N. 12 - Maggio 2006
LA TRAGEDIA DI CHERNOBYL
A 20 anni dall'incidente nucleare, i pericoli,
la paura, il dolore in Bielorussia e Ucraina
di
Leila
Tavi
Per chi come me è cresciuto negli anni Ottanta, gli
anni dell’edonismo reganiano, Chernobyl ha
significato la prima vera presa di coscienza di come
un giorno il genere umano avrebbe potuto incorrere
nell’autodistruzione.
Ricordo la preoccupazione negli occhi di mio padre e
la razzia nei supermercati di latte a lunga
conservazione.
La nube di polveri tossiche è stata solo di
passaggio per qualche giorno nei cieli d’Italia;
spinta da un vento che da Chernobyl, 100 km. a nord di
Kiev, l’attuale capitale dell’Ucraina, l’ha portata
verso ovest, in Bielorussia, dove si è registrato il
più alto tasso di radioattività, sull’Europa
occidentale, poi Israele e Turchia, per fare il giro
del mondo passando da India, Cina e Giappone verso gli
Stati Uniti.
In paesi come la Francia, che investono ancora oggi
nel nucleare, il governo preferisce considerare
Chernobyl un incidente causato dall’utilizzo di una
tecnologia obsoleta per il reattore costruito alla
fine degli anni Settanta dai Sovietici con materiali
del 1959.
Si tratta di una scusa! Il nucleare è una fonte di
energia pericolosa, che ha causato disastri
ambientali; non è pulita, perché deposita
nell’ambiente scorie radioattive e soprattutto,
nonostante alcuni politici vogliano farci credere il
contrario, non è economica, a causa degli alti
costi per lo smantellamento delle centrali nucleari
alla cessazione della produzione e dello stoccaggio
del combustibile e delle scorie radioattive.
Dopo il disastro nucleare di Chernobyl si è parlato
dell’effetto “AIDS nucleare” per la Bielorussia
e l’Ucraina: 32 morti nella notte dell’incidente;
centinaia nelle ore successive; 5.000 morti nei primi
anni a causa del fall-out radioattivo;
ben 100.000 fino ad oggi, 900.000 invalidi; solo il
40% di sopravvissuti; l’80% di bambini delle area
circostanti la ex centrale nucleare ammalati di
tumore, altri 11.000 con anomalie genetiche; 270 metri
cubi ogni anno di polveri radioattive; ancora 7
milioni di persone esposte al rischio di radiazioni e
generazioni prossime con un destino già segnato.
Gli effetti delle sostanze rilasciate nell’aria dopo
un disastro atomico restano a lungo attive: lo
stronzio per 90 anni, con caratteristiche simili a
quelle del calcio, accumula radiazioni sulle ossa; il
Cesio 137, un radionuclide a lunga vita analogo
al potassio, che emette radiazioni gamma e beta e i
cui effetti perdurano per 10 anni; il plutonio 239
resta nel terreno per 24.000 mila anni e l’amaricium,
responsabile del cancro ai polmoni, per 4.500 anni.
L’organizzazione per la salute nel mondo (WHO)
ha reso noto il 5 settembre del 2005, durante una
conferenza stampa, le cifre ufficiali delle vittime
che, a detta l’organizzazione mondiale, non
supererebbero le 4.000. Il TORCH-Report (The
Other Report on Chernobyl), uno studio svolto in Gran
Bretagna, smentisce le cifre del WHO, stimando che a
seguito dell’incidente nucleare ancora tra le 30.000 e
le 60.000 persone moriranno di tumore.
L’organizzazione mondiale per la salvaguardia
dell’ambiente Greenpeace, in una recente
conferenza stampa in Germania, nella capitale Berlino,
ha dichiarato che secondo le previsioni dell’Accademia
delle scienze russa i casi di tumore in Bielorussia,
Russia e Ucraina causati dal disastro di Chernobyl
saliranno in futuro a 270.000, di cui 93.000 letali.
Si tratta di una guerra senza armi e senza possibilità
di armistizio.
A causare la violentissima esplosione e l’incendio
nella centrale di Chernobyl fu, tra la notte
del 25 e il 26 aprile 1986, un improvviso aumento
della produzione di vapore, dovuto al tentativo di
calcolare il tempo di autonomia di funzionamento dei
sistemi di emergenza del reattore 4 della centrale.
Tutti i sistemi di sicurezza erano stati disattivati e
la situazione sfuggì improvvisamente al controllo dei
tecnici della centrale.
L’avventato esperimento provocò un repentino aumento
del livello di potenza che distrusse il reattore 4.
