N. 19 - Luglio 2009
(L)
Tourist Trophy
Dove osano i centauri
di Simone Valtieri
Ci
sono
competizioni
sportive,
non
soltanto
nel
panorama
motoristico,
in
cui
la
parola
'limite'
è
usata
nella
sua
corretta
accezione.
Se
si
va
oltre,
difficilmente
si
ha
il
privilegio
di
poter
tornare
indietro.
Per
definirle
non
è
forse
neanche
giusto
usare
il
termine
“sport”,
che
sottintende
comportamenti
più
inclini
ad
escludere
il
pericolo
che
ad
esaltarlo.
Eppure,
nella
continua
ricerca
delle
sensazioni
più
estreme,
si
scalano
montagne,
si
attraversano
oceani,
si
cavalcano
onde,
e,
con
un
mezzo
meccanico
tra
le
mani,
si
sfreccia
a
trecento
chilometri
orari
in
un
centro
cittadino.
Il
Tourist
Trophy
è
questo:
sprezzo
del
pericolo
allo
stato
puro
a
discapito,
talvolta,
del
valore
della
vita
stessa.
Prima
di
esaltare
i
lati
più
affascinanti
e
leggendari
di
questa
competizione,
è
bene
fissare
nella
mente
un
numero
che
serva
per
tenere
i
piedi
ben
piantati
a
terra:
226.
Tante,
tra
spettatori
e
piloti,
sono
state
le
vittime
che
la
corsa
motociclistica
per
antonomasia,
si è
lasciata
alle
spalle
in
poco
più
di
un
secolo
di
storia.
Nato
nel
1907
sull’Isola
di
Man,
dipendenza
britannica
a
metà
strada
tra
Irlanda
e
Regno
Unito,
il
Tourist
Trophy
è da
tutti
definito
leggendario
per
il
carattere
pionieristico
che
ancora
oggi
conserva.
Si
corre
sullo
stesso
identico
circuito
stradale
di
cento
anni
fa,
tra
le
case,
i
ponti,
i
marciapiedi,
i
lampioni
e le
ringhiere,
in
precarie
condizioni
di
sicurezza
e in
altrettanto
imprevedibili
condizioni
meteorologiche.
L’unico
cambiamento
di
rilievo
avvenuto
in
un
secolo
di
vita
sta
nel
manto
stradale
asfaltato,
rispetto
allo
sterrato
delle
prime
competizioni.
La
scelta
del
luogo
fu
obbligata
da
un
bando
del
governo
inglese
che
proibiva
gare
motociclistiche
nel
Regno.
L’idea
di
organizzare
il
trofeo
turistico
sull’isola,
sulla
scia
di
quello
automobilistico
che
già
si
disputava
da
un
paio
d’anni,
nacque
da
una
discussione
a
quattro
avvenuta
in
treno.
I
protagonisti
furono
due
fratelli
provenienti
dalla
Matchless
Motorcycle,
Harry
e
Charlie
Collier,
il
presidente
dell’auto-motor
club
Freddie
Straight
e il
marchese
di
Mouzilly
St.Mars.
I
quattro,
di
ritorno
in
Gran
Bretagna
dopo
aver
partecipato
ad
una
competizione
motociclistica
in
Austria,
ragionarono
per
ore
sull’idea
di
una
analoga
manifestazione
da
organizzare
nel
nord
Europa.
La
redazione
della
rivista
The
Motor-Cycle
fu
lieta
di
accogliere
la
proposta
dei
quattro
e di
portarne
avanti
gli
aspetti
organizzativi.
Fu
così
che
il
28
maggio
1907
si
corse,
su
un
circuito
cittadino
di
quindici
miglia,
la
prima
edizione
del
Tourist
Trophy.
Le
classi
in
programma
erano
due:
quella
riservata
a
motocicli
a un
cilindro
e
quella
per
i
bicilindrici.
