N. 123 - Marzo 2018
(CLIV)
A PROPOSITO DI Torino
tra splendori sabaudi e moderne offerte culturali
di Monica Vargiu
Una
città
dall’indole
riservata
e
misteriosa
per
tradizione,
raffinata,
elitaria
per
scelta.
Sono
queste
le
"coordinate"
che
tratteggiano
l’istantanea
del
capoluogo
piemontese,
prima
sede
del
Regno
d’Italia
dal
1861
al
1864,
e
oggi
città
metropolitana
di
prima
grandezza
su
scala
internazionale.
Un
centro
storico
che
si
sviluppa
attraverso
un
reticolo
ordinato
di
strade
che
si
intersecano,
puntellato
di
rinomati
palazzi
liberty
e
ricco
di
simbologie
magiche
a
tratti
profonde,
sottese
e
inquietanti,
come
le
definì
Giorgio
De
Chirico,
legate
soprattutto
all’architettura,
ma
anche
una
struttura
centrifuga
che
culmina
nella
sua
cintura
industriale
dove
l’altra
anima
di
Torino,
quella
a
vocazione
produttiva
e
moderna,
si
sviluppa
e si
arricchisce
costantemente
di
molte
eccellenze
che
spaziano
dal
settore
automobilistico
e
meccanico,
al
settore
farmaceutico
e a
quello
gastronomico,
dolciario
in
primis.
Valenze
classiche
e
nel
contempo
modernissime
si
fondono
su
uno
spartito
di
prorompente
vitalità,
costituendo
un
unicum,
un
tessuto
culturale
e
sociale
variegato
e
mai
scontato,
dove
realtà
etniche
differenti
si
incontrano
e
convivono
in
un
perenne
scambio
osmotico
a
volte
non
sempre
agevole.
Nel
2017,
il
celebre
e
autorevole
New
York
Times,
da
sempre
piuttosto
critico
in
relazione
alle
questioni
italiche,
ha
consacrato
Torino
come
sola
città
del
nostro
paese
inserita
nella
lista
dei
luoghi
da
visitare
assolutamente
e,
le
previsioni
del
comparto
turistico,
hanno
stimato
la
crescita
di
quest’ultimo
con
percentuali
su
base
stagionale
che
sfiorano
il
300%,
in
relazione
ai
trend
degli
anni
precedenti.
Una
Renaissance,
di
tutto
rispetto
dunque,
sempre
in
continuo
divenire,
che
consolida
e
accresce
il
suo
primato,
frutto
di
un
lavoro
capillare
su
più
fronti,
e
che
consacra
Torino,
come
uno
dei
capoluoghi
di
regione
più
dinamici
dal
punto
di
vista
dell’offerta
turistica
e
delle
iniziative
a
più
livelli.
Sarà
la
presenza
del
Museo
Egizio
(secondo
per
vastità
e
prestigio
solo
a
quello
del
Cairo),
sarà
per
il
polo
espositivo
dedicato
al
cinema,
sarà
per
la
scansione
elegante
e
austera
della
sua
scacchiera
urbana,
o
per
la
naturale
vocazione
aristocratica,
ma,
una
cosa
è
certa,
in
meno
di
un
decennio
la
città
è
divenuta
un
polo
trainante
che
la
pone
come
alternativa
di
tutto
rispetto
al
confronto
di
altre
realtà,
storicamente
più
blasonate
per
tradizione
e
patrimonio
artistico,
ma
che,
negli
ultimi
tempi
non
hanno
saputo
interpretare
i
nuovi
stimoli,
ottimizzare
le
risorse
e
sviluppare
una
politica
dell’accoglienza
in
linea
con
le
mutate
esigenze
del
mercato
turistico.
Una
delle
eccellenze
più
interessanti
e
originali
dell’offerta
museale
sabauda
è
costituita
dalla
G.A.M.
celebre
galleria
dedicata
all’arte
moderna
e
alle
iniziative
d’avanguardia,
che
racchiude
al
suo
interno
una
delle
più
prestigiose
e
consistenti
collezioni
di
dipinti
e
sculture
a
livello
europeo
unitamente
a
una
curatissima
biblioteca
tematica.
Al
pari
delle
sue
omologhe
romane
(MAXXI
su
tutte),
i
percorsi
espositivi
e la
proposta
culturale
sono
ben
poco
tradizionali
e
mai
statici,
infatti,
le
mostre
che
si
avvicendano
e
gli
interventi
continui
dei
brillanti
curatori,
creano
itinerari
visivi
sempre
nuovi
e
stimolano
nei
visitatori
spunti
di
riflessione
alternativi
e
personalizzati;
chi
osserva
diviene
infatti
spettatore
attivo
e
pars
construens
di
un
evento
e
mai
mero
osservatore,
ha
la
possibilità
di
interloquire
con
l’opera
ed
esercitare
il
proprio
spirito
critico
su
più
piani
differenti,
rilevando
aspetti
insoliti
che
vanno
oltre
la
semplice
didattica
visuale.
