
mercati.
La categoria di un singolo punto di
equilibrio per la trappola di povertà è
quello in cui ci sono delle dinamiche,
cause e trappole di macro-scala che,
come identificato da Daron Acemoglu,
Simon Johnson, James A. Robinson nel
2001, possono essere originate da
fenomeni istituzionali o svantaggi
fisici che influenzano tutti i residenti
nella nazione in questione. Questi
svantaggi o fenomeni sono dovuti
maggiormente anche a un’insufficiente
produttività di standard e servizi alla
popolazione, presenza di problemi
interni, ma soprattutto alla base si
riscontraun’incapacità tecnologica.
Mentre quando il grafico che si palesa è
una sinusoide con diversi punti di
equilibrio e a ognuno di questi
corrisponde un’inversione della
concavità della curva allora normalmente
si ha un meccanismo comune di difesa ai
multipli fallimenti del mercato
finanziario, denominato multiple
financial market failures (MFMF). In
questo caso ci si ritrova a un livello
microeconomico. Come le nazioni, anche
gli individui hanno caratteristiche
intrinseche, come capacità, propensioni,
posizioni geografiche, che condizionano
le loro soglie desiderate di equilibrio
di benessere. In base a questi elementi
ci possono essere degli incrementi
locali che potrebbero fare uscire dalla
trappola della povertà quegli individui,
creando una relazione positiva tra
benessere e guadagno marginale.
Per esempio, lo studioso Partha Dasgupta
ha supposto un punto elementare della
trappola della povertà, che nasce dal
deficit alimentare. La persona
sottonutrita è costretta a economizzare
le energie, quando avrebbe bisogno di
moltiplicare gli sforzi per cogliere una
possibilità qualunque di miglioramento.
In condizioni di questo tipo, non vi
sono energie sufficienti per erogare lo
sforzo lavorativo addizionale che
sarebbe necessario per accumulare
risparmi, produrre scorte alimentari o
svolgere prestazioni di lavoro
efficienti. Non si tratta di semplice
deficit alimentare, ma nei paesi
intrappolati, la sorellastra della
scarsità di acqua o risorse idriche,
risulta essere una tra le più gravi
privazioni che la povertà estrema
impone, con conseguenze pesanti per la
mortalità infantile.
Conseguentemente la scarsità di cibo e
acqua si ripercuotono sugli investimenti
e il loro successo, ma soprattutto non
si hanno mezzi per un fattore importante
nello sviluppo a lungo termine dei PVS e
dei già paesi sviluppati: l’istruzione,
che viene tralasciata. Si tratta anche
di tutte quelle privazioni che i poveri
soffrono che si ripercuotono nella stima
sociale e nell’autostima, negli affetti,
nella sicurezza di vita, nella capacità
di garantire un futuro ai figli,
nell’accesso ai diritti civili e
politici, e possono avere conseguenze
persistenti sull’arco di più
generazioni.
Nelle famiglie molto povere, la carenza
di risparmio blocca la capacità di
accumulare ricchezza; la mancanza di
ricchezza e di status impediscono di
accedere al credito o determinati
ambienti. Quindi la povertà cronica che
si crea può intrappolare in condizioni
di marginalità generazioni successive,
in una spirale che si autoriproduce.
A questo si aggiunge una correlazione
con la longevità delle famiglie. Il
professore Samuel Bowels, insieme a
Karla Hoff, riprendono l’idea di Nirali
Chakraborty nella correlazione tra
aspettativa di vita e gli standard di
vita, questo approccio crea un
rallentamento negli investimenti nella
salute pubblica, perché le nazioni
povere sono catturate in un circolo
vizioso: loro non si possono permettere
di investire molto sulla sanità
pubblica, quindi i loro cicli di vita
sono brevi e le pianificazioni sono su
corti periodi, provocando una scarsità
di investimenti privati e creazione di
povertà perpetua.
Riassumendo tali elementi potremo dire
che ci sono molti fattori che entrano
nella trappola della povertà. Quelli da
evidenziare sono i seguenti:
Assenza di industrie produttive e
istituzioni politiche;
Esistenza di dittature e corruzione;
Accesso limitato al credito e ai mercati
dei capitali;
Mancanza di servizi sanitari e centri
educativi;
Guerre e carestie;
Assenza di Infrastrutture;
Impatto ambientale che colpisce la
produzione agricola, risorse naturali o
gli animali;
Politiche monetarie lassiste che
promuovono una deflazione salariale
persistente;
Mancanza di investimenti produttivi e
apertura all’estero.
