N. 98 - Febbraio 2016
(CXXIX)
TRA
SAPERE
E
VERITà
ANALISI
DI
UN
RAPPORTO
DINAMICO
di
Lupo
Gargallo
di
Castel
Lentini
Sforza
Cesarini
Nella
vita
dell’uomo
la
libertà
rappresenta
un
argomento
perennemente
ricercato,
studiato
e
largamente
trattato,
al
punto
di
poter
tranquillamente
definire
l’uomo
stesso
in
base
alla
ricerca
di
essa,
e a
come,
quindi,
il
singolo
individuo
sceglie
di
ricercarla.
Proprio
per
l’immenso
peso
di
questo
tema
è
impossibile
non
affiancare
alla
parola
“libertà”
anche
il
tema
del
timore,
la
paura.
Lo
scopo
di
questo
scritto
è
quello
di
indagare
il
rapporto
reciproco
tra
la
libertà
ed
il
sapere:
la
prima
come
strumento
necessario
di
indagine
e
contemporaneamente
come
suo
obiettivo
ultimo;
il
secondo
come
strumento
di
partenza
e
arrivo.
Quando
la
libertà
entra
in
contatto
con
il
sapere
si
mescola,
cambiando
i
propri
confini:
esempio
lampante
è
costituito
senz’altro
dagli
stoici.
Questo
rapporto
dinamico,
nella
vita
di
un
essere
umano,
è
articolato
in
tre
fasi:
Fame
giovanile:
la
fase
in
cui
la
persona
ricerca
disinteressatamente
la
comprensione
del
mondo
fisico
fino
a
compiere
il
salto
verso
il
metafisico;
Costituzione:
elaborazione
dei
propri
obiettivi
scomponendo
e
ricomponendo
gli
elementi
acquisiti
nella
prima
fase
in
nuovi
contenuti
di
natura
fattizia;
Rivoluzione:
dopo
aver
costruito
un’idea
del
mondo
grazie
al
sapere,
l’individuo
è
portato
a
metterla
in
discussione
attraverso
il
dubbio,
così
facendo
ha
la
possibilità
di
riavviare
il
ciclo
dialettico;
Per
esemplificare
questi
tre
passaggi
dialettici
del
rapporto
tra
sapere
e
libertà
si
potrebbe
ricorrere
alle
figure
fenomenologiche
della
storia,
intesa
hegelianamente,
paragonare
cioè
il
singolo
alla
collettività
del
genere
umano:
così
facendo
è
semplice
individuare
dapprima
nei
fisici
ionici,
poi
in
Platone
e
Aristotele
quella
ricerca
disinteressata
di
cui
alla
prima
fase;
in
San
Tommaso
d’Aquino
la
fase
di
costituzione
ed
individuazione
di
contenuti
ed
infine
in
Galileo
Galilei
l’ultimo,
quanto
fondamentale,
momento
di
messa
in
discussione
di
un
sapere
altrimenti
statico
ed
eternamente
presente
a sé
stesso,
quindi
sterile;
fino
ad
arrivare
ai
giorni
nostri,
i
giorni
della
rivoluzione
tecnologica
in
cui
si
avverte
la
fame
giovanile
dell’inizio
della
ricerca.
Onnipresente
in
queste
fasi
è la
scelta,
strumento
sì
di
libertà
quanto
di
negazione
di
essa;
il
principio
che
gli
economisti
chiamano
costo
opportunità,
ovvero
la
necessaria
rinuncia
a
tutti
i
percorsi
che
non
sono
stati
scelti.
Ne
consegue
quindi
che
per
perseguire
la
ricerca
della
libertà
per
mezzo
del
sapere
l’uomo
debba
necessariamente
rinunciare
ad
una
libertà
generica
e
categorica,
preferendone
una
limitata
e,
quindi,
conformabile
ai
propri
obiettivi.
Come
sarà
illustrato
nel
presente
scritto
la
scelta
ha
un
percorso
parallelo
rispetto
a
quello
dialettico
sopraenunciato;
infatti
la
ricerca
costituisce
la
prima
e
fondamentale
scelta
dell’individuo,
libera
fintantoché
non
si
giunge
alla
costituzione,
fase
in
cui
la
scelta
diventa
fondamentale
sui
contenuti:
l’individuo
sarà
portato
a
scartare
o
ammettere
contenuti
non
più
solo
in
base
alla
propria
indole
ma
anche
per
frutto
di
un
inevitabile
condizionamento
esterno,
sia
esso
ambientale,
sociale
o
morale.