I
primi
piloti
ad
iscrivere
il
proprio
nome
nell’albo
d’oro
furono
due
inglesi:
lo
stesso
Charlie
Collier
sulla
sua
Matchless
monocilindrica
alla
media
di
38
miglia
all’ora
e
Rem
Fowler,
in
sella
a
una
Norton
Twin,
con
una
media
leggermente
superiore
di
36,21
miglia
orarie.
I
due
furono
premiati
con
un
magnifico
trofeo
messo
in
palio
dal
marchese
di
Mouzilly
St.Mars
per
l’occasione.
Si
tratta
di
motociclismo
di
altri
tempi,
corso
su
motociclette
antidiluviane
più
simili
ad
uno
scooter
anni
’60
che
ai
bolidi
di
oggi
e
per
questo
motivo
correre
in
quella
maniera,
saltando
sui
dossi
e
sfiorando
i
muretti,
all’epoca
non
risultava
neanche
troppo
pericoloso.
I
circuiti
che
l’isola
offriva
erano
più
di
uno,
tra
cui
il
“Clypse
Course”,
utilizzato
tra
il
1954
e il
1959
per
le
classi
Junior,
125
e
250,
ma
quello
più
estremo,
quello
della
leggenda,
è lo
“Snaefell
Mountain
Corse”,
il
cosiddetto
circuito
della
montagna,
utilizzato
in
gara
per
la
prima
volta
nel
1911.
Rimasto
praticamente
invariato
fino
ai
giorni
nostri,
si
divide
in
una
serie
di
tratti
storici
riconoscibili
e in
alcuni
casi
molto
temuti
dai
piloti.
Una
sessantina
di
curve
in
tutto
il
circuito,
sulle
oltre
duecento
totali,
sono
dedicate
ai
piloti
che
vi
hanno
compiuto
le
maggiori
imprese
o
che,
in
incidenti
di
gara,
vi
hanno
lasciato
la
vita.
L’anello
stradale
misura
37,73
miglia,
ossia
60
chilometri
e
720
metri
e
viene
ripetuto
per
sei
volte
nelle
classi
principali
e
per
tre
o
quattro
in
quelle
minori.
Le
strade
utilizzate
sono
aperte
alla
viabilità
convenzionale
per
tutto
l’anno
e
chiuse
al
traffico
(non
sempre
è
stato
così,
perlomeno
durante
le
prove)
in
occasione
della
gara.
Quando
questo
ancora
non
accadeva,
erano
ancor
più
numerosi
gli
incidenti
mortali
che
coinvolgevano
la
popolazione.
La
“Birkins
Bend”,
ad
esempio,
è
una
curva
intitolata
ad
Archie
Birkins,
pilota
che
morì
nel
1927
scontrandosi
con
un
furgone
che
trasportava
pesce.
Negli
ultimi
decenni,
durante
la
settimana
del
weekend
di
gara
che
in
genere
si
svolge
nel
mese
di
giugno,
per
recare
meno
disagi
possibili
ai
residenti
le
qualifiche
vengono
disputate
in
orari
particolari,
alle
cinque
del
mattino
o a
tarda
sera.
In
oltre
sessanta
chilometri
di
strada,
il
paesaggio
è
mutevole.
Il
tratto
maggiormente
suggestivo
è
senza
dubbio
quello
montano
nei
pressi
di
Brandywell,
dove
si
tocca
la
massima
altitudine,
sullo
Snaefell,
a
quota
422
metri.
Il
giro
parte
da
Douglas,
la
capitale
dell’isola,
sul
lungo
rettilineo
in
discesa
di
Bray
Hill
nel
centro
dell’abitato,
in
cui
i
bolidi
di
oggi
superano
i
300
chilometri
all’ora.
Si
arriva
in
staccata
ad
una
curva
verso
destra
posta
sulla
rotonda
dell’incrocio
di
Quarter
Bridge
e ci
si
avvia
verso
il
tortuoso
tratto
di
Glen
Helen,
dove
la
strada
è in
alcuni
punti
incassata
tra
le
rocce.