Vani furono i tentativi nelle successive dieci ore di
spegnere l’incendio da parte dei vigili del fuoco; tra
il 27 aprile e il 5 maggio si ricorse al lancio da 30
elicotteri militari di 2.400 tonnellate di piombo e
1.800 tonnellate di sabbia per domare l’incendio e
assorbire le radiazioni, anche questo piano di
emergenza fallì.
A causa dell’enorme quantità di sabbia e di piombo
gettata sopra alle fiamme la temperatura del reattore
aumentò e di conseguenza anche la massa radioattiva
aumentò di volume.
L’incendio fu domato solo il 6 maggio.
Nel frattempo gli abitanti delle zone limitrofe furono
tenuti all’oscuro di quello che stava succedendo, solo
tre giorni dopo fu ordinata l’evacuazione di
350.000 persone. Nella città di Pripyat,
situata a 4 km. dalla centrale, furono inviati 1.100
autobus da Kiev che, in sole tre ore, trasportarono i
5.000 abitanti nella cittadina di Slavutich, a
circa 100 km da Pripyat. Prima dell’evacuazione tutta
la popolazione delle zone limitrofe fu esposta a
radiazioni cento volte più alte di quelle a cui gli
abitanti di Hiroshima furono sottoposti nel 1945.
Pripyat fu costruita nel 1970 per ospitare i tecnici
della centrale con le loro famiglie; oggi è una “città
fantasma”, dove per 400 dollari è possibile fare
il macabro tour di Chernobyl.
Solo il 23 maggio il governo sovietico decise di
distribuire preparati di iodio per impedire
l’assorbimento di iodio radioattivo da parte della
tiroide. La decisione giunse tardi, gli effetti delle
radiazioni su esseri umani e animali dopo un disastro
nucleare sono visibili già dopo i primi dieci giorni.
Il Cremlino lasciò svolgere regolarmente i
festeggiamenti per il 1. maggio incurante del
pericolo a cui si esponeva la popolazione.
Il programma nucleare dell’Unione sovietica nel 1986
prevedeva due tipi di reattore: il reattore ad acqua
compressa e il RBMK, il tipo in funzione dal
1978 nella centrale di Chernobyl; ognuna delle quattro
unità della centrale aveva una potenza di 1.000
megawatt.
Una categoria direttamente colpita dalle radiazioni fu
quella dei cosiddetti “liquidatori”, 800.000
uomini giunti da ogni parte dell’Unione Sovietica per
prestare soccorso e impegnati fino al 1989 in
operazioni per ripulire il terreno delle zone intorno
a Chernobyl dalle scorie radioattive.
Uno dei liquidatori ricorda nel documentario prodotto
da Arte France che i tempi massimi calcolati
per l’esposizione senza rischio erano di 2 minuti a
spedizione all’interno del reattore, ma non si usciva
mai fuori prima di 7 minuti.
Gli uomini impegnati nelle operazioni di soccorso sono
stati esposti a radioattività pari a 0,5 Sv; il
Comitato scientifico per le radiazioni nucleari
dell’ONU (UNSCEAR) ha stabilito che solo una
dose al di sotto dei 500 mSv, detta “dose
soglia”, non è letale per l’essere umano.
Tutti gli uomini impiegati nello spegnimento
dell’incendio e successivamente nella costruzione del
sarcofago che ricopre i resti della centrale,
sotto cui ancora vive un pericoloso campo radioattivo,
hanno accusato nel tempo disturbi alla circolazione, gravi infiammazioni alle
mucose dell’apparato digerente. La maggior parte dei
liquidatori è morta con il passare degli anni.
Grazie all’intervento dei liquidatori si riuscì a
spengere il reattore 4 e a inserirlo, lavorando
duramente per sette mesi, in un sarcofago di acciaio.
Il reattore 2 e il reattore 1 rimasero
in funzione rispettivamente fino al 1991 e al 1996,
entrambi messi fuori uso da un incendio, mentre il
reattore 3 fu spento solo il 12 dicembre 2000,
dopo lunghe trattative e lo stanziamento di
finanziamenti da parte dell’Occidente.
Il biologo nucleare Edmund Lengfelder
dell’Università di Monaco ha fatto una stima delle
vittime tra i liquidatori: tra i 50.000 e i 100.000.
Un altro fisico tedesco, Sebastian Pflugbeil,
considera il report del WHO una “Frechheit”,
un’infamia nei confronti delle migliaia di vittime di
Chernobyl.
