N. 79 - Luglio 2014
(CX)
LE TRANSIZIONI POLITICHE LATINOAMERICANE
PARTE II -
iL CASO ARGENTINO
di Laura Ballerini
Sotto
il
governo
populista
di
Isabella
Peròn
(1973-77),
l’Argentina
andò
incontro
a un
periodo
di
ristagno
economico
a
cui
seguì
la
formazione
di
gruppi
paramilitari
(come
i
Monteneros)
che
agitarono
la
realtà
sociale
al
punto
da
portarla
alla
frattura.
Quel
che
caratterizza
il
golpe
argentino
è
che
esso
fu
annunciato,
e
non
solo,
che
venne
accolto
come
un
momento
di
cambiamento
positivo.
Venne
attuato
nel
1977
dai
generali
Videla,
Massera
e
Agosti,
il
primo
dei
quali
si
pose
a
capo
di
un
regime
autoritario,
repressivo
e di
stampo
economico
neoliberista.
A
differenza
che
in
Cile,
dove
tutto
avvenne
sotto
i
riflettori
del
mondo,
in
Argentina
i
piani
di
persecuzione
sistematica
dei
dissidenti
politici
avvennero
nel
silenzio.
Chi
veniva
additato
come
“nemico
interno”
veniva
deportato
nelle
caserme
e o
in
centri
nascosti,
e
costretto
a
subire
le
più
atroci
e
umilianti
torture,
incontrando
poi
la
morte.
Alle
famiglie
non
era
dato
sapere
dove
venissero
deportati
i
loro
cari,
e
nemmeno
se
fossero
vivi
o
morti:
le
persone
semplicemente
scomparivano
e
per
questo
si
parlò
di
desaparecidos.
Dal
30
aprile
1977,
e
per
tutti
i
giovedì
che
seguirono,
le
madri
e le
mogli
di
persone
scomparse
si
riunirono
a
Plaza
de
Mayo
nella
speranza
di
avere
notizie
e di
potersi
congiungere
con
chi
gli
era
stato
portato
via,
spesso
nel
cuore
della
notte.
Molti
bambini,
inoltre,
venivano
strappati
alle
loro
famiglie
e
affidati
ad
altre
considerate
più
vicine
agli
ideali
del
regime,
provocando
il
dolore
isterico
delle
madri
che
affollavano
Plaza
de
Mayo
per
avere
notizie.
Nel
frattempo
il
regime
di
Videla
non
era
riuscito
a
portare
il
paese
fuori
dalla
crisi
economica,
e si
impelagò
nella
guerra
per
le
isole
Falkland
con
la
Gran
Bretagna
nel
1982,
uscendone
sconfitto.
Approfittando
della
crisi
dei
militari
si
formò
una
coalizione
politica
chiamata
multipartidaria
che
riuniva
quasi
tutte
le
forze
politiche
costrette
alla
clandestinità.
L’anno
dopo,
nel
1983,
i
militari
concessero
libere
elezioni
che
portarono
al
governo
il
democratico
Alfonsìn.
Quest’ultimo
si
rifiutò
di
lasciar
cadere
nell’oblio
i
crimini
commessi,
poiché
riteneva
che
solo
la
giustizia
e la
ricerca
della
verità
potevano
far
ricominciare
un
processo
democratico.
Per
questo
motivo
fondò
la
CONADEP
(comission
nacional
sobre
la
desaparicion
de
las
personas).
I 13
membri
vennero
scelti
dall’esecutivo,
con
il
compito
di
raccogliere
testimonianze,
denunce
e
tutta
la
documentazione
possibile.
In
quel
periodo
andò
in
onda
una
trasmissione
televisiva
inerente
quanto
avvenuto,
che
ebbe
grande
impatto
e
spinse
le
persone
a
testimoniare
le
loro
storie.
Si
chiamava
Nunca
mas¸
"Mai
più",
e
venne
scelto
questo
nome
per
la
relazione
finale
della
CONADEP.