L’attraversamento
del
villaggio
di
Kirk
Michael
è
uno
dei
tratti
da
sempre
più
pericolosi:
quattro
curvoni
in
successione
permettono
alle
motociclette
di
superare
in
piega
i
200
chilometri
orari.
A
Ballaugh
Bridge
c’è
uno
dei
punti
più
spettacolari,
dove
le
moto,
seppure
in
un
tratto
lento,
volano
su
un’impressionante
dosso,
ancora
oggi
cinto
della
stessa
ringhiera
metallica
dei
primi
del
Novecento.
Si
passa
poi
nell’abitato
di
Ramsey,
la
seconda
città
dell’isola
per
estensione,
prima
di
inoltrarsi
nel
paesaggio
lunare
di
Verandah,
dove
la
montagna
disegna
scenari
e
strapiombi
tanto
affascinanti
quanto
pericolosi.
Una
volta
scollinato
lo
Snaefell,
il
tracciato
scende
in
picchiata
verso
Douglas,
non
senza
un
ultimo
brivido
sul
Governors
Bridge,
posto
a
pochi
metri
dal
rettilineo
d’arrivo
in
cui
bisogna
decelerare
bruscamente
per
rimanere
in
carreggiata.
Dal
1911
il
Tourist
Trophy
si
divide
in
due
categorie
principali:
la
Senior
TT e
la
Junior
TT,
due
classi
tuttora
esistenti
e
che
sono
tra
le
più
prestigiose,
insieme
alla
classe
Formula
One.
In
poche
decine
di
anni
di
vita,
il
“TT”,
come
viene
universalmente
chiamato,
era
già
diventato
quello
che
sarà
per
tutti
fino
alla
metà
degli
anni
Settanta:
la
gara
motociclistica
più
importante
del
mondo.
Il
corrispettivo
di
una
500
miglia
di
Indianapolis
o
una
24
ore
di
Le
Mans
per
gli
amanti
delle
quattro
ruote,
anche
se
il
paragone
sarebbe
meglio
farlo
con
le
mitiche
corse
su
strada
del
passato
come
la
Mille
Miglia
e la
Targa
Florio.
Come
già
successo
a
queste
due
“cugine”
automobilistiche,
a
scrivere
la
parola
fine
agli
anni
d’oro
del
Tourist
Trophy
è
arrivato,
preventivabile,
un
incidente
mortale
che
ha
scosso
più
di
altri
le
coscienze
dei
piloti
e
della
gente.
è
il
1972.
Da
oltre
vent’anni
la
competizione
isolana
è
una
tappa
valida
per
il
prestigioso
campionato
mondiale
di
motociclismo.
Il
pilota
italiano
Gilberto
Parlotti
è
tra
i
candidati
più
probabili
al
titolo
della
classe
125
e
vuole
approfittare
dell’assenza
sull’isola
del
rivale
spagnolo
Angel
Nieto
per
rafforzare
il
suo
primato
in
classifica.
Il 9
giugno
1972,
sotto
una
pioggia
battente,
Parlotti
perde
il
controllo
della
sua
moto
nel
tratto
di
Verandah
e si
va a
schiantare
in
fondo
ad
un
burrone.
Ci
si
accorgerà
troppo
tardi
dell’incidente
e i
soccorsi
arriveranno
soltanto
mezz’ora
dopo.
Gilberto,
che
era
al
suo
primo
Tourist
Trophy,
sarà
il
novantanovesimo
morto
nella
storia
della
manifestazione
e la
sua
vicenda
scuoterà
profondamente
l’animo
dei
piloti
i
quali,
guidati
dal
campionissimo
Giacomo
Agostini,
decisero
sempre
più
numerosi
di
boicottare
l’evento
negli
anni
a
venire.
