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N. 69 - Settembre 2013 (C)

le torri del Salento
Il nemico è oltre il mare

di Laura Ballerini

 

Viaggiando lungo la costa salentina è impossibile non notare le imponenti torri che si affacciano sul mare, che danno spesso il nome al paese in cui si trovano (Torre Vado, Torre San Giovanni, Torre Pali, etc.). Qual è la storia di queste torri? E qual’era il loro scopo?

 

Come ogni fortificazione le torri sono nate allo scopo di difendersi: i nemici erano i terribili Saraceni. Questi ultimi altro non erano che i musulmani provenienti dal nord Africa, che razziarono e saccheggiarono tutto il sud Italia in epoca medievale.

 

Questi scontri risalgono al IX secolo, quando i Bizantini contrastarono le incursioni dei Saraceni, che riuscirono tuttavia a insediarsi a macchia d’olio in tutto il territorio. Nel 927 riuscirono poi a distruggere numerose città Bizantine, tra cui Otranto, che venne occupata e saccheggiata, per essere ricostruita  nel suo attuale splendore quarant’anni dopo. Nel 977 assediarono anche la città di Oria.

 

Successivamente, mentre il comando della penisola salentina  passava dai Bizantini ai Normanni, le incursioni saracene continuavano a terrorizzare l’intero sud Italia. Vennero colpite le città del Gargano sotto l’urlo di guerra “ilaha illa Allah" (Dio è Dio).

La popolazione esasperata richiese allora l’aiuto del nuovo re di quelle terre, l’imperatore svevo Ottone I, che combatté le roccaforti saracene e ricoprì la costa di castelli, torri e fortificazioni. Ecco quindi la prima apparizione delle famose torri, la cui costruzione continuò anche sotto la dominazione angioina (immediatamente successiva a quella sveva), per avvistare i nemici provenienti dal mare.

 

La situazione sembrava essersi stabilizzata e i Saraceni cacciati, ma un nuovo pericolo era pronto a insidiare le terre salentine. Nel 1480, la città di Otranto scrisse una delle pagine più nere della sua storia. Un esercito ottomano diretto a Brindisi venne dirottato da una tempesta verso la città, a quel tempo di dominio aragonese. Le legioni straniere approdarono in una spiaggia che proprio per questo episodio porta il nome di Baia dei turchi. La città venne messa a ferro e fuoco e le imponenti mura non riuscirono impedire l’assedio degli invasori sotto il comando di Gedik Ahmet Pascià. Da un piccola breccia i turchi riuscirono a penetrare nella città: gli uomini vennero uccisi, le donne violentate, i bambini rapiti e portati in Turchia come schiavi. Il 14 agosto di quell’anno Ahmet ordinò a 800 otrantini di convertirsi alla religione islamica: al loro rifiuto diede ordine di decapitarli davanti ai loro parenti sul colle della Minerva. In quello stesso luogo è sorta poi la chiesa di Santa Maria dei martiri, e le loro reliquie sono oggi conservate nell’abside destro (appunto dei martiri) della Cattedrale di Otranto.

 

Il massacro di Otranto colpì profondamente il mondo cristiano, scosso dal terrore di un invasione turca. Così, l’allora Papa Sisto IV si mobilitò al fine di liberare la città formando un esercito, nato dall’alleanza con Genova, Firenze, Milano e Ferrara. Circa due anni dopo l’eccidio dei martiri, la città tornava nelle mani degli aragonesi.

 

Questo triste episodio non fu l’ultimo: nel corso del XVI secolo, infatti, furono numerosi gli attacchi di turchi, corsari, e popoli d’oltre mare. Per questo motivo era necessario rivedere e riformare l’opera iniziata da Ottone I secoli prima: le torri di avvistamento.

 

Ovunque vi fosse la possibilità bisognava creare una struttura dove si potesse avvistare il nemico e prepararsi a combatterlo. Dopo l’occupazione turca le genti salentine rimasero sempre sull’allerta, la tensione era altissima giorno e notte: non era una guerra come tutte le alte, in ballo c’era la difesa della cristianità contro gli infedeli. Gli spagnoli aragonesi intensificarono le strutture di difesa e gli eserciti navali e terreni, rendendo il Salento l’estremo avamposto contro gli invasori.

 

In questo periodo vennero costruite le torri così come si possono vedere oggi. La loro funzione era quella di avvistamento, per questo la loro struttura non è molto grande, ma si compone per lo più di due piani: al piano terra veniva di solito ubicata una cisterna per l’acqua piovana, mentre al piano di sopra, accessibile tramite una scala, vi era la zona abitabile per le vedette, e sulla cima le immancabili archibugiere e le caditoie. La pianta è quasi sempre quadrata o circolare e la struttura in muratura, con dimensioni piccole, eccezion fatta per alcune fortificazioni adibite ad area di comando a nord di Gallipoli.

 

Spesso però, per risparmiare qualcosa da questa ingente impresa, veniva utilizzata acqua marina e non dolce per impastare la malta, favorendo così l’erosione della roccia e il crollo della torre: uno degli esempi più noti e lampanti è Torre Mozza, marina di Ugento, più volte franata.

 

A presiedere queste torri erano preposti un caporale e un cavallaro, armati di archibugi, cannoni a palle e alabardi. Quando avvistavano una nave pirata o nemica, avvisavano subito la popolazione e le altre torri tramite segnali visivi, come il fumo di giorno e il fuoco di notte, oppure sonori come il corno o le campane.

 

Durante la costruzione di queste difese i turchi continuarono ad attaccare senza sosta, perseguitando la penisola salentina: nel 1535 Castro venne occupata e saccheggiata, e di nuovo nel 1575; le coste vennero razziate ancora nel 1554 e 1562, e anche nel 1624 a Leuca e nel 1673 a Torchiarolo; continuarono anche nel 1714 nel territorio di Acaya e nel 1717 in quello di Vanze.

 

In uno degli attacchi alla basilica di Santa Maria di Leuca (Finibus Terreae) si racconta che le fiamme colpirono anche il quadro della Madonna con bambino realizzato da Giacomo Palma, ma quando stavano per bruciare i due volti, le fiamme miracolosamente si spensero, e oggi possiamo ancora ammirare il quadro.

 

Oggi, nei 250 km di costa salentina, ci sono più di ottanta torri disseminate per lo splendido paesaggio (alcune in buone condizioni, altre irriconoscibili), a testimoniare la lunga lotta per la difesa della cristianità e della sicurezza di queste terre. 



 

 

 

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