La
scelta
dei
contenuti
è
una
responsabilità
propria
ed
irrinunciabile
dell’individuo
che,
maturando
nella
terza
fase,
la
fase
caratterizzata
dal
dubbio,
non
può
che
generare
una
nuova
consapevolezza
della
libertà
di
scegliere,
una
nuova,
paurosa,
costruzione
dell’io-pensante
e,
ancora,
dell’io-sociale
che
si
ritrova
ad
essere
peculiare,
unico
e
quindi
solo
nella
sua
responsabilità
davanti
al
proprio
sapere
libero.
Fase
Prima:
Fame
Giovanile
La
scelta
del
termine
“fame”
trova
la
propria
motivazione
nella
natura
del
giovane
che,
tra
tracotanza
ed
ignoranza
dei
propri
limiti,
si
affanna
sulla
conoscenza
basandosi
esclusivamente
sulla
propria
volontà
senza
la
consapevolezza
di
compiere
questo
atto
primario.
La
scintilla
vitale
dell’atto
egoistico
di
Alfieri
di
farsi
legare
alla
sedia
quando
“volli,
volli
sempre,
fortissimamente
volli”
che
mette
in
moto
il
percorso
di
apprendimento.
Platone
esprime
questo
concetto
con
il
mito
di
Eros,
figlio
di
Poenia
e
Poros,
Povertà
e
Ricchezza,
per
indicare
l’istinto
carnale,
famelico,
dell’uomo
che
si
affaccia
sulla
filosofia
ricco,
da
un
lato,
di
aspettative
quanto,
dall’altro,
povero
di
limiti
ed
esperienza.
Questa
mancanza
di
esperienza
è
compensata
dalla
figura
di
colui
che
guida
lo
studente,
infatti
il
metodo
stesso
di
insegnamento
è un
sintomo
della
fase
che
il
periodo
storico
analizzato
sta
attraversando:
l’età
classica
vede
come
protagonisti
i
peripatetici,
filosofi
che
insegnavano
passeggiando
e
dialogando
sotto
i
porticati
delle
πόλεις
con
i
propri
studenti.
Il
ricorso
allo
strumento
del
dialogo,
sia
come
metodo
di
insegnamento
che
come
forma
prediletta
degli
scritti
filosofici
classici,
è
comprensibile
solo
grazie
alla
fame,
viscerale
e
disinteressata,
di
conoscere
finitamente
l’argomento
trattato.
Platone
stesso
utilizza
prevalentemente
il
dialogo
per
donare
contemporaneità
storica
alla
discussione
dei
personaggi,
come
nel
tentativo
di
comunicare
la
relatività
delle
idee,
contestualizzate
nel
momento
e
nella
situazione
in
cui
sono
espresse.
Il
sapere
in
questo
momento
della
tripartizione
è
quindi
un
flusso
di
informazioni
grezze
che
cominciano
ad
avere
una
propria
organizzazione:
Platone
giovane
che
ascolta
la
viva
voce
del
maestro
Socrate
ed
elabora
degli
scritti
vivaci,
dialoghi
serrati
di
frasi
relativamente
brevi,
si
trasforma
nel
Platone
maturo,
che
si
trova
a
dover
dirimere
il
problema
della
condanna
a
morte
di
Socrate,
il
“più
giusto
tra
gli
uomini”
come
un
nemico
della
πόλις,
ed,
infine,
il
Platone
della
vecchiaia
che
si
rifugia
nella
matematica
per
difendere
una
vita
di
ricerca
disinteressata
dagli
attacchi
delle
nuove
filosofie
nascenti,
affamate
e
bisognose
di
distruggere
e
rielaborare
il
sapere
costruito.
Questa
divisione
tradizionale,
e
per
alcuni
desueta,
dei
periodi
platonici
aiuta
a
leggere
l’uomo
dietro
alla
filosofia.