Nelle
tre
edizioni
successive
i
migliori
piloti
del
“circus”
tennero
fede
alla
promessa
e
non
si
presenteranno
al
via
dell’appuntamento
isolano,
sancendo
di
fatto
la
sua
esclusione
dal
motomondiale.
A
partire
da
quei
cruciali
anni
Settanta
nascono
due
categorie
di
piloti
di
moto.
Quelli
specializzati
nei
circuiti
su
pista,
dove
le
vie
di
fuga
sono
ampie
e
ovunque
e
dove
si
può
spingere
al
massimo
la
moto,
consci
che
difficilmente
una
caduta
potrebbe
costare
la
vita,
e
quelli
cosiddetti
“romantici”,
amanti
del
rischio
e
del
pericolo,
che
paradossalmente
possono
sembrare
più
prudenti,
in
quanto
costretti
a
dosare
con
parsimonia
la
manopola
del
gas,
ma
la
cui
incolumità
è
messa
estremamente
più
a
repentaglio.
In
tempi
recenti
sono
pochi
i
campioni
che
sono
riusciti
a
competere
ad
alti
livelli
in
entrambi
i
generi
di
gare.
Tra
loro
spicca
Carl
Fogarty.
“Nelle
piste
normali
devi
sapere
dove
puoi
fare
il
tempo,
al
TT è
bene
non
scordarsi
mai
dove
devi
andare
piano”
dice
“Foggy”,
che,
partendo
dall’isola
di
Man
nel
1992
quando
trionfò
con
una
Yamaha
di
serie
presa
in
prestito
da
un
concessionario,
si
affermerà
sulle
piste
di
mezzo
mondo
vincendo
per
ben
quattro
volte
il
titolo
mondiale
Superbike.
In
quell’occasione
Fogarty
segnerà
un
record
sul
giro
impressionante,
se
si
pensa
che
è
stato
fatto
con
una
moto
stradale,
che
resisterà
per
ben
sette
anni.
Il
nome
che
resta
però
maggiormente
legato
a
quello
del
celebre
Trofeo
Turistico
è un
altro
ed
appartiene
ad
una
dinastia
nordirlandese
di
motociclisti:
i
Dunlop.
Joey
Dunlop
è la
stella
assoluta
della
manifestazione.
The
“King
of
the
Mountain”,
dopo
aver
vinto
ben
26
volte
la
classica
di
Man
ed
aver
esorcizzato
per
anni
i
rischi
dello
Snaefell,
ha
trovato
la
morte
nel
2000
durante
una
gara
minore
in
Estonia.
Suo
fratello
Rob
ha
recentemente
seguito
le
sue
tragiche
orme,
scomparendo
durante
la
North
West
200
del
2008,
un’altra
prestigiosa
classica
del
motociclismo
stradale
britannico.
Robert
Dunlop,
in
quell’occasione
iscritto
alla
gara
insieme
ai
figli
Michael
e
William,
rimase
ucciso
in
un
tragico
incidente
durante
le
prove
di
qualifica
del
venerdì.
Due
giorni
dopo
Michael,
commuovendo
l’intera
Gran
Bretagna,
non
rinunciò
a
correre:
vinse
nettamente
la
prova
e,
tra
le
lacrime,
dedicò
il
successo
al
padre.
La
classica
dell’isola
di
Man
è da
sempre
territorio
di
caccia
dei
piloti
britannici
e
anche
oggi
le
liste
di
partenza
sono
quasi
esclusivamente
riempite
di
nomi
anglosassoni.
Tuttavia
i
più
vicini
ad
insidiarne
il
dominio
sono
stati
gli
italiani.
Achille
Varzi
fu
il
primo
connazionale
a
partecipare
e
portare
a
termine
un
TT
nel
1924.
Omobono
Tenni,
con
la
sua
Motoguzzi
250,
il
primo
a
vincerlo
nel
1937.