Un
modo
nuovo
di
“vedere”
e
comprendere
l’arte,
che
nasce
dalla
sperimentazione
pratica
e
concettuale,
dove
nulla
è
mai
definitivo,
dove
è
costante
l’apporto
conoscitivo
ed
esplicativo
dato
dall’osservazione
dell’opera
attraverso
l’uso
di
molteplici
strumenti,
visivi,
uditivi,
cinestetici.
L’utilizzo
dei
sempre
più
sofisticati
mezzi
multimediali
e il
contributo
delle
scienze
umane
sempre
più
versatili
e al
servizio
dell’osservatore
assemblano,
nell’analisi
speculativa,
più
punti
di
vista,
che
diventano
risultante
e
base
da
cui
partire
per
ulteriori
interpretazioni.
La
mostra,
recentemente
conclusasi,
con
grande
successo
di
pubblico
e di
critica,
dedicata
All’Emozione
del
colore
nell’Arte
rappresenta
la
sintesi
felice
di
questo
nuovo
metodo
di
rappresentazione
e di
conoscenza,
dove
il
paradigma
d’indagine
si
avvale
della
sinergia
di
discipline
che
diventano
complementari
fra
loro:
si è
spaziato
dalla
filosofia
alla
biologia,
dall’antropologia
alle
neuroscienze,
con
il
contributo
attivo
di
esperti
dei
diversi
settori
che
hanno
dato
vita
a
veri
e
propri
laboratori
attivi
di
lettura
delle
opere
esposte.
Il
colore
che
permea
la
visione
con
impatto
seduttivo
e
che
anima
con
cromatismi
personalissimi
e
differenti
opere
di
Klee,
Kandinsky,
Munch,
Matisse,
Wharhol
e
Fontana,
tanto
per
citarne
alcuni
fra
i
centotrenta
autori
esposti,
un
allestimento
imponente
nei
numeri
e
nella
rappresentazione
del
periodo
(dal
Settecento
ad
oggi),
uno
sviluppo
mai
freddamente
accademico
o
imbrigliato
in
schemi
didattici
o
format
precostituiti,
che
ha
spaziato
dal
tema
della
spiritualità,
alla
narrazione,
sino
alla
politica,
per
raccogliere
poi
il
dato
evidente
di
sintesi
della
rappresentazione
artistica,
arricchito
però
dalle
molteplici
sfaccettature
enucleate
dai
contributi
delle
diverse
discipline.
Il
colore
come
poesia
visiva,
ma
percepito
anche
come
suono
melodico
che
muta
per
usi
e
significati
a
seconda
dell’epoca
e
dell’interprete,
ma
anche
il
colore
come
esperienza
tattile,
accarezzato
dalla
vista
e
interpretato
diversamente
in
relazione
al
punto
di
osservazione
e
all’esperienza
personale
del
singolo
osservatore.
Di
contro
alle
standardizzate
palette
del
disegno
industriale
e di
Pantone,
emerge
una
visione
più
calibrata
che
si
lega
al
concetto
di
Goethe,
del
1810,
secondo
cui
il
colore
è un
prodotto
della
mente
umana,
dove
quindi,
si
potrebbe
aggiungere,
anche
inconscio,
sogno
ed
esperienze
soggettive,
concorrono
a
determinare
“la
visione”.
Il
puro
valore
cromatico
diventa
nel
contempo,
punto
d’arrivo
o di
partenza
del
fare
artistico,
che
incoraggia
e
permea
una
meditata
ricerca
espressiva
a
tratti
dissacrante
e
irriverente
rispetto
alla
tradizione,
per
sfociare
nel
gioco
estetico,
simbolo
intrinseco
di
libertà
espressiva.
Oggi
alla
G.A.M.
si
ripercorre,
attraverso
la
multiforme
indagine
conoscitiva,
la
parabola
artistica
ed
esistenziale
di
Renato
Guttuso,
testimone
di
un
periodo
storico
complesso
e
fecondo
di
avvenimenti
che,
attraverso
la
poetica
vibrante,
intensa
e
talvolta
brutale
nelle
accezioni
più
crude
della
sua
pittura,
rappresenta
attraverso
la
propria
personale
esperienza
un’epoca,
ma
anche,
un
sentire
profondamente
collettivo.
Quello
della
Galleria
d’arte
moderna
è
solo
forse
uno
degli
esempi
più
illustri
ed
evidenti
che
ha
cambiato,
con
coraggio
e
perspicacia,
l’aspetto
culturale
di
una
città
classica
a
vocazione
moderna,
trasgressiva
e di
sostanza
nelle
sue
iniziative,
a
tratti
geniale,
che
ha
saputo
e
voluto
anticipare
le
tendenze
pur
rimanendo
fedele
al
proprio
DNA
e
che
continua
a
mutare,
consapevole
che
il
cambiamento
è
inevitabile,
determinante,
necessario,
sempre
e
comunque.