N. 85 - Gennaio 2015
(CXVI)
tOMBAROLI COL TURBANTE
L’ALTRA FACCIA DI ISIS
di Filippo Petrocelli
Guerriglieri spietati, terroristi
incalliti,
pendagli
da
forca.
Ma
anche
tombaroli
irriducibili
e
predoni
ingordi.
Gli uomini di IS, Islamic State
(già
ISIS),
il
nuovo
califfato
sorto
a
cavallo
fra
Iraq
e
Siria
sono
padroni
di
enormi
risorse
perché
si
arricchiscono
in
vari
modi:
contrabbandano
petrolio,
impongono
tasse
“rivoluzionarie”
e
attuano
sequestri.
Ma
una
parte
rilevante
del
loro
indotto
proviene
dal
traffico
di
reperti
archeologici.
Il territorio dove infatti oggi
governa
il
califfato
di
al-Bagdadi
è
quello
dell’antica
Mesopotamia
ed
enorme
è la
quantità
di
siti
archeologici,
antichità
e
scavi
en
plein
air.
La situazione politica dell’Iraq e
il
collasso
di
un’autorità
centrale
– da
sempre
molto
fragile
–
così
come
la
guerra
civile
in
Siria,
hanno
naturalmente
favorito
la
degenerazione
della
situazione
che
ha
reso
rapaci
gli
appetiti
dei
predatori
di
opere
d’arte.
E già perché se c’è un’offerta,
quella
di
reperti
trafugati,
ovviamente
deve
esserci
anche
una
domanda.
Una richiesta proveniente da spregiudicati
collezionisti
privati
–
europei
e
americani
ma
anche
asiatici
e
russi
–
senza
dimenticare
il
ruolo
“occulto”
di
musei,
fondazioni
e
centri
culturali.
Così alcuni militanti di IS si sono
trasformati
in
“tombaroli”
e
hanno
iniziato
a
saccheggiare
quel
che
resta
dell’alba
della
civiltà,
anche
per
la
grande
richiesta
di
manufatti
sui
mercati
mondiali.
L’ambientazione è quella di una
spy
story
fra
terroristi,
funzionari
corrotti,
mediatori
d’arte
spregiudicati
e
mercenari
sanguinari.
Sullo
sfondo
il
deserto
e le
jeep
lanciate
a
tutta
velocità
fra
le
dune,
dove
moderni
predoni
contrabbandano
il
meglio
dell’antica
Mesopotamia.
Diecimila anni di storia che viaggiano
via
Turchia,
passando
per
Istanbul,
dirette
forse
sui
mercati
di
New
York,
Shanghai
e
Mosca
o i
paesi
del
Golfo,
per
poi
sparire
tristemente
in
qualche
casa
di
lusso
in
giro
per
il
mondo.
Militanti jihadisti hanno saccheggiato
millenari
siti
archeologici
come
quello
di
al-Nabuk
in
Siria
–
stime
internazionali
parlano
di
circa
36
milioni
di
dollari
di
antichità
di
guadagno
–
mentre
in
Iraq
si
sono
accaniti
sulla
zona
di
Nivine
e
sul
palazzo
reale
di
Nimrud;
ma
hanno
anche
potuto
trafugare
reperti
appartenenti
all’autorità
statale
di
Iraq
e
Siria,
a
Mosul
e a
Palmyra
(dove
sono
stati
rubati
reperti
di
epoca
romana).
Eppure non è la prima volta: già
nell’aprile
2003
poco
dopo
l’invasione
americana
era
avvenuto
il
saccheggio
del
Museo
Nazionale
Iracheno,
una
perla
per
gli
studiosi
di
mezzo
mondo.
Una folla incontrollabile assaltò
il
palazzo,
ma
confusi
in
quel
caos
bande
di
professionisti
agirono
in
maniera
precisa
e
pianificata
prelevando
i
pezzi
migliori.
Manufatti di inestimabile valore
rubati
con
perizia
militare
hanno
consolidato
l’idea
che
il
furto
sia
stato
su
commissione
da
parte
di
veri
intenditori
del
settore.
Si
ipotizza
che
su
circa
diciottomila
reperti
sottratti
soltanto
un
terzo
siano
stati
recuperati.
A tornare patrimonio dell’umanità
sono
state
opere
uniche
come
il
vaso
di
Warka,
la
dama
di
Uruk
e
statue
Bassekti
ma
all’appello
mancano
ancora
manufatti
di
settemila
anni
fa:
ciotole
in
oro,
placche
votive,
sigilli
cilindrici
e
maschere
funebri,
senza
dimenticare
reperti
proveniente
dal
Cimitero
reale
di
Ur.
E l’onda lunga di quegli eventi
torna
ora
a
galla:
forse
ora
è il
momento
migliore
per
far
uscire
alcuni
dei
pezzi
rubati,
finalmente
senza
troppi
problemi
e
capitalizzando
al
massimo
la
rendita.
IS agisce come una vera e propria
holding
nel
traffico
di
antichità:
non
solo
trafuga
direttamente
i
reperti
per
poi
rivenderli
sul
mercato
ma
applica
anche
una
tassa
speciale
agli
altri
“tombaroli”,
offre
inoltre
infrastrutture
di
supporto
ai
contrabbandieri
(scorte
armate,
servizio
di
trasporto)
e si
occupa
della
“ricettazione”
della
merce
e
della
sua
vendita
all’ingrosso.
L’UNESCO invoca una commissione
internazionale
che
supervisioni
la
situazione,
così
come
auspica
un’attenzione
maggiore
da
parte
dei
soggetti
istituzionali
interessati,
musei
e
reparti
di
polizia
specializzata.
Accademici di mezzo mondo firmano
appelli
in
difesa
antichità
millenarie,
perché
temono
che
un
patrimonio
inestimabile
si
esaurisca.
Nel frattempo in quel che resta
della
Mezzaluna
fertile,
nel
pieno
della
carneficina,
a
bordo
di
qualche
pick-up
dai
vetri
oscurati,
pezzi
della
cultura
sumera,
assira
e
babilonese
vengono
contrabbandati
al
miglior
offerente,
arricchendo
le
tasche
di
spregiudicati
“predoni
dell’arte
perduta”.
In
qualcosa
che
assomiglia,
sempre
di
più,
a
una
moderna
razzia.