Un
uomo
che
affronta
un
dilemma
esemplificato
nel
Gorgia,
quando
Callicle
afferma
che
la
filosofia
può
essere
solo
un
passatempo
per
giovani
inesperti
della
vita
e,
pertanto,
Socrate,
in
quanto
vecchio,
sarebbe
stato
degno
solo
di
ricevere
bastonate,
ovvero
di
quale
sia
l’effettivo
ruolo
della
filosofia
nel
rapporto
con
la
vita
della
città
ed
inizia
a
costruire
una
teoria
di
separazione
in
caste,
totalmente
creativa
e
poco
allacciata
al
reale.
Platone
non
può,
per
la
sua
storia
o
semplicemente
per
la
Storia,
passare
alla
fase
di
costituzione
e
quindi
rimane
un
esempio
di
sapere
giovanile
affamato
e
famelico
che
cercherà,
da
un
lato,
di
trovare
l’interezza
del
sapere
ovunque,
finendo
per
difendersi
nella
matematica,
e,
dall’altro,
di
salvare
Socrate
dall’accusa
così
fortemente
sentita
da
comparire
persino
in
uno
dei
suoi
dialoghi
più
belli
e
famosi.
Chissà
se
Platone
si
rese
conto
di
esserci
riuscito
attraverso
i
suoi
stessi
dialoghi?
Poiché
un
uomo
del
genio
di
Socrate
che
si
ritrova
a
parlare
col
pitagorico
Timeo,
o
con
Aristofane,
o
con
i
politici
più
in
vista
del
suo
tempo
rappresenta
il
bisogno
della
società
di
avere
un
dialogo
costante
con
la
filosofia,
un
modello
di
riferimento
che
è
attuato
nella
scuola
e
nei
suoi
metodi
e si
ritrova,
come
in
uno
specchio,
nello
stato
e
nella
sua
direzione.
Oggi
non
esistono
più
peripatetici
ma
non
esiste
un
governo
occidentale
che
non
provi
a
riformare
la
scuola
dalle
sue
fondamenta:
che
si
sia
perso
il
modello?
Che
la
nuova
“prima”
fase
della
fame
tecnologica
di
conoscenza
sia
ancora
in
gestazione?
Fase
Seconda:
Costituzione
Con
il
termine
“costituzione”
si
vuole
intendere
il
momento
in
cui
l’individuo
comincia
a
selezionare
quali
siano
i
predicati
accettabili
e
quali
invece
quelli
da
scartare
in
funzione,
e
quindi
creazione,
di
un
obiettivo
specifico
posto
nella
crescita.
Risulta
evidente
quindi
che
il
vero
momento
di
passaggio
tra
le
due
fasi
è
l’apposizione
di
uno
scopo,
il
sacrificio
cioè
della
totale
libertà
della
ricerca
primaria
per
edificare
sui
dati
acquisiti
una
conoscenza
solida
e
sviluppata,
che
si
astragga
dal
mero
dato
sensibile
e si
diriga
verso
il
metafisico,
la
filosofia.
Come
affermato
in
precedenza,
in
questa
fase
la
scelta
assume
una
valenza
peculiare,
dal
peso
decisamente
maggiore
rispetto
alle
altre
fasi:
una
volta
che
l’individuo
abbia
raggiunto
una
maturità
sufficiente
e si
senta
pronto
ad
uscire
dallo
stato
di
abulia,
egli
sarà
costretto
dal
proprio
δαιμόνων
(per
dirla
con
Platone)
a
selezionare
quale
sia
l’obiettivo
per
lui
maggiormente
idoneo.
Esistono
vari
vincoli
alla
scelta,
per
San
Tommaso
d’Aquino
ad
esempio
la
scelta
di
diventare
un
monaco
benedettino
non
è
stata
affatto
pacifica:
spinto
da
una
nobile
famiglia
numerosa
a
prendere
i
voti
sceglie
la
via
del
Santo
di
Norcia
contro
il
parere
paterno.
Nell’età
matura
San
Tommaso
ebbe
il
coraggio
di
aprire
quelle
che
lui
stesso
chiamò
“viae”
dell’intelletto
per
scoprire
Dio:
«Ciò
che
si
accetta
per
fede
sulla
base
della
rivelazione
divina
non
può
essere
contrario
alla
conoscenza
naturale...
Dio
non
può
indurre
nell'uomo
un'opinione
o
una
fede
contro
la
conoscenza
naturale...
tutti
gli
argomenti
contro
la
fede
non
procedono
rettamente
dai
primi
principii
per
sé
noti».