Seguirono
le
affermazioni
di
Carlo
Ubbiali
(ben
cinque),
Tarquinio
Provini
(quattro)
e
del
fenomenale
Giacomo
Agostini
(dieci).
Tra
i
pochi
che
si
districarono
meglio
di
lui
tra
le
curve
dello
Snaefell,
il
già
nominato
Joey
Dunlop
e
Mike
“the
bike”
Hailwood,
quest’ultimo
autore
di
14
affermazioni.
L’ultima
marca
italiana
a
vincere
sull’isola
fu
proprio
la
Ducati
900NCR
di
Hailwood
nel
1978,
venduta
all’asta
nel
1999
da
Sotheby’s.
Dopo
Agostini
altri
piloti
del
Belpaese
hanno
tentato
senza
fortuna.
Di
certo,
se
manca
la
giusta
esperienza,
il
rischio
è
tanto:
Davide
Tardozzi
finì
la
sua
corsa
nel
giardino
di
una
villa,
mentre
Baldassarre
Monti,
ottimo
pilota
Superbike,
porta
ancora
oggi
i
segni
della
sua
caduta
nel
1989.
Sia
che
si
parli
dei
campioni
di
oggi
che
dei
pionieri
di
una
volta,
il
fascino
della
competizione
resta
sempre
lo
stesso.
A
testimonianza
di
come
il
tempo,
sull’isola
di
Man,
sembri
essersi
fermato,
c’è
un
aneddoto
riferito
da
Giacomo
Agostini.
Racconta
il
pluricampione
italiano
che,
ai
tempi
in
cui
collezionava
vittorie
nel
TT,
sul
veloce
rettilineo
in
discesa
di
Bray
Hill
ci
fosse
ogni
volta
una
ragazza
affacciata
a un
balcone
che
lo
salutava
al
suo
passaggio.
Nel
2001,
quando
“Ago”
si
ripresentò
sull’isola
per
una
rievocazione
storica,
la
stessa
ragazza
era
ancora
lì
nello
stesso
punto
a
salutare
il
transito
di
ogni
pilota.
In
moto,
il
tempo
sembrava
essersi
preso
una
pausa
di
un
secolo.
Nei
circuiti
di
tutto
il
mondo
la
sicurezza
è
arrivata
a
raggiungere
standard
elevatissimi;
da
Douglas
a
Douglas,
però,
si
corre
ancora
come
cento
anni
fa,
senza
possibilità
di
proteggere
i
centauri
dalle
mille
insidie
presenti
sul
tracciato.
“Vengono
messi
dei
sacchi
di
sabbia
davanti
ai
muri
e
sono
dipinti
di
bianco
tutti
gli
alberi,
le
rocce
e i
pali
del
circuito
per
renderli
visibili
–
dicono
i
responsabili
della
sicurezza
– e
lì
sanno
di
non
poter
esagerare”.
I
piloti
sono
comunque
uomini,
consapevoli
dei
rischi
a
cui
vanno
incontro
correndo
una
gara
del
genere.
Inoltre,
come
in
tutti
gli
eventi
che
muovono
un
business,
“the
show
must
go
on”,
nonostante
le
226
vittime.
Basti
pensare
che
nel
2001,
quando,
in
piena
epidemia
della
mucca
pazza,
è
stata
effettuata
per
precauzione
l’unica
sosta
della
secolare
manifestazione,
si è
determinato
un
disastro
per
l’economia
isolana,
basata
in
buona
parte
sul
movimento
turistico
di
questa
settimana
di
gare
durante
la
quale
arrivano
a
Man
oltre
centomila
appassionati
da
tutto
il
nord
Europa.