Questa
relazione
finale
si
componeva
di
sei
capitoli
in
cui
veniva
ricostruita
la
repressione
delle
forze
armate
(i
metodi,
i
luoghi
dei
centri
di
detenzione),
l’analisi
delle
vittime
(circa
30mila
di
cui
il
69%
uomini
e
20%
donne,
il
10%
delle
quali
incinte),
e
spiegato
l’operato
della
Commissione.
Il
prologo
non
si
addentò
nelle
cause
del
golpe
del
1977,
così
come
le
raccomandazioni
al
governo
si
espressero
in
poche
righe.
Nunca
Mas
venne
pubblicato
e
divenne
un
caso
letterario
con
un
boom
di
copie
vendute.
Erano
assenti
tuttavia
i
nomi
dei
torturatori
e le
forze
armate
negarono
tutto.
Le
querele
verso
i
propri
torturatori,
da
parte
di
chi
era
sopravvissuto,
cominciarono
ad
arrivare
come
un
fiume
in
piena
al
governo
di
Alfonsin
e
molti
militari
vennero
arrestati.
Il
22
aprile
1985
ci
fu
il
cosiddetto
Juicio
de
siglo
(giudizio
del
secolo)
dove
Videla
venne
arrestato.
Tuttavia
le
querele
erano
troppe
e
venne
varata
nel
1986
la
legge
del
punto
final,
secondo
la
quale
venivano
considerate
solo
le
querele
che
sarebbero
giunte
nei
due
mesi
successivi.
La
risposta
fu
l’esplosione
delle
denunce
contro
i
militari,
che
si
ammutinarono
nella
settimana
di
pasqua,
in
quella
che
è
nota
come
la
rivolta
della
semana
santa.
Le
forze
armate
allora
trattarono
con
lo
Stato
chiedendo
la
piena
riabilitazione
e
nello
stesso
anno
venne
varata
la
legge
della
obediencia
debida,
che
esentava
dalle
condanne
i
militari
che
avevano
solo
eseguito
gli
ordini,
e
quindi
tutti
i
ranghi
medi
e
bassi.
Nel
1989
andò
al
governo
Menem,
che
per
assicurare
la
tranquillità
al
paese
proclamò
due
inulti
che
scagionavano
diversi
militari.
Questo
diffuse
nella
popolazione
un
senso
di
impunità
che
non
si
dissolse
nemmeno
con
la
nuova
Costituzione
del
1994
o
con
il
riconoscimento
del
crimine
della
“sparizione
forzata”
(subita
dai
desaparecidos).
Finché
l’anno
dopo,
ne
1995,
non
uscì
il
libro
“El
vuelo”
(il
volo)
del
giornalista
e
scrittore
Horacio
Verbitsky,
sui
crimini
commessi
dal
Capitano
di
vascello
della
Marina
Militare,
Adolfo
Scilingo.
Questo
spinse
numerosi
altri
membri
dell’esercito
a
riconoscere
le
colpe
delle
Forze
Armate.
Iniziarono
allora
i
cosiddetti
juicios
por
la
verdad
(giudizi
per
la
verità)
nei
paesi
oltremare
come
Spagna,
Italia,
Francia
contro
membri
degli
alti
ranghi
militari
argentini.
Infine,
nel
2003,
con
Kircher
al
governo,
vennero
aperte
le
porte
della
giustizia.
Vennero
annullate
le
leggi
del
punto
final
e di
obediencia
debida.
Si
aprì
allora
la
stagione
dei
processi
in
cui
lo
Stato
chiese
perdono.
Il
26
gennaio
2006,
dopo
25
anni,
vi
fu
l’ultima
“marcia
di
resistenza”
delle
madri
e
nonne
di
Plaza
de
Mayo.
Lo
stato
non
era
più
il
nemico,
ma
l’alleato
per
riportare
la
verità
e la
giustizia
e
riuscire
a
ricucire
il
paese
dopo
i
crimini
subiti.
Si
concluse
così
in
Argentina
la
transizione
verso
la
democrazia.