N. 92 - Agosto 2015
(CXXIII)
Totila, re dei Goti
Istruttoria su una secolare demonizzazione - PARTE II
di Anna Bozzetto
Ispirandosi
ai
Dialoghi,
le
agiografie
medievali
(o
meglio,
le
cosiddette
“passioni
epiche”)
presentano
Totila
come
un
demonio,
colpevole
di
atroci
martiri.
Si
tratta
di
opere
composte
svariati
secoli
dopo
la
morte
del
re:
alcune,
come
la
passio
di
San
Proculo,
addirittura
nel
XIV
secolo.
La
passio
di
San
Lauriano,
scritta
nel
X
secolo,
è
emblematica.
Lauriano
contesta
le
dottrine
di
Ario
e
Totila
manda
dei
sicari
ad
assassinarlo.
Questi
lo
raggiungono
e lo
decapitano.
Allora
Lauriano
raccoglie
la
propria
testa
recisa
e li
insegue,
pregandoli
di
portarla
a
Siviglia
dal
loro
re.
Totila
non
mise
mai
piede
in
Spagna
né
mai
vi
regnò:
questo
dimostra
che
il
Totila
delle
agiografie
medievali
non
è un
personaggio
storico,
è il
simbolo
dell’Eresia
e
quindi
dello
stesso
Diavolo.
Spesso
è
persino
confuso
con
Attila.
Anche
Giovanni
Villani,
nella
sua
Cronica
(scritta
a
metà
del
XIV
secolo),
confonde
Attila
con
Totila
e
attribuisce
al
malcapitato
Totila
varie
atrocità
compiute
dal
re
unno:
un
fratricidio
(compiuto
da
Attila
ai
danni
del
fratello
Bleda)
e
grandi
martirii
di
Cristiani.
Lo
chiama
più
volte
flagellum
dei
e
scrive
che
si
allontanò
da
Roma
dopo
l'incontro
con
Leone
Magno.
Villani
riporta
anche
il
racconto
della
distruzione
di
Firenze
da
parte
di
Totila:
il
re,
maestro
d’inganno,
convince
gli
abitanti
a
farsi
aprire
le
porte
con
false
promesse
e
poi
rade
al
suolo
la
città.
Ma
tale
racconto
non
è
altro
che
una
leggenda
di
un
precedente
attacco
alla
città
che
Dante
Alighieri
addebita
ad
Attila.
Infatti,
la
battaglia
del
Mugello
che
vide
la
prima
vittoria
di
Totila
sui
Bizantini
(anno
542),
non
comportò
la
conquista
di
Firenze.
La
città
rimase
fino
al
547
sotto
dominio
bizantino.
Solo
nel
552
comparve
tra
le
città
cadute
in
mano
ai
Goti
che
Narsete
voleva
riconquistare.
Probabilmente
la
presa
di
Firenze
da
parte
dell'esercito
goto
avvenne
tra
il
548
e il
552,
ma è
da
escludere
che
la
città
sia
stata
rasa
al
suolo.
Conclusioni
Nel
trarre
le
conclusioni,
Marc
Bloch
è
ancora
una
volta
molto
utile:
«Amore
del
guadagno
o
della
gloria,
odi
o
amicizie,
o
semplicemente
il
desiderio
di
far
parlare
di
sé:
è
facile
immaginare
le
diverse
passioni
che
hanno
spinto
gli
uomini
a
inventare
storie
mendaci
o a
fabbricare
ogni
specie
di
documenti».
Nel
caso
di
Totila
sono
intuibili
i
sentimenti
che
stanno
alla
radice
della
sua
demonizzazione.
Di
sicuro,
l’odio
del
patriziato
romano.
Totila
impoverì
l’aristocrazia
senatoria,
alla
quale
apparteneva
anche
la
famiglia
di
Gregorio
Magno,
privandola
delle
sue
prerogative
e
delle
rendite
dei
propri
latifondi.
Infatti,
in
base
alla
riforma
agraria
di
Totila,
i
coloni
che
versavano
i
tributi
ai
Goti
invece
di
pagare
il
canone
al
loro
signore,
diventavano
proprietari
delle
terre
su
cui
lavoravano.
Uno
dei
motivi
principali
della
fama
di
nefandezza
di
Totila
fu
quindi
il
suo
progetto
di
sovversione
dell’ordine
sociale
precostituito:
coloni
che
diventavano
proprietari
delle
terre
e
schiavi
elevati
alla
dignità
di
guerrieri
liberi
combattendo
tra
le
fila
dell’esercito
goto,
erano
davvero
troppo
per
la
nobiltà
senatoria
filobizantina.