E
proprio
sulla
scia
di
queste
parole
si
ritrovò
a
dover
“limitare”
i
predicati
di
Dio,
affermando
che
questi,
restando
onnipotente,
non
poteva
comunque
fare
il
male,
né
tantomeno
creare
un
altro
Dio.
Il
motivo
per
cui
è
San
Tommaso
ad
apparire
in
queste
righe,
e
non
Sant’Agostino,
per
quanto
“coevi”
(in
base
alla
tripartizione
di
cui
si
scrive),
è il
totale
rifiuto
del
primo
dell’idea
che
la
conoscenza
si
acquisisca
solo
per
illuminazione
divina
elaborata
dal
secondo.
Per
Tommaso
infatti
la
conoscenza
umana
è
limitata,
condizionata
dalla
gerarchia
celeste
elaborata,
al
culmine
della
quale
troviamo
Dio,
unico
conoscitore
degli
universali
ante-rem;
poi
le
cerchie
angeliche,
responsabili
dei
moti
celesti,
ed
infine
l’essere
umano
capace
solo
di
una
conoscenza
post-rem,
ovvero
che
parta
dai
dati
sensibili
per
raggiungere
gli
universali.
La
visione
di
San
Tommaso
del
mondo
si
appoggia
sulla
cosmologia
tolemaica:
la
teoria
cosmologica
più
longeva
della
storia
umana,
ed
avvalorata
anche
dagli
scritti
di
Platone
ed
Aristotele.
Forse
è
questa
la
scelta
costruttiva
che
più
ha
caratterizzato
il
pensiero
medievale
e
moderno
dell’occidente,
la
decisione,
cioè,
di
quale
filosofo
e
autore
greco
fosse
degno
di
accostarsi
alla
Bibbia
e
quale
invece
no,
da
un
lato
Aristotele
con
la
sua
fisica,
così
comoda,
antropocentrica,
“accogliente”,
dall’altra,
ad
esempio
Epicuro.
Il
sapere
raggiunto
durante
questa
fase
assume
una
solidità
notevole
che,
nell’ottica
antropocentrica,
conferisce
autorevolezza
all’essere
umano
e lo
rende
superiore
al
mondo
delle
cose.
D’altro
canto
però
questa
fusione
tra
conoscenza
e
fede
porta
l’errore
nella
sfera
del
peccato,
strozzando
la
capacità
di
scelta
e
fermando
il
progresso
della
prima
fase
negli
individui,
la
cui
assenza
genera
crisi,
che
sia
sociale,
morale
od
economica.
Per
uscire
da
tale
stato
è
necessario
uscire
anche
dalla
fase
di
costituzione,
ma
tale
fatto
può
assumere
vesti
di
involuzione,
ripristinando
cioè
la
fame,
oppure
di
evoluzione
e,
quindi,
rivoluzione.
Fase
Terza:
Rivoluzione
Come
già
detto,
il
processo
di
sintesi
dei
predicati
può
portare
ad
uno
stato
di
crisi
dal
quale
si
esce
solo
con
un
ritorno
alla
fame
giovanile,
oppure
con
una
rivoluzione,
un
rovesciamento,
di
tutto
il
sapere
costruito
nella
prima
e
seconda
fase.
La
messa
in
discussione
di
quelli
che
sono
divenuti
assiomi
indiscutibili
è
necessaria
per
mantenere
l'essere
umano
al
di
sopra
delle
proprie
idee
e
combattere,
così,
il
fanatismo
che
invece
ne
sarebbe
la
morte.
Proprio
per
questo
motivo
“libertà”
è un
concetto
così
strettamente
legato
al
sapere,
quanto,
o
forse
più
che,
il
sapere
alla
libertà.
Già
si è
scritto
di
come
questi
due
concetti
si
intreccino
nella
scelta,
dapprima
di
avviare
il
percorso,
poi
di
selezionare,
quasi
a
proprio
sfavore,
ed
infine
di
“rovesciare”
ciò
che
si è
costruito
per
renderlo
solo
un
punto
di
partenza
totalmente
discutibile
e
non
un
paradigma
col
quale
indagare
la
realtà.
L'esempio
migliore
in
questa
sede
è
senza
dubbio
quello
di
uno
studente
universitario
di
medicina
che,
nonostante
la
divorante
curiosità,
si
ritrovi
ad
affrontare
un
sistema
che
non
approfondisca
le
pratiche
di
laboratorio,
limitandosi
invece
ad
un
sapere
teorico.
