N°
173
/ MAGGIO 2022 (CCIV)
attualità
LA GUERRA RUSSO-UCRAINA E LA TRANSNISTRIA
UNA PERIFERIA "CENTRALE"
di Gian Marco Boellisi
Da ormai tre mesi a questa parte l’attenzione
internazionale è completamente focalizzata sul
conflitto in Ucraina e sulla tragedia che si sta
consumando in questo paese. La totale copertura
mediatica degli eventi in atto ha fatto riscoprire
all’opinione pubblica d’Europa cosa vuol dire avere
una guerra in casa propria, con tutte le conseguenze
politiche, sociali ed economiche che un simile
disastroso evento può avere sulla quotidianità di
tutti noi.
Sebbene il conflitto in sé abbia raggiunto una fase
di stallo, o quanto meno di progressi molto piccoli
e puntuali, alcuni osservatori internazionali temono
che esso si possa allargare ulteriormente. Al di là
delle ipotesi per il momento fantapolitiche di uno
scontro diretto tra Mosca e Stati Uniti, si sta
prendendo in seria considerazione che le ostilità
potrebbero coinvolgere un domani anche la
Transnistria, regione separatista della Moldavia
confinante con l’Ucraina che ormai dal lontano 1992
chiede di entrare a far parte della Federazione
Russa.
Analizzando la situazione in un’ottica meramente
politica, risulta interessante quindi capire se il
rischio di allargamento di conflitto sia reale o
meno e quali sono i legami che legano una regione
come la Transnistria a Mosca.
Partiamo con dei brevi cenni storici. La Moldavia è
una nazione da sempre coinvolta nelle dinamiche di
potere europee. Collocata tra Romania e Ucraina,
questa nazione ha sempre subito le mire e vissuto le
pressioni dei grandi imperi dell’area, dall’Impero
Asburgico a quello Ottomano e anche ovviamente
dall’Impero Russo.
Entrata a far parte dell’Unione Sovietica, l’intera
Moldavia subì come tutte le altre Republiche
Sovietiche sia una “russizzazione” forzata da parte
di Mosca sia una grande ondata di investimenti che
andò a toccare tutti gli ambiti della società
moldava: industria, scienza, sanità e istruzione.
Proprio le industrie e i principali poli di sviluppo
del paese si concentrarono in una piccola area a Est
del fiume Dnestr confinante con l’Ucraina, chiamata
Transnistria, tant’è che negli ultimi anni prima
della caduta dell’Unione Sovietica questa regione
produceva circa il 40% del PIL moldavo e l’80%
dell’energia elettrica del paese.
Anche la Moldavia, al pari delle altre Republiche
Sovietiche, fu investita dalla profonda crisi del
sistema sovietico di fine anni ’80, crisi che poi
avrebbe portato alla caduta del gigante socialista.
A Chișinău, la capitale della Moldavia, ciò portò a
una crescita dei movimenti nazionalisti interni a
discapito delle forze comuniste che avevano dominato
fino ad allora il paese. Ciò si tradusse ben presto
in un ritorno alla lingua moldava come lingua
ufficiale, a discapito del russo, così come in atti
discriminatori verso le etnie russofone, presenti in
tutto il paese ma maggioritarie soprattutto in
Transnistria.
A seguito di numerosi episodi di violenza da
entrambi gli schieramenti (nazionalisti moldavi e
filorussi), i leader della regione transnistriana
decisero di indire un referendum per decidere se
procedere con la secessione dallo stato moldavo.
Ovviamente il 90% della popolazione della regione si
schierò con questa politica, portando la regione
della Transnistria a dichiarare la propria
indipendenza il 2 settembre del 1990.
Nonostante nei primi tempi la provincia separatista
provò a ritagliarsi uno spazio all’interno
dell’U.R.S.S. come republica indipendente
(l’U.R.S.S. cessò di esistere formalmente il 25
dicembre del 1991), questo progetto fallì, portando
la Transnistra a proseguire la sua politica di
indipenza da Chișinău anche all’indomani
dell’indipendenza formale da Mosca.
A causa di questa politica separatista, il nuovo
governo moldavo decise di risolvere la questione per
via militare, così il 1° marzo 1992 le truppe
moldave invasero il territorio transnistriano.
Queste tuttavia subirono una cocente sconfitta, sia
a causa della mancanza di mezzi e armi adeguate sia
per un supporto russo della causa transnistriana.
