N. 84 - Dicembre 2014
(CXV)
Le transizioni politiche latinoamericane
PARTE VII - Il caso GUATEMALTECO
di Laura Ballerini
Il
caso
del
Guatemala,
così
come
quello
di
El
Salvador,
presenta
delle
proprie
peculiarità
che
lo
contraddistinguono
dal
caso
argentino,
cileno
o
uruguaiano.
Anche
questo
paese
centroamericano
fu
travagliato
da
una
lunghissima
e
sanguinosa
guerra
civile,
dove
la
persecuzione
sistematica
assunse
dei
connotati
etnici
oltre
che
politici.
Le
cause
di
questa
trentennale
guerra
fratricida
risalgono
al
1954,
ossia
alla
violenta
deposizione
del
presidente
guatemalteco
Arbenz.
Quest’ultimo,
tra
le
diverse
riforme,
aveva
messo
in
atto
un
processo
di
nazionalizzazione
delle
terre
che
andava
a
colpire
gli
interessi
di
un’importante
impresa
agricola
statunitense,
la
United
Fruit
Company.
Questa
espropriazione
di
latifondi
fece
partire
l’operazione
della
CIA
per
deporre
Arbenz,
tramite
un
esercito
di
mercenari.
Nei
successivi
dieci
anni
lo
Stato
del
Guatemala
fu
travagliato
da
golpe
di
militari
che
si
alternarono
al
governo
del
paese,
mentre
dall’altra
parte
nacquero
movimenti
rivoluzionari
e di
sinistra
per
opporsi
alle
giunte
militari.
La
situazione
divenne
sempre
più
tesa
e
frammentaria
e
iniziarono
gli
scontri
armati
tra
le
diverse
forze
in
campo,
che
dureranno
fino
al
1996.
Anche
la
Chiesa
si
divise
al
suo
interno
tra
coloro
che
patteggiarono
per
il
governo
e
coloro
che
si
schierarono
con
i
ribelli,
creando
reti
di
sussistenza
per
aiutare
la
popolazione.
Negli
anni
'70
si
susseguirono
al
governo
i
due
militari
Osorio
(1970-74)
e
Garcìa
(1974-78),
che
portarono
avanti
delle
riforme
per
lo
sviluppo
con
l’aiuto
del
Fondo
Monetario
Internazionale.
Il
clima
però
non
migliorò
e
nel
1982
i
guerriglieri
fondarono
l’Unidad
Revolucionaria
Nacional
Guatemalteca
(UNRG).
Emerge,
per
la
prima
volta,
anche
il
movimento
Maya,
che
venne
brutalmente
represso
dallo
Stato
con
una
strategia
genocida:
la
popolazione
indigena
venne
massacrata
e i
sopravvissuti
perseguiti
per
essere
uccisi
o
costretti
a
entrare
a
far
parte
dell’esercito
tramite
una
durissima
militarizzazione.
I
primi
anni
'80
furono
il
periodo
più
cruento
e
feroce
della
guerra
civile.
Nel
1982
il
governo
militare
abolì
l’inviolabilità
della
libertà
personale
e
dell’abitazione,
rendendo
così
legale
la
sistematica
persecuzione
dei
civili.
Il
governo
mise
in
atto
la
strategia
della
“Tierra
arrasada”,
che
prevedeva
la
distruzione
dei
villaggi
e il
massacro
della
popolazione.
I
sopravvissuti
si
rifugiavano
spesso
sulle
montagne,
dando
vita
a
comunità
di
resistenza.
Nel
1983,
con
il
colpo
di
Stato
del
generale
Victores,
iniziò
una
lentissima
fase
di
normalizzazione
e
dialogo.
Nel
1985
venne
approvata
una
nuova
costituzione,
ma
la
guerriglia
non
cessò.
Iniziarono
allora
i
primi
contatti
tra
il
governo
e la
UNRG,
grazie
all’aiuto
di
organi
internazionali.
Nel
1990,
sotto
l’egida
dell’ONU,
vi
fu
un
altro
incontro
a
Oslo
e
iniziarono
i
primi
accordi.
Venne
fatto
un
primo
patto
per
la
ricollocazione
della
popolazione
nei
luoghi
di
origine
e
per
iniziare
un
accertamento
storico
dei
crimini
avvenuti.
Nel
1994,
in
Messico,
si
varò
un
patto
sui
diritti
dei
popoli
indigeni.
Nel
1996,
con
l’elezione
del
civile
Arzù
presidente,
la
trattativa
accelerò
e il
29
dicembre
1996
venne
firmata
la
pace
“completa
e
definitiva”.
Venne
istituita
allora
la
Comision
de
esclarecimiento
historico
(CEH),
voluta
dall’ONU,
con
carattere
extragiudiziario.
Non
aveva,
infatti,
il
compito
di
attribuire
responsabilità
penali,
ma
doveva
ricostruire
storicamente
il
periodo
1962-96.
La
commissione
concentrò
le
sue
indagini
sulle
esecuzioni
arbitrarie,
le
sparizioni,
le
torture,
le
violenze
sessuali
e i
massacri,
ottenendo
più
di
20mila
testimonianze.
Vi
fu
una
grande
attenzione
statistica,
numerica
e
informativa
che
si
riscontra
di
meno
nelle
altre
commissioni.
Precedentemente,
nel
1989,
su
iniziativa
del
vescovo
guatemalteco
Monsignor
Gerardi,
fu
formata
una
commissione
per
la
verità
che
raccolse
un
incredibile
quantità
di
materiale.
I
lavori
durarono
circa
10
anni
e
portarono
alla
luce
un
documento
chiamato
Guatemala
nunca
mas:
subito
dopo,
però,
Monsignor
Gerardi
venne
assassinato
e il
clima
divenne
tesissimo.
L’anno
dopo,
la
commissione
istituita
dalle
Nazioni
Unite
produsse
il
documento
“Guatemala,
memoria
del
silenzio”,
dove
il
93
per
cento
delle
violazioni
vennero
attribuite
alle
forze
militari
e si
riscontrò
che
l’83
per
cento
delle
vittime
erano
di
etnia
Maya.
Tuttavia
il
documento
non
venne
riconosciuto
come
verità
ufficiale
e le
uniche
scuse
arrivarono
da
Bill
Clinton
per
il
ruolo
degli
USA.
La
verità
della
CEH
non
contribuì
alla
riconciliazione
nazionale
e
anche
con
l’elezione
del
presidente
Portillo
la
situazione
non
cambiò.
Rimase
allo
stesso
modo
irrisolto
l’assassinio
di
Monsignor
Gerardi.
Nel
1998,
inoltre,
passò
inosservata
una
legge
che
permetteva
agli
ex
agenti
delle
forze
armate
di
entrare
nella
nuova
Polizia
Civile
Nazionale
(PNC).
Le
riforme
messe
in
atto
dai
nuovi
governi
non
si
rivelarono
sufficienti
a
colmare
l’ampio
divario
tra
le
classi
sociali
e
nessuna
delle
raccomandazioni
per
la
pace
fatta
dalla
CEH
venne
seguita.
Anche
l’ONU
decise,
nel
2004,
di
ritirare
le
forze
di
peace
keeping
inviate
(MINUGUA)
rendendosi
conto
che
nulla
era
stato
ancora
raggiunto.