Quello
studente
è il
giovanissimo
Galileo
Galilei,
facilmente
immaginabile
come
messo
a
dura
prova
dalla
pretesa
del
sistema
accademico
del
1500
di
conformare
la
realtà
alle
tavole
anatomiche
dei
greci,
come
piuttosto
di
accontentarsi
del
“misterium”
connesso
all'oscillazione
del
pendolo.
Galileo
Galilei,
a
soli
diciassette
anni,
riesce
a
dimostrare
l'isocronia
del
pendolo,
superando
le
centinaia
di
anni
di
pensiero
che
lo
avevano
preceduto
ed
addirittura
Aristotele
stesso.
Purtroppo
un
sistema
“costituito”
e
quindi
in
crisi
non
favorisce
la
fame
giovanile,
soprattutto
se
di
questa
portata,
infatti
il
pisano
non
si
laurea
né
in
medicina,
né
in
matematica.
Tuttavia
persino
il
brillante
Galileo
non
avrebbe
avuto
il
suo
peso
nella
storia
senza
le
condizioni
idonee
a
sviluppare
le
sue
teorie
giovanili.
Queste
condizioni
erano
offerte
dalla
Repubblica
Serenissima
di
Venezia
che,
nell’università
di
Padova,
garantiva
agli
studenti
ed
agli
insegnanti
(tra
i
quali
Galileo)
libertà
di
insegnamento.
Fa
certamente
riflettere
come
l’egida
dell’ateneo
padovano
abbia
dato
quel
senso
di
sicurezza
a
Galileo
che
invece
Giordano
Bruno
cercava
solo
dentro
sé
stesso,
finendo
per
risultare
quasi
insolente
quando
affermò:
“Bruciatemi!
Bruciatemi!
Avete
più
paura
voi
di
bruciare
me
che
io
di
essere
bruciato
da
voi!”
Nella
storia,
tradizionalmente,
gli
studenti
di
filosofia
si
sono
suddivisi
in
seguaci
di
Galileo
o
seguaci
di
Giordano,
preferendone,
i
primi,
la
freddezza,
la
lucidità
e la
lungimiranza,
i
secondi
il
calore,
la
visceralità
e
l’empatia.
Giordano
è
come
il
fuoco
della
sua
stessa
pira:
sogna
mondi
lontani
che
ama,
e
questo
sogno
brucia
dentro
il
suo
animo
al
punto
da
impedirgli
di
abiurare
e,
di
fatto,
ucciderlo
tanto
quanto
le
fiamme
di
Campo
de’
Fiori,
rendendolo
un
pensatore
fermo
alla
Fame
Giovanile
più
che
alla
Rivoluzione.
Dall’altro
lato
c’è
un
pensatore
freddo,
calcolatore:
un
uomo
che,
dopo
il
cannocchiale,
capisce
perfettamente
l’esistenza
di
un
prima
e di
un
dopo
e
che
lui
è
proprio
lo
spartiacque
di
questi
ultimi.
La
realtà
è
che,
mentre
Giordano
Bruno
riscalda
i
cuori
di
chi
lo
legge
da
secoli,
Galileo
quei
cervelli
li
sveglia,
li
porta
alla
comprensione
degli
argomenti
trattati
contro
l’eventuale
pregiudizio
del
lettore
stesso,
spingendolo
a
proseguire
sul
cammino
da
lui
avviato.
Il
vero
motivo
per
cui
Galileo
si
trova
tra
queste
pagine
non
è la
curiosità
del
giovane
studente,
o l'isocronia
del
pendolo,
o la
“reinvenzione”
del
cannocchiale,
e
nemmeno
l'eccezionale
uso
che
di
esso
il
pensatore
pisano
fa
di
esso,
quando
cioè
invece
di
guardare
le
vele
delle
imbarcazioni
lo
rivolge
alle
stelle
e
compie
i
mirabili
studi
contenuti
nel
Nuncius
Sidereus.
Galielo
è
qui
esemplificato,
di
fianco
a
Platone
e
San
Tommaso,
per
quello
che
compie
dopo
l'abiura.