Il 21 luglio del 1992 fu firmato un cessate-il-fuoco
ed è ancora questo trattato che mantiene la pace tra
le due parti. Da allora il governo centrale di
Chișinău non ha alcuna autorità effettiva sulla
propria provincia ribelle, la quale dal canto suo è
rimasta uno stato fallito riconosciuto
internazionalmente da solo tre stati, tutti e tre
non facenti parti delle nazioni unite (Abcasia,
Ossezia del Sud, Artsakh), ma non dalla Russia.
Un fatto storico degno di nota è la presenza della
14a armata russa ancora oggi in
Transnistria, la quale, composta circa da 2.000
uomini, formalmente sarebbe rimasta per
salvaguardare il più grande deposito d’armi e
munizioni di tutta Europa. Nonostante vi siano stati
diversi trattati con la Moldavia per il ritiro delle
forze russe, essi non sono mai stati messi in atto
poiché non ratificati dal parlamento russo, la Duma,
lasciando invariata la situazione fino al giorno
d’oggi.
Ed è proprio oggi nel contesto del conflitto ucraino
che la Transnistria è tornata a destare attenzione
presso la comunità internazionale. Infatti verso la
fine di aprile una serie di attacchi e attentati si
sono svolti all’interno dei territori separatisti.
Il 25 aprile 2022 alcune esplosioni hanno
interessato il Ministero della Sicurezza a Tiraspol,
nelle stesse ore è stato condotto un attacco con
unità militari presso il villaggio Parcani a 13 km
dalla capitale e infine il 26 aprile diverse
esplosioni hanno interessato la stazione
radiotelevisiva di Maiac, a 7 km dal confine
ucraino. A seguito di questi eventi il presidente
della Transnistria Vadim Krasnosel’skij ha convocato
immediatamente il Consiglio di Sicurezza per indire
lo stato di emergenza.
Il primo sospetto è andato subito alle parole del
comandante russo per il distretto militare centrale,
Rustam Minnekayev, il quale ha affermato che nella
“fase 2” del conflitto l’obiettivo di Mosca sarebbe
quello di prendere il controllo sia del Donbass sia
di tutta l’Ucraina meridionale fino a Odessa,
togliendo così qualsiasi sbocco sul mare al governo
ucraino e arrivando a congiungersi allo stesso tempo
con la Transnistria.
Visto che le attuali azioni militari russe
starebbero suggerendo il raggiungimento di obiettivi
simili, si è subito pensato che gli attacchi
potessero essere dei sabotaggi interni a opera di
estremisti filorussi nel tentativo di creare un
pretesto per un altro intervento militare,
giustificandolo sempre con la protezione delle etnie
russofone presenti in un paese limitrofo. Nonostante
gli attacchi si siano arrestati e l’arrivo delle
truppe russe fino alla Transnistria sembra oggi più
che mai lontano, la situazione comunque merita
un’attenzione speciale.
Al netto delle enormi difficoltà che le truppe di
Mosca stanno incontrando lungo la loro avanzata, è
più probabile che Minnekayev con le sue
dichiarazioni abbia voluto volgere l’attenzione
mediatica su Odessa, così da far reinforzare quel
fronte alle trupppe ucraine al posto di inviare
uomini nel Donbass, vero cuore della strategia di
Putin. Tuttavia il sospetto c’è che, qualora le
truppe ucraine subiscano una sconfitta sul fronte
meridionale, i russi possano avanzare fino a Odessa
e cercare di occuparla e quanto meno assediarla per
avere più carte da giocare sul tavolo dei negoziati.
Ad oggi sembra difficile, ma solo il futuro ce lo
saprà dire con certezza.
Dal punto di vista militare, raggiungere la
Transnistria non sarebbe per nulla uno scherzo.
Dovrebbero infatti cadere prima Mikholaiv e poi
Odessa, la quale si tramuterebbe in un assedio che
rivaleggerebbe presto con quello di Stalingrado sia
per importanza strategica sia per numero di morti
giornalieri. Considerando inoltre che Mosca può far
affidamento sempre meno alle proprie forze
marittime, dimostratesi totalmente incompetenti nel
farsi affondare la propria ammiraglia nonché la
propria nave con maggior grado tecnologico, la
strategia di Mosca si complica di giorno in giorno.
L’unico scenario che potrebbe andare a favore dei
russi sarebbe un ulteriore impiego di uomini e
mezzi, sguarnendo però così parzialmente i propri
confini e rischiando di avere ulteriori perdite
nell’avanzata. Resta anche il rischio concreto di
disperdere i propri inesperti soldati su un
territorio troppo vasto da controllare, con la
possibilità di improvvisi contrattacchi ucraini
volti a isolari interi battaglioni e costringerli a
delle logoranti battaglie che potrebbero fiaccare
ancora più il morale dei russi.