-
Si viene così a configurare uno schema
che cerca di capire l’evoluzione di un
paese povero e la sua possibilità di
scappare alla trappola della povertà in
base alle azioni intraprese o quella di
rimanere ancorata a questa dovuta a
problemi persistenti e strutturali. Per
poi concludere che le ragioni
strutturali che sottolineano la
persistenza della povertà, chiedendosene
il perché e il quando, semplicemente si
basano su dei flop o insuccessi da parte
delle politiche e azioni intraprese,
così come descritto dal Chronic
Poverty Report.
Come si può evincere dal grafico il
fatto di essere poveri invece non
avviene nei paesi sviluppati o nei paesi
a contatto con questi ultimi, di cui
subiscono le influenze sociali,
economiche e politiche. Come
preannunciato i Paesi sviluppati godono
di economie di agglomerazione che
sfruttano il vantaggio di localizzare
nella stessa area, con effetti reciproci
di servizio, imprese di settori
produttivi diversi, e che
consequenzialmente sono facilitate dalla
presenza di altre imprese con benefici
di costo, incentivi all’innovazione e
opportunità di profitto.
Questi elementi creano un mercato dove è
possibile investire e generare
rendimenti nei vari ambiti, soprattutto
quelli definiti di crescita endogena:
capitale umano e innovazione
tecnologica. Così vengono raggiunti gli
obiettivi necessari, che sussistono come
base ed entra in gioco l’interesse in
produrre, consumare e incrementare
quindi i propri profitti. Il consumo di
beni è proprio lo step finale del ciclo
produttivo di quest’ultimo, il cui
valore sarà determinato dalla presenza
di domanda e offerta.
Jeffrey D. Sachsha ha difeso l’urgenza
di massicci interventi coordinati nei
Paesi a basso reddito, per raggiungere
soglie critiche d’impatto negli
investimenti, che permettano dirompere i
circoli viziosi e le trappole, agendo
sia dal lato del capitale umano, sia da
quello capitale. Sicuramente l’azione
politica ed economica di questi paesi
non è incamminarsi lungo la strada
dell’autarchia e delle barriere
tariffarie. Questa attitudine sarebbe
per i Paesi a basso reddito la strada
della chiusura e della disperazione, con
effettirapidamente degenerativi anche
sui sistemi politici e gli equilibri
sociali.
Come, d’altronde, anche i paesi
sviluppati devono agire e cooperare
affinché i paesi a loro vicini non
entrino in gironi oscuri che lascino
precipitare il Paese nella trappola
della povertà. Il primo fattore che
sicuramente tra tanti può contrastare la
“trappola” è l’innovazione, che si
concentra territorialmente in poli ben
definiti, dando luogo a economie di
agglomerazione che possono alimentare
fenomeni di esclusione territoriale e di
inversione.
Sul versante politico, sono decisivi i
fattori istituzionali, quali la natura
predatoria dell’amministrazione
pubblica, i vizi del sistema giudiziario
e la scarsa tutela della proprietà, la
carenza di libertà politica o economica,
perché scoraggiano gli investimenti
privati sia di fonte interna, sia
dall’estero. A questi si aggiungono i
Paesi lacerati da guerre civili e
conflitti armati che patiscono la
trappola del conflitto, che può divenire
cronico o esporre a ulteriori rischi di
violenza prima che la stabilizzazione
sia consolidata.
Sorella del concetto della trappola
della povertà, appare sul palco anche la
trappola del sottosviluppo. Questo
termine indica la combinazione tra basso
livello di PIL pro-capite, bassa
produttività e modesta occupazione. La
permanenza nel tempo delle regioni meno
sviluppate non permette di agganciarsi a
quelle più sviluppate. La trappola
invece mette in moto un circuito vizioso
che si alimenta verso il basso e porta
alla trappola della povertà che cronica
si diffonde in tutta la periferia.
Per capire chi sia più svantaggiato si
può calcolare in alcuni casi
l’innovazione con il Regional
Innovation Scoreboard che misura il
livello d’innovazione dei territori.
Però a parità di disuguaglianza, quello
che fa la differenza sono i guadagni di
produttività e il rinnovamento
dell’apparato produttivo che trascinano
verso l’alto l’intero spettro dei
redditi. Questa situazione è tipica dei
Paesi sviluppati.
