N. 89 - Maggio 2015
(CXX)
LA GRANDE TRASFORMAZIONE
BREVE STORIA DEL TTIP
di Filippo Petrocelli
Del
TTIP
ovvero
Transatlantic
Trade
and
Investment
Partnership
si
parla
troppo
poco,
eppure
bisognerebbe
discuterne
di
più.
Infatti
l'accordo
di
libero
scambio
fra
Stati
Uniti
e
Unione
Europea
in
fase
di
negoziazione
dal
2013,
è
ormai
prossimo
alla
sua
ratifica
e
rappresenta
una
grande
trasformazione:
porterà
a
compimento
un’importante
tappa
della
famigerata
rivoluzione
neoliberale,
eliminando
dazi
e
dogane
fra
le
sponde
dell’Oceano,
incrementando
gli
scambi
commerciali
fra
Ue e
Usa.
Non
solo:
attraverso
l’aumento
dell’integrazione
economica
fra
questi
due
continenti
si
verrebbe
a
creare
un
forte
blocco
economico
in
grado
di
creare
un
“mercato
interno”
con
regolamenti
uniformati
e un
bacino
di
utenza
comune
di
circa
800
milioni
di
persone.
Insomma
un
mercato
immenso
di
merci
e
servizi
–
competitivo
a
livello
globale
–
capace
di
reggere
il
confronto
con
economie
di
scala
molto
più
grandi
come
Cina
e
India
e
che
arriverebbe
a
rappresentare
il
45%
del
PIL
mondiale.
Ma
in
quali
settori
accadranno
i
mutamenti
più
significativi?
Secondo
i
suoi
sostenitori,
il
patto
porterà
benefici
sulle
due
sponde
dell’Atlantico
generando
una
crescita
economica
non
indifferente
(dallo
0.8%
al
4%,
secondo
le
previsioni),
anche
grazie
a un
forte
aumento
delle
esportazioni.
Secondo
i
suoi
detrattori
invece,
questo
accordo
genererà
benefici
negli
Stati
Uniti,
mentre
creerà
diversi
problemi
sulla
sponda
europea:
disarticolerà
difatti
il
mercato
dell’Ue,
favorendo
le
economie
egemoni
(Germania
e
Francia)
e
aumentando
di
conseguenza
il
divario
fra
queste
e
l’Europa
meridionale,
non
senza
rallentare
la
domanda
interna
di
beni
e
servizi.
In
altre
parole
si
potrebbe
parlare
di
una
serie
di
liberalizzazioni
che
investiranno
diversi
settori
dell’economia
e
della
vita
pubblica:
da
quello
dei
servizi
a
quello
degli
appalti
pubblici.
Favorendo
in
sostanza
un
forte
risparmio
per
le
aziende
(si
ridurrebbero
per
esempio
una
serie
di
controlli
sanitari
sui
prodotti,
così
come
sarebbe
più
diretto
e
semplice
l’accesso
al
mercato)
con
il
rischio
di
ridurre
le
tutele
e i
diritti
di
chi
usufruisce
del
prodotto.
Insomma
i
critici
del
TTIP
sostengono
che
l’uniformazione
delle
norme
rappresenterà
necessariamente
una
loro
svalutazione
e
semplificazione,
che
gioverà
molto
alle
aziende,
soprattutto
quelle
grandi,
rischiando
però
di
intaccare
le
tutele
di
cui
il
consumatore
gode,
soprattutto
in
Unione
Europea.
Uno
dei
punti
più
spinosi
è
quello
relativo
proprio
al
settore
alimentare:
con
la
firma
del
TTIP
per
esempio,
in
Unione
Europea
arriverebbero
gli
OGM,
largamente
usati
negli
Usa,
ma
ci
sarebbe
anche
il
via
libera
a
una
serie
di
pesticidi
e
prodotti
chimici,
potenzialmente
dannosi
per
la
salute
e
attualmente
vietati
nella
totalità
dei
paesi
dell’Unione.
Cambierebbero
e di
molto,
le
norme
sul
cibo
anche
a
livello
formale:
sia
sulla
sua
etichettatura
e
marchiatura,
che
sul
versante
della
“trasparenza”,
spalancando
così
le
porte
a
un’enormità
di
prodotti
di
dubbia
provenienza,
forse
sofisticati
o
contraffatti.
Ma
la
cosa
curiosa
è
che
il
modello
a
cui
si
ispira
il
TTIP
è
quello
del
Nafta
North
American
Free
Trade
Agreement
–
sottoscritto
da
Canada,
Messico
e
Stati
Uniti
–
non
proprio
un
esempio
virtuoso
di
accordo
multilaterale.
Sebbene
sulla
carta
questa
intesa
doveva
rappresentare
un
vantaggio
per
tutti
i
contraenti,
sono
stati
solo
Stati
Uniti
e
Canada
a
beneficiare
di
incrementi
economici,
mentre
il
Messico
ha
diminuito
il
proprio
PIL,
accusando
soprattutto
a
livello
industriale
una
forte
contrazione,
nonché
una
flessione
in
settori
importanti
come
l’agricoltura
e il
comparto
alimentare,
diventati
riserva
di
caccia
delle
multinazionali
statunitensi.
Insomma
la
segretezza
di
alcuni
punti
dei
negoziati
del
TTIP
non
fa
che
aumentare
i
sospetti
su
questo
accordo:
i
silenzi
e le
omissioni
non
fanno
che
alimentare
i
dubbi
dei
complottisti
di
ogni
risma,
ma
anche
le
oneste
resistenze
di
semplici
cittadini,
forse
ormai
privati
dei
loro
più
elementari
diritti.