I soldati russi presenti in Transnistria non sono in
alcun modo sufficienti a dar manforte alle manovre
del grosso delle truppe sul fronte meridionale,
motivo per cui sono relegate ai loro soliti compiti
di sicurezza e nulla più. Viste queste
considerazioni, è maturato anche il sospetto che gli
attacchi avvenuti ad aprile a Tiraspol e dintorni
siano stati commessi da parte di gruppi
ultranazionalisti ucraini attivi nella regione. È
infatti da ricordare che la popolazione
transnistriana sia equamente divisa tra russofoni,
moldavi e ucrainofoni. Gli attentati sarebbero stati
quindi volti a un indebolimento del contingente
russo ivi presente, anche se con effetti di dubbia
efficacia.
Il timore di un’estensione del conflitto in Moldavia
ha subito allertato le varie Cancellerie
internazionali, le quali hanno cercato fornire
supporto diplomatico e non solo al governo centrale
di Chișinău. Il 4 maggio il Presidente del Consiglio
Europeo Charles Michel ha incontrato Maia Sandu,
presidente moldava eletta nel 2019 con tendenze
europeiste e filo-occidentali. Questo a
testimonianza del fatto che, Transnistria a parte,
la maggioranza della popolazione moldava si
identifichi maggiormente con la Romania e i rumeni,
e quindi di riflesso con gli occidentali, di quanto
non lo facciano con i russi.
Per quanto la Moldavia si sia sempre fatta
propugnatrice di una neutralità storica del proprio
paese, è stata firmata recentemente la domanda di
adesione all’Unione Europea. Che sia questo il
motivo per cui il presidente Michel abbia promesso
l’invio di armi e forniture militari alla Moldavia,
non è dato saperlo.
Un’altra visita di rilievo si è avuta nei primi
giorni di maggio 2022 da parte del Segretario
Generale delle Nazioni Unite António Guterres. In
quest’occasione tuttavia la presidente Maia Sandu
non è riuscita a presenziare di persona per problemi
di salute, lasciando la premier Natalia Gavrilița a
presenziare al suo posto.
La visita del Segretario Generale è avvenuta il 9
maggio, storica ricorrenza in molti paesi dell’Est
Europa a causa dei festeggiamenti della vittoria
contro le forza naziste durante la Seconda Guerra
Mondiale. Ancora oggi nella sua interezza il popolo
moldavo sente in maniera profonda tale festività,
inondando le piazze e le strade per le celebrazioni.
Per quanto sia stata disincentivata la presenza di
simboli esplicitamente russofoni da parte delle
autorità centrali, non si è potuto far a meno di
vedere anche quest’anno le stesse manifestazioni
filorusse in tutta la nazione.
Alcuni quindi hanno imputato l’assenza del
presidente Sandu al mero imbarazzo, non volendo così
confrontarsi con un Guterres venuto da oltreoceano
per discutere delle future politiche pro-occidente e
anti-russe da un lato e avere fuori la finestra
un’intera popolazione che rispetta il proprio
passato, sia esso sovietico o russofilo. Ciò a
dimostrare di quanto la Moldavia sia molto più
divisa di quanto voglia mostrare al mondo intero.
In conclusione, la Transnistria nei futuri mesi sarà
ancora protagonista nelle dinamiche sia dell’Est
Europa sia della Moldavia come paese indipendente.
Per quanto ad oggi le probabilità di un allargamento
del conflitto fino ai confini moldavi siano remote,
la Transnistria costituisce agli occhi
dell’establishment russo il confine più occidentale
del cosiddetto Russkij Mir, mondo russo.
I timori di Chișinău sono prevalentemente legati
alla propria debolezza politica e militare nel
presente momento storico. È infatti importante
ricordare che la Moldavia non fa parte della
N.A.T.O., motivo per il quale dovrebbe cavarsela da
sola in caso di un’ingerenza diretta della Russia
nei suoi confronti.
Nonostante ciò, il Cremlino continua imperterrita
nel suo piano di attacco all’Ucraina, sacrificando
ogni giorno sempre più vite innocenti, russe e
ucraine, in una guerra inutile. Se la Transnistria
verrà coinvolta in questo bagno di sangue che
rischia di infiammare ancora più lo scenario
internazionale, sarà solo una cosa a rivelarlo: il
tempo.