Non
bisogna
però
dare
una
valenza
antistorica
alle
riforme
di
Totila.
Furono
infatti
dettate
dalla
volontà
di
creare
un
nuovo
ceto
abbiente
fedele
alla
causa
dei
Goti
piuttosto
che
dalla
volontà
di
smantellare
un
“ancien
regime”
alla
luce
di
principi
di
uguaglianza
e
libertà.
All’odio
del
ceto
senatorio
bisogna
aggiungere
l’ostilità
di
Gregorio
Magno.
La
“perfidia”
di
Totila
è
legata
essenzialmente
all'essere
un
eretico
ariano.
Come
evidenziato
dal
De
Lubac,
anche
il
padre
di
Sant’Ermenegildo
era
definito
perfidus
perché
credente
nella
dottrina
di
Ario.
E
nelle
agiografie
medievali,
Totila
abbandona
la
sua
identità
storica
per
diventare
un
simbolo
del
Male,
un
diabolico
Eretico
che
tortura
e
martirizza
buoni
cristiani.
Nei
tardivi
racconti
delle
“passiones”
di
martiri,
la
sua
figura
diventa
incredibilmente
simile,
quasi
sovrapponibile,
a
quella
di
Giuliano
l’Apostata.
Entrambi,
uno
l'Eretico,
l’altro
il
Pagano,
sono
presentati
come
figure
demoniache.
E ad
entrambi
vengono
attribuiti
martiri
accompagnati
da
supplizi
d’inaudita
crudeltà.
La
descrizione
di
Totila
fatta
nell’Auctarium,
e
conseguentemente
da
Iordanes
che
se
ne
serve
come
fonte,
ricalca
i
risentimenti
di
Giustiniano
verso
il
suo
nemico.
Per
lui
Totila,
che
non
poteva
vantare
alcuna
parentela
con
Teodorico,
non
era
altro
che
un
usurpatore
delle
sue
proprietà,
un
barbaro
non
solo
privo
di
ogni
titolo
per
regnare
in
Italia,
ma
anche
indegno
di
negoziare
con
lui.
Accogliendo
come
verisimile
la
testimonianza
di
Procopio,
c'è
da
chiedersi
quali
furono
le
motivazioni
della
singolare
umanità
di
Totila.
Assai
probabilmente,
Totila
coltivò
il
sogno
di
restaurare
il
prospero
regno
di
Teodorico
fondato
sulla
pacifica
coesistenza
dei
Goti
e
della
popolazione
di
origine
romana.
Vedeva
in
Teodorico
il
suo
modello
di
regnante.
Infatti,
nella
missiva
di
pace
inviata
a
Giustiniano
scrisse:
«Voglio
chiederti
di
accettare
per
te
stesso
e
concedere
anche
a
noi
i
vantaggi
di
un
pacifico
accordo.
E a
questo
proposito
ricordo
il
bellissimo
esempio
di
Anastasio
e
Teodorico
che
hanno
regnato
non
molto
tempo
fa e
hanno
fatto
prosperare
i
loro
regni
nella
pace
e
nel
benessere».
Che
Totila
cercasse
d’imitare
Teodorico
si
vede
bene
quando,
nel
corso
della
prima
conquista
di
Roma,
andò
a
pregare
nella
basilica
di
San
Pietro:
lo
stesso
gesto
che
fece
Teodorico
dopo
il
suo
ingresso
trionfale
a
Roma
nell’anno
500.
Proprio
perché
voleva
restaurare
quella
che
per
lui
fu
l’epoca
d’oro
di
Teodorico,
Totila
non
si
abbandonò
a
inutili
crudeltà
verso
i
nemici
e la
popolazione:
voleva
che
sia
i
Goti
che
i
sudditi
di
origine
romana
lo
considerassero
il
loro
sovrano
ideale,
erede
morale
del
grande
Teodorico.
Invece,
ci
rimarranno
per
sempre
sconosciuti
i
motivi
della
sua
particolare
attenzione
al
genere
femminile
al
quale
risparmiò
più
volte
le
violenze
delle
sue
milizie.
In
un’epoca
in
cui
le
donne
di
un
popolo
nemico
non
erano
altro
che
prede
di
guerra,
questo
rispetto
appare
singolare.
Forse
affonda
le
sue
radici
nelle
vicende
personali
del
sovrano,
vicende
che
si
sono
perse
nel
limbo
della
Storia,
così
come
i
nomi
dell’uomo
e
della
donna
che
l’hanno
generato.
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