N. 81 - Settembre 2014
(CXII)
LA TOMBA DI ANFIPOLI
STORIA DI UNA SCOPERTA
di Massimo Manzo
Un
sepolcro
monumentale,
il
più
grande
mai
trovato
in
Grecia.
È
questa
la
notizia
archeologica
del
momento
apparsa
sui
più
importanti
quotidiani
internazionali,
che
ne
hanno
giustamente
enfatizzato
la
portata
storica.
La stampa nostrana,
forse
condizionata
dall’infelice
periodo
in
cui
lo
scoop
è
stato
annunciato
al
mondo
–
eravamo
in
clima
ferragostano,
notoriamente
fatale
alla
voglia
di
approfondimento–
si è
accontentata
di
evocare
il
nome
di
Alessandro
Magno,
indicandolo
come
probabile
inquilino,
e di
mostrare
qualche
scatto
accompagnato
da
dichiarazioni
del
primo
ministro
greco
Samaras,
per
liquidare
in
poco
tempo
la
faccenda.
Insomma,
informazioni
sommarie
condite
da
una
pesante
dose
di
sensazionalismo.
In realtà la storia
della
tomba
di
Anfipoli
è
ben
diversa,
e
ancora
deve
essere
in
grandissima
parte
raccontata,
o
meglio,
“scavata”.
Scoperta o conferma?
Il primo ad avere
ipotizzato
la
presenza
di
una
grande
tomba
a
tumulo
in
corrispondenza
della
collina
di
Kasta
(a
pochi
chilometri
dalle
rovine
di
Anfipoli,
nel
nord
est
della
Grecia)
fu
l’archeologo
greco
Dimitris
Lazaridis
(1917-1985).
.
Fig.
1
-
Scorcio della
collina
di
Kasta
Poco
noto
al
grande
pubblico,
egli
contribuì
in
maniera
decisiva
alla
scoperta
dei
resti
dell’antica
polis
di
Anfipoli,
oltre
che
alla
creazione
dell’attuale
museo
archeologico.
Nominato nel dopoguerra
responsabile
della
zona
archeologica
della
“Tracia
e
dell’est
Macedonia”,
a
partire
dalla
metà
degli
anni
cinquanta
Lazaridis
iniziò
ad
Anfipoli
delle
lunghe
campagne
di
scavo
nelle
quali
riportò
alla
luce,
tra
le
altre
cose,
un
consistente
numero
di
antiche
sepolture,
che
andavano
dal
neolitico
all’epoca
romana.
Fu proprio lui, nel
1964,
a
compiere
i
primi
saggi
nella
collina
di
Kasta,
dichiarando
che
lì
sotto
c’era
quasi
sicuramente
una
tomba
monumentale
di
eccezionale
importanza,
costruita
secondo
lo
stile
macedone,
cioè
circondata
da
un
muro
e
sormontata
da
un
tumulo
di
terra.
Sulla
base
dei
suoi
studi,
Lazaridis
calcolò
anche
l’ampiezza
del
muro
di
cinta:
485
metri,
una
cifra
solo
di
pochissimo
diversa
da
quella
che
è
oggi
certa
(497).
Nonostante le sue
geniali
intuizioni,
però,
per
mancanza
di
fondi
gli
scavi
a
Kasta
cominciarono
solo
nel
2012.
Tra sfingi, affreschi
e
Cariatidi
La squadra di archeologi
guidata
da
Katerina
Peristeri,
allieva
di
Lazaridis,
ha
lavorato
da
allora
ininterrottamente,
fino
a
quando,
questa
estate,
lo
scavo
è
giunto
nella
sua
fase
finale.
Tra
gli
entusiasmi
della
comunità
scientifica
e
degli
appassionati
di
tutto
il
mondo
è
così
saltata
fuori
una
meraviglia
dietro
l’altra.
Oltre
al
muro
di
cinta,
alto
tre
metri
e
costruito
in
blocchi
di
marmo
di
Taso
perfettamente
conservati,
è
stato
l’ingresso
monumentale
a
lasciare
stupefatti.
Vi
si
giunge
percorrendo
un
corridoio
di
quasi
cinque
metri
e
scendendo
tredici
scalini,
che
conducono
al
portale.
.
Fig.
2
- Il
portale
di
ingresso
alla
tomba
Ai
suoi
fianchi,
due
pilastri
di
marmo
in
stile
ionico
sorreggono
un
architrave
su
cui
poggiano
due
sfingi
(anch’esse
marmoree)
di
straordinaria
fattura,
incorniciate
da
un
arco
in
pietra.
Superato
il
primo
portale,
ci
si
immette
in
un
ulteriore
corridoio,
pavimentato
a
mosaico.
E
alla
fine
di
questa
anticamera,
pochi
giorni
fa
gli
scavi
hanno
svelato
un
altro
portale,
l’ultimo
prima
dell’ingresso
nella
camera
funeraria
vera
e
propria,
in
cui
si
trovavano
i
resti
del
defunto
e il
corredo.