Su un raggio a lungo termine, lo
sviluppo è una leva potente per superare
la povertà assoluta e l’unica decisiva
per costruire l’opportunità di ridurre
la disuguaglianza. Purtroppo, non vi è
certezza che in tutte le fasi della
crescita questa riduzione della
diseguaglianza resti invariata. Si può
pensare che già il lusso sia una prima
fonte di diseguaglianza e quindi di
semina di problemi. Ma al tempo stesso è
il modo di muovere l’economia e portare
sviluppo con sé.
Nel mondo contemporaneo, ragioni di
accresciuta disuguaglianza nascono dai
divari di reddito in base al livello di
istruzione o tra i residenti delle zone
rurali e quelli delle città. Persiste il
rischio che gruppi sociali specifici
restino esclusi dall’aumento del reddito
anche in economie in crescita, come
accade ancora in Cina, per una quota
della popolazione rurale.
Le trappole della povertà, all’alba del
nuovo secolo, chiedono, per essere
spezzate, investimenti di assistenza
pubblica nella salute e nell’istruzione,
per tutelare quanti rischiano di restare
schiacciati tra la difficoltà di
accedere all’economia di mercato e
l’impossibilità di mantenere le
tradizionali fonti di reddito. Per
affrontarle, un’idea è quella di seguire
alcuni concetti della Teoria dello
sviluppo economico già formulata nel
1911.
La teoria dello sviluppo economico è
chiara in questo senso: creare nuove
migliorie e soddisfare in maniera
migliore i propri bisogni. E Joseph
Alois Schumpeter nella sua teoria
utilizza essenzialmente un concetto
neoclassico anche se aggiunge «che
tali miglioramenti o creazioni ex novo
non possono essere trattati nell’ambito
della statica o lo possono essere solo
in dimensioni tanto microscopiche che è
meglio lasciar perdere». Il problema
è pragmatico, ovvero costituito dalla «creazione
delle basi per nuove produzioni e
consumi».
Schumpeter introduce il credito bancario
quale fattore necessario, ma
evidentemente non sufficiente, dello
sviluppo. È in particolare la nuova
creazione di credito, intesa come causa
a rappresentare il fulcro dell’intero
sistema: «Se una qualsiasi
circostanza conduce al sorgere di un
nuovo imprenditore o di una nuova
organizzazione, per esempio di un trust,
è necessario a questo scopo il danaro».
Riprendendo le parole del primo
presidente della Tanzania, lo sviluppo
non porta solo benessere e comodità, ma
“sviluppo è un altro modo di dire
pace” disse Julius Nyrere primo
presidente della Tanzania. Quindi quando
si parla di sviluppo non si intende solo
un incremento del reddito reale
dell’economia, ma anche il miglioramento
globale della qualità della vita.
Purtroppo, il modello attualmente
preferito dall’Occidente prevede lo
sfruttamento delle materie prime del Sud
del mondo a vantaggio del Nord.
La globalizzazione, ossia l’eliminazione
delle barriere al libero commercio e la
maggiore integrazione, è una forza che
permette di arricchire tutti, e in
questo caso risulterebbe utile ai
poveri. Ma questo vale in teoria perché
in pratica i risultati sono altri e sono
come quelli su menzionati. Infatti, nei
paesi africani, la disoccupazione è
aumentata, il numero assoluti di poveri
è aumentato, i servizi non funzionano e
c’è corruzione.
Considerare lo sviluppo, quindi la
presenza di un mercato secondario basato
sul lusso, può essere un’idea di come
aiutare i paesi meno fortunati a
percorrere la via del progresso e del
benessere. Ovviamente, non immettendo
materiale di lusso già finito prodotto
nel loro mercato, bensì provvedere a
creare le basi per la produzione e
consumazioni di beni, che vanno oltre lo
stretto necessario, senza cadere nel
circolo vizioso dell’eccesso e dello
spreco.
In queste azioni, i paesi sviluppati
dovrebbero già possedere un retaggio
storico e uno sfondo ben consolidato, a
partire dall’Italia e la sua propaganda
del Mezzogiorno come laboratorio delle
politiche di sviluppo occidentali in
funzione anticomunista, considerando che
l’industria dell’assistenza all’estero
nasce durante la guerra fredda e le
motivazioni sono di natura strategica,
di politica estera, di politica della
sicurezza, di politica economica.
Infine, si può dire che le trappole
esistono, ma anche le istituzioni, e
queste possono innescare rapidamente una
crescita grazie a un investimento
coordinato e una politica di commercio
che promuova risparmi, esportazioni e
rapidi fattori di produttività.
Riferimenti bibliografici:
Bowles S., Hoff K., Poverty Traps,
Princeton University, 2016.
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