I liquidatori che oggi ancora sono in vita non
vogliono essere considerati eroi, ritengono di aver
fatto solo il loro dovere, ma spesso piangono al
ricordo dei compagni morti, come Anatolij Baroschij,
esperto di tecniche militari. Uno di loro, Victor
Kulikovskij, ha un figlio gravemente malato di
cancro: il piccolo Kulikovskij è uno dei tanti figli
della tragedia di Chernobyl, nato da genitori
contaminati, in una delle 17.000 famiglie a cui il
governo ucraino ha concesso una misera pensione come
risarcimento per i danni subiti durante l’esposizione
alle radiazioni.
Sono sicuramente ragioni politiche che hanno costretto
il WHO a presentare dati falsati; lo studio è stato
svolto nell’ambito del “Forum su Chernobyl”,
organizzato nel 2005 dall’Agenzia internazionale per
l’energia atomica (AIEA), che ha tutto
l’interesse a promuovere l’utilizzo civile
dell’energia atomica.
Il sarcofago che ricopre i resti della centrale
nucleare, una struttura di 20.000 tonnellate, fu
pensato come misura ad interim concepita per
durare massimo 20-30 anni. Ma già nel 1994 un
consorzio a guida francese, il “Campenon Bernard
SGE”, fu incaricato di effettuare uno studio
di fattibilità per la costruzione di una nuova
struttura.
In seguito allo studio di fattibilità svolto nel 1995
dal consorzio è emerso che l’attuale sarcofago è
instabile e non offre garanzie in caso di terremoti;
non è adatto a conservare materiali radioattivi la cui
vita media supera i 10.000 anni.
Senza i finanziamenti della Comunità internazionale
l’Ucraina non è in grado di portare avanti il progetto
della costruzione di un nuovo sarcofago.
All’interno del sarcofago è contenuto il 95% del
materiale radioattivo sprigionato al momento
dell’incidente. Nel caso in cui il sarcofago cedesse
il materiale sarebbe rilasciato pericolosamente
nell’ambiente scatenando una catastrofe mondiale; si
stima che potrebbero fuoriuscire 4 tonnellate di
polveri radioattive.
Attraverso i 100 metri quadrati di crepe e fessure si
infiltrano ogni anno 2.200 metri cubi di acqua piovana
(oltre all’acqua di condensa, altri 1.650 metri cubi),
che corrodono e danneggiano le strutture metalliche.
Vasilij Nesterenko,
ex scienziato della centrale di Chernobyl e membro del
Belarussian Reserch Technical Centre,
dell’Institute of Radiation Safety e
capo per la Bielorussia dell’Indipendent Export
Committee Three State Inquiry into the Consequences of
the Chernobyl Disaster, sostiene che le
infiltrazioni sono un grave pericolo per le falde
acquifere e i fiumi, senza considerare che
un’eventuale straripamento del fiume Dnepr potrebbe
trasportare le sabbie che ricoprono la centrale nelle
acque del Mar Nero.
Dopo una serie di accordi intermedi tra la Commissione
europea e l’Ucraina nel 1997 il G7 ha adottato lo “Shelter
Implementation Plan” (SIP) con l’impegno di
sostenere economicamente il progetto di
implementazione; il 20 novembre 1997 è nato il “Chernobyl
Shelter Found” (CSF) amministrato dalla Banca
europea per la ricostruzione allo sviluppo.
Fanno parte dell’Assemblea dei donatori del CSF,
presieduta da Hans Blix: Austria, Belgio,
Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran
Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Giappone, Kuwait,
Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, Spagna,
Svezia, Svizzera, Ucraina, UE, USA. Per realizzare il
progetto è necessario oltre un miliardo di US dollari.
Ancora oggi un’area vasta come due volte l’Irlanda
situata tra la Russia, la Bielorussia e l’Ucraina, con
una popolazione di due milioni e mezzo di abitanti, è
altamente radioattiva.
In molti dei villaggi evacuati è tornata a vivere la
gente; la cosiddetta “zona morta” è fatta di
rigogliosi boschi di betulle e di corsi d’acqua dove
si pesca. Nessuno crede alla pericolosità delle
radiazioni; le radiazioni non si vedono, non alterano
il sapore dei cibi. Gli uomini pescano incuranti dei
divieti e i bambini vanno nei boschi come da
tradizione a cogliere mirtilli e funghi.
Chi ammette di mangiare cibo contaminato, di bere
latte radioattivo, non ha altra alternativa che
lasciare i villaggi per vivere di stenti nella povertà
e nella sporcizia delle periferie di Kiev o di Minsk.
Allora si preferisce restare nonostante le forti
emicranie, il naso che sanguina, le febbricole che
mostrano la debolezza del sistema immunitario, il
vomito e l’anemia plastica, diffusissima nei bambini
al di sotto dei 10 anni.