Dopo
i
settanta
anni
di
età
Galileo
infatti
dimostra
ad
ogni
individuo
vivente
quanto
possano
essere
slegati
età
fisica
ed
età
mentale
pubblicando
il
“Dialoghi
e
dimostrazioni
matematiche
intorno
a
due
nuove
scienze”,
la
fonte
del
metodo
scientifico.
Ogni
esperimento
è lì
spiegato
e
chiunque,
volendo
riprodurlo
può
seguire
le
istruzioni
e
proseguirne
l'opera
col
proprio
pensiero.
Si
apre
una
nuova
fase
del
sapere,
diversa
ed
uguale
alla
fame
giovanile.
Quel
vento
di
freschezza
e
novità
portata
da
un
uomo
anziano
e
sul
lastrico
per
via
delle
sue
vicende
con
la
Chiesa
ha
rivoluzionato
davvero
il
pianeta,
restituendo
totalmente
l'errore
alla
dimensione
umana
come
strumento
necessario
per
verificare
la
fondatezza
del
sapere.
Si
può
affermare
che
il
mondo
sia
stato
solo
il
punto
più
piccolo
delle
rivoluzioni
dovute
a
Galileo:
anche
il
sapere
stesso
è
mutato,
da
sapere
libero
era
diventato
sapere
dottrinale
con
San
Tommaso
e la
scolastica,
ora
invece
diviene
sapere
consapevole
dal
quale
riprendere
il
ciclo
delle
tre
fasi.
Non
è un
caso
che
solo
dopo
la
rivoluzione
scientifica
avviata
da
Galileo
si
associ
il
termine
“rivoluzione”
ai
grandi
fenomeni
politici
dei
secoli
seguenti.
Conclusioni
Un
ragazzo
inizia
a
studiare
perché
condizionato
dalla
famiglia,
dalla
società
o,
in
assenza
di
altro,
dalla
legge.
Quel
ragazzo
ha
la
possibilità
di
approfondire
sé
stesso
con
lo
studio
e,
se
trova
dei
professori
che
sappiano
trasmettere
la
passione,
può
decidere
di
continuare
a
studiare
anche
dopo
il
termine
del
percorso
formativo
obbligato.
Quel
ragazzo,
adolescente,
può
appassionarsi
alla
filosofia
e
costruire
su
di
essa
un
sapere
che
non
si
limiti
all’ambito
lavorativo
scelto,
ad
esempio
il
diritto.
Una
volta
che
quel
ragazzo
avrà
costituito
il
proprio
sapere
dovrà
avere
la
forza
di
imitare
Galileo
e
gli
altri
che
hanno
saputo
mettere
in
discussione
tutto
per
dare
nuova
vita
allo
studio
ed
alla
filosofia
proprio
nel
momento
in
cui
non
se
ne
sentiva
più
bisogno,
come
nei
nostri
giorni,
in
cui
i
dati
sono
sempre
più
importanti
del
problema.
Al
termine
di
questo
percorso
rivoluzionario,
se
vorrà
davvero
essere
un
uomo
libero
dovrà
ricominciare
il
ciclo,
riuscire
ad
appassionarsi
con
la
forza
di
un
ventenne
al
mondo
che
nel
frattempo
sarà
mutato
e
ricominciare
a
studiarlo
tenendo
a
mente
ciò
che
ha
saputo
imparare.
Quante
volte
sarà
in
grado
di
ripetere
il
ciclo
dipenderà
solo
dalla
sua
determinazione
a
scegliere.
Quello
studente
imparerà
a
scegliere
liberamente
di
sapere
ed a
sapere
scegliere
liberamente
solo
studiando,
approfondendo,
costruendo
e
distruggendo
in
un
moto
perpetuo
che
lo
accompagnerà
e
darà
senso
a
tutti
i
dati
che
formeranno
l’interezza
della
sua
vita.
Riferimenti
bibliografici:
ALFIERI
V.,
Lettera
responsiva
a
Ranieri
de’
Casalbigi,
Siena
1783.
DEI
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Atti
del
processo
a
Giordano
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Sellerio
Editore,
2000.
GALILEO
GALILEI,
Discorsi
e
dimostrazioni
matematiche
intorno
a
due
nuove
scienze,
Cierre
Grafica
2011.
PLATONE,
Simposio,
BUR,
Roma
2003.
PLATONE,
Timeo,
BUR,
Roma
2003.
SAN
TOMMASO
D’AQUINO,
Summa
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