In
aggiunta,
anche
se i
titoli
in
palio
portano
esclusivamente
gloria
e
non
valgono
per
alcun
tipo
di
campionato,
vincere
sul
“Mountain
Course”
nella
classe
“Formule
One”
o
“Senior
TT”,
rappresenta
una
vetrina
importante
e un
bel
traino
commerciale
per
qualsiasi
costruttore,
visto
che
il
mercato
britannico,
quello
maggiormente
interessato
all’evento,
è il
secondo
del
continente
per
numero
di
vendite.
Negli
albi
d’oro
della
manifestazione,
oltre
ai
già
citati
Agostini,
Hailwood
e
Dunlop,
spiccano
nomi
di
grandi
campioni
internazionali
come
Steve
Hislop,
Phil
Read,
Jim
Redman,
John
Surtees,
Gary
Hocking
e
David
Jeffries,
ma
anche
un’infinità
di
specialisti
come
Dave
Molyneaux,
Phillip
McCallen,
Rob
Fisher
e
Stanley
Woods,
solo
per
citare
i
più
vittoriosi.
Il
re
dei
giorni
nostri
è
l’inglese
John
McGuinness,
che
con
quindici
vittorie
fino
ad
oggi
è il
secondo
in
classifica
dietro
Dunlop
e
l’unico
a
completare
un
giro
dello
“Snaefell
Mountain
Course”
in 7
minuti,
12
secondi
e 30
centesimi,
alla
media
di
oltre
211
km
orari,
che
per
un
circuito
con
più
di
duecento
curve
e
con
quelle
caratteristiche
non
è
cosa
da
poco.
A
causa
della
lunghezza
del
tracciato,
soltanto
da
pochi
anni
la
televisione
britannica
copre
la
diretta
dell’evento,
grazie
all’ausilio
di
microcamere
montate
sulle
motociclette
dei
concorrenti.
In
passato
le
informazioni
arrivavano
prevalentemente
via
radio
da
tre
speaker
piazzati
in
altrettanti
punti
strategici
del
“Mountain
Course”.
Esistono
molte
altre
corse
con
le
stesse
caratteristiche
del
Tourist
Trophy,
come
il
Gran
premio
di
Macao
in
Asia,
oppure,
per
rimanere
nel
mondo
anglosassone,
il
GP
Ulster,
la
Cookstown
100
e il
North
West
200
nell’Irlanda
del
Nord,
la
Scarborough
Spring
National
in
Inghilterra
fino
anche
alla
Southern
100
Race
sull’isola
di
Man,
un
gustoso
e
tradizionale
antipasto
del
TT
che
si
svolge
sul
circuito
di
Billown
sulla
distanza
di
6,84
km,
ma
nessuna
di
queste
riesce
ad
avvicinare
né
la
lunghezza,
né
la
tradizione,
né
il
fascino
della
prova
isolana.
Nei
pub
di
Douglas,
la
sera
della
gara,
è
facile
vedere
piloti
protagonisti
mischiati
ai
tanti
appassionati
giunti
da
tutta
Europa.
Tra
questi
può
capitare
di
incontrare
anche
un
campione
del
mondo
Superbike
come
Neil
Hodgson,
inglese,
residente
sull’isola
di
Man,
che
confessa
sinceramente
di
risiedere
lì
soprattutto
per
il
regime
fiscale
agevolato.
“Non
ho
mai
corso
un
TT e
non
credo
che
lo
farò
mai
–
dice
l’inglese
di
Burnley
– In
pista
è
normale
spingere
al
massimo,
ci
sono
spazi
di
fuga
dappertutto
e
puoi
commettere
un
errore
senza
che
accada
niente,
sull’isola
di
Man
occorre
guidare
in
modo
completamente
diverso,
mai
troppo
vicino
al
limite,
perché
ogni
sbaglio
si
paga
carissimo.
Ecco
perché
ci
sono
così
pochi
specialisti
del
TT
che
vanno
forte
pure
su
un
circuito”.
Ed
ecco
perché
ci
sono
così
pochi
specialisti
dei
circuiti
che
potrebbero
vincere
un
Tourist
Trophy.