Anche
il
secondo
portale
è
stata
una
sorpresa,
per
le
due
splendide
cariatidi
che
lo
sorreggono.
Secondo
gli
esperti,
non
si
tratta
infatti
di
semplici
imitazioni
di
quelle
dell’Eretteo
di
Atene,
ma
di
capolavori
d’arte
del IV
secolo.
.
Fig.
3
-
Particolare
di
una
delle
cariatidi
Gli elementi decorativi
interni
alla
tomba
hanno
inoltre
mostrato
tracce
di
colori
vivaci
e di
affreschi,
a
conferma
dell’altissima
qualità
artistica
delle
maestranze
che
lavorarono
alla
sua
costruzione.
Unica
nota
allarmante:
un
piccolo
varco
trovato
in
un
muro,
che
farebbe
pensare
a
precedenti
tentativi
di
saccheggio.
Solo
l’avanzamento
dei
lavori,
però,
rivelerà
se
il
corredo
funerario
è
rimasto
integro.
.
Fig.
4
-
Particolare
decorativo
Inquilino illustre
Secondo gli studiosi
del
team
impegnato
negli
scavi,
la
tomba
di
Anfipoli
fu
realizzata
intorno
al
320
a.C.,
cioè
in
un
frangente
storico
di
poco
successivo
alla
morte
di
Alessandro
Magno
(323
a.C.).
In
quel
momento
la
Macedonia
e la
Grecia,
così
come
gli
immensi
territori
conquistati
da
Alessandro,
furono
lo
scenario
dei
numerosi
conflitti
tra
i
suoi
generali
per
il
controllo
del
regno.
Per questo, e soprattutto
per
le
dimensioni
monumentali
della
sepoltura
(la
più
grande
finora
trovata
in
territorio
ellenico)
si
ipotizza
che
il
tumulo
abbia
ospitato
i
resti
di
un
personaggio
molto
importante
legato
alla
cerchia
del
macedone.
In
questi
giorni
sono
stati
tirati
in
ballo
nomi
celebri.
Primo
fra
tutti
quello
di
Roxane,
la
principessa
battriana
moglie
di
Alessandro,
che
passò
nella
zona
di
Anfipoli
gli
ultimi
tempi
della
sua
prigionia
prima
di
essere
uccisa
insieme
al
figlioletto
(e
legittimo
erede
al
trono)
Alessandro
IV;
poi
quello
di
Nearco,
fedelissimo
ammiraglio
del
conquistatore
macedone,
e
che
figura
nelle
fonti
al
servizio
del
diadoco
Antigono
I
Monoftlamo
durante
le
guerre
di
successione.
Si tratta però di
ipotesi
incerte.
Solo
tra
qualche
tempo,
quando
gli
archeologi
giungeranno
alla
camera
funebre,
potremo
avere
informazioni
più
precise
sull’ignoto
inquilino
della
tomba.
Una
è
però
certa:
sicuramente
non
si
tratta
di
Alessandro
Magno,
i
cui
resti
furono
sepolti
in
Egitto
per
volere
di
Tolomeo
I.
Fig.
5
-
Rappresentazione
assonometrica
dell'interno
del
monumento
realizzata
dall'architetto
M.
Lefantzis
Città contesa
Balzata agli onori
delle
cronache
grazie
alle
recenti
scoperte,
l’antica
città-stato
di
Anfipoli
ha
vissuto
un
passato
tutt’altro
che
anonimo.
Essa
si
trova
a un
centinaio
di
chilometri
a
est
di
Salonicco,
nella
regione
dell’attuale
Macedonia
greca,
un
tempo
parte
della
Tracia.
A
fondarla
furono
gli
ateniesi
nel
437
a.C.,
occupando
un
preesistente
insediamento
trace
di
straordinaria
importanza
strategica.
Posta
sulle
rive
del
fiume
Strimone,
Anfipoli
sorgeva
infatti
alle
pendici
del
monte
Pangeo
(famoso
per
le
sue
miniere
d’oro
e
d’argento,
oltre
che
per
l’inesauribile
riserva
di
legname
dei
suoi
boschi),
in
uno
degli
snodi
viari
fondamentali
che
dal
nord
della
Grecia
portava
all’Ellesponto.
Contesa tra Atene e
Sparta
nel
corso
della
guerra
del
Peloponneso
(431-404
a.C.),
rimase
legata
alla
potenza
ateniese
fino
al
357
a.C.,
data
della
sua
occupazione
da
parte
del
sovrano
Filippo
II,
il
quale,
pur
lasciandole
una
certa
autonomia
interna,
la
pose
sotto
tutela
macedone.
Quando
poi
fu
Roma
a
mettere
fine
al
regno
di
Macedonia
(in
seguito
alla
battaglia
di
Pidna
del
168
a.C.)
Anfipoli
entrò
definitivamente
nell’orbita
romana,
continuando
per
secoli
a
prosperare.
Non stupisce, dunque,
che
dopo
più
di
duemila
anni
la
sua
storia
continui
a
svelarci
immensi
tesori.