A che serve centrifugare il latte quando i bambini
vengono comunque sottoposti a chemioterapia?
Curare un bambino malato di cancro in Ucraina costa
circa 10.000 US dollari, uno stipendio medio è di 100
US dollari. La cifra stanziata complessivamente
all’anno è solo di 60.000 US dollari. Lo Stato non ha
soldi, non dà né sovvenzioni, né esenzioni per i
bambini malati di Chernobyl.
I bambini della Bielorussia sono ancora più
sfortunati, nella regione di Gomel nel 1987 si
riversò il 75% degli scarichi radioattivi. Il 23% del
territorio bielorusso è contaminato, ma le difficili
relazioni diplomatiche tra Aleksander Lukashenko
e l’UE hanno causato la sospensione di quasi tutti i
programmi di aiuto finanziati dall’Unione.
L’UNICEF ha reso noto che tra il 1990 e il 1994
si è verificato in Bielorussia un aumento delle
patologie tra i bambini del 43% per il sistema nervoso
e sensoriale, del 28% per il sistema digerente e del
62% per il sistema digerente.
Nella regione di Gomel si è osservato che il cancro
alla tiroide è aumentato di 100 volte tra il 1990 e il
1994, mentre nelle zone della Russia e dell’Ucraina
contaminate rispettivamente di dieci e sette volte; il
70% dei bambini di Gomel soffre di disturbi cardiaci,
come aritmia e nei casi più gravi infarto.
Nel villaggio di Svetilovici, vicino a Gomel,
il 25% dei bambini è affetto da cataratta.
Il prof. Nesterenko sta sperimentando le proprietà
curative dello jablopekt, un ricavato dalle mele che
sembrerebbe aiutare l’organismo nello smaltimento del
Cesio 137.
A Vienna tra il 12 e il 15 aprile del 1995 è stata
costituita una Sessione del Tribunale permanente
dei popoli per rendere giustizia alle migliaia di
vittime di Chernobyl. Il Tribunale ha condannato l’AIEA,
le commissioni nazionali per l’energia atomica e i
governi che finanziano e sostengono gli interessi
dell’industria nucleare.
In Ucraina altre cinque centrali come Chernobyl sono
attualmente in funzione, quella di Zaporizhye,
nell’Ucraina orientale, è la più grande d’Europa.
Nonostante la tragedia di Chernobyl si è continuato a
investire nel nucleare, anche a causa della dipendenza
dalla Russia nel settore degli idrocarburi e degli
elevati costi di estrazione del carbone. Con i
finanziamenti di Francia, Germania, Giappone, Italia e
USA sono in costruzione nuove centrali tra cui la
Maerliski 2 e la Rybek 4.
Gli studi sul “nucleare sicuro”, l’energia
elettrica ricavata dalla fusione, hanno finora avuto
come progetto più avanzato ITER; serviranno
almeno dieci anni ancora per risultati concreti e la
grave crisi energetica internazionale sta
pericolosamente riportando in auge l’energia derivata
dalla fissione nucleare.
Se il vento quel 26 aprile 1987 avesse soffiato verso
est le radiazioni avrebbero cancellato Kiev e con la
capitale ucraina due milioni e mezzo di persone.
Qualcuno in Bielorussia è convinto che il vento non ha
soffiato casualmente verso ovest, ma che l’ordine ai
reparti dell’Armata rossa addestrati alla guerra
chimica fu di evitare che la nube tossica passasse su
Mosca.
Non sono in grado di stabilire se si tratta di teorie
prive di fondamento o con un fondo di verità, mi
auguro però che i bambini occidentali non ricorderanno
in futuro Chernobyl solo per l’ennesimo videogame
della GSG Games Work.
Ecco come il cinico Occidente riesce a fare profitti
anche sulle disgrazie del mondo.
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http://www.gomel98.altervista.org/riflessioni.htm,
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J’ai lu, 2000
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http://www.chernobyl.info,
consultato il 27.04.2006
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regia di Nicholas Meyer, USA, 1983
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documentario, regia di Dominique Gros, Francia, 2005
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http://www.dw-world.de/dw/article/=,,1950469,00.html?maca=de-aa-cul-859-rdf,
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Luigi Ottani, Pierluigi Senatore, Niet problema!
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documentario, regia di Bernard Debord, Francia, 2006
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Der strahlende Sarg,
documentario, regia di Andrzej Klamt e Ulrich
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Catherine Vincent, Autour de Tchernobyl, la nature
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05.09.2002
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http://www.radiorus./theme.html?tid=7402,
consultato il 27.04.2006
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