N. 30 - Novembre 2007
Tolfa e il suo
territorio.
Archeologia e
storia
La struttura
politico-economica
- Parte II
di Antonio Montesanti
Periodo
Orientalizzante. Metallurgia e viabilità.
Il fiorire della civiltà etrusca nel bacino
del Mignone avviene nell’ultima
parte dell’età del ferro. Le prime
testimonianze risalgono al VII sec. a.C. e
sono connesse, come nei secoli successivi,
ai riti funebri. Con l'età Orientalizzante
la cultura materiale e l'architettura
testimoniano una diretta influenza ceretana.
Le ricche risorse naturali consentirono lo
sviluppo di comunità di piccole e medie
dimensioni che occuparono in maniera
capillare il territorio. Per tutto il VII e
buona parte del VI sec. a.C., la densità
degli insediamenti nell’entroterra aumenta
notevolmente. I singoli centri si
svilupparono fino agli inizi del V sec. a.C.,
quando un crollo delle deposizioni lascia
pensare ad uno spopolamento. Soltanto con la
fine del IV sec. a.C. si assiste ad una
ripresa consistente dei dati archeologici,
così come avviene per altri centri minori
dell'Etruria Meridionale interna.
Dai numerosi dati archeologici e ricognitivi
è possibile individuare una serie di abitati
e una fitta rete viaria che collegava i
centri interni tra loro e con la costa (e in
particolare con Cere Tarquinia). Le
principali vie etrusche di collegamento nel
territorio verranno ricalcate
successivamente in età romana.
In questa parte d’Etruria, a differenza di
altre aree, non si manifesta il fenomeno del
sinecismo urbano, ossia la creazione di un
unico grande centro abitato che raccolga i
diversi pagi, piuttosto si conservano una
serie di comunità più piccole tra cui
spiccano Rota e Bagni di Stigliano.
Il sito è intimamente legato
alle vicende di Enea: queste aree sono
oggetto di contesa tra i Latini e il
legittimo possessore, il re di Cere (Agylla)
Mezenzio. Le fonti (Eneide e il “De Reditu”
di Rutilio Namaziano) riportano il nome di
Castrum Inuum identificato con la
rocca de “La Castellina” (a NO di S.
Marinella) risalirebbe al periodo
pre-etrusco e corrisponderebbe alla località
del “Castrum Inui” indicato da Namaziano che
dovrebbe corrispondere al Castrum Vetus
originario del romano Castrum Nuvum.
Secondo il Pareti Castrum
Inui «…era il centro abitato fortificato che
gli abitanti italici della regione
costruirono, all'inizio dell’età del ferro,
per controllare la zona delle miniere della
Tolfa, e per concentrarvi il materiale
ricavato, il quale poteva essere inoltrato,
o per via terra (la successiva Aurelia), o
caricato su barconi, attraccati alla foce
del Marangone, che poteva servire per
l'imbarco».
Le prime vie di comunicazioni
commerciali risultano essere i fiumi e le
vie d’acqua in generale.
Ai piedi dei Monti della
Tolfa il fiume Mignone ha rappresentato
certamente la prima porta naturale
nell’entroterra ed il litorale presso la sua
foce come primo approdo delle antiche
imbarcazioni di modeste dimensioni. Sembra
che il porto di Gravisca situato nelle
vicinanze della foce dei Mignone, abbia
assolto bene questo compito.
Non è casuale che le numerose
necropoli siano proprio dislocate lungo
tutto il corso del Mignone e lungo quei
corsi d'acqua che si versano nello stesso:
il fosso Vesca, il Verginee (con il fosso
dell’Acqua Bianca) e quello del Lenta.
Medesima osservazione e
analoghe constatazioni possono essere
avanzate per il fosso di Rio Fiume: nei
dintorni della sua foce sorgeva il porto di
Pyrgi il cui nome testimonia la
presenza greca. L'influenza greca presso i
Monti della Tolfa è documentata dai vasi
d’importazione provenienti dagli arredi
funebri. Le scorie di minerale ferroso
rinvenute lungo il litorale del porto sono
probabilmente provenienti dalle miniere
degli stessi monti.
Medesima valutazione può
essere avanzata per il centro abitato di
Colle di Mezzo, risalente al VII sec. a.C.,
posto a cavallo di due bacini minerari:
quello di Pian Ceraso e quello di Cava del
Ferro.
Anche se ancora al giorno
d’oggi è possibile rinvenire metalli in
superficie, l’industria estrattiva al
momento non è comprovata su ampia scala,
visto l’utilizzo anche in tempi recenti
delle cave andate quasi totalmente
distrutte.
La posizione del sito dell’Elceto,
vicino al bacino minerario, lo indica come
centro economico e politico, l’estrazione,
che avveniva nelle vicinanze doveva essere
addirittura quotidiana. Probabilmente i
villaggi dell’interland dovevano
servire da luoghi di lavorazione, attività
comprovata dagli scarti di fusione o dai
grumi di metalli prefusi rinvenuti nei
ripostigli a Monte Rovello, a Coste del
Marano e all’Elceto stesso.
Le più importanti
coltivazioni minerarie devono ritenersi
quelle di Ferro in località Roccaccia e Pian
Ceraso e quelle di piombo e zinco a Poggio
Ombricolo e Poggio della Stella.
Lista dei metalli
presenti sui Monti della Tolfa |
Pirite (comune) |
Fe 46 % |
|
Blenda (comune) |
Zn 67 % |
|
Calcopirite (comune) |
Cu 34 % |
Fe 30 % |
Galena (comune) |
Pb 86 % |
|
Covellite (comune) |
Cu 66 % |
|
Marcassite (comune) |
|
|
Pirrotina (scarsa) |
|
|
Antimonite (scarsa) |
|
|
Cinabro (scarsa) |
|
|
Bornite (scarsa) |
|
|
Baritina (rara) |
|
|
Siderite (rara) |
|
|
Mercurio (Tolfaccia) |
|
|
Metalli derivati
dall’ossidazione dei solfuri |
Limonite |
|
|
Ematite |
|
|
Al unite |
|
|
Azzurrite |
Pb 68 % |
|
Malachite |
Cu 57 % |
|
I metalli e soprattutto rame,
antimonio, piombo, piombo-argentifero e
alunite dovettero essere alla base della
crescita economica e della economia di
scambio, soprattutto se vista in chiave
mediterranea. A partire dall’VIII e per
tutto il VII sec. a.C., le località fungono
da raccolta metallifera ma spostano la
lavorazione verso la costa. La conferma di
un decentramento “marittimo” del ferro e di
un sistema embrionale organizzativo è
deducibile dalla presenza di numerosi
oggetti in ferro nelle necropoli di Colle di
Mezzo – Bandita Grande (Tolfaccia) oltre che
da consistenti depositi di ematite grezza
nell’area sacra di Pyrgi, proveniente dal
settore meridionale dei monti della Tolfa
(NE di Pian Sultano).
Analogamente il ritrovamento
di grandi masse di fusione ferrose presenti
all’interno dell’abitato della Castellina
celebra il sito come nuovo centro di
smistamento in cui la continuità dalla
protostoria alla storia è attestata da una
forma di benessere dovuta allo sfruttamento
delle risorse minerarie che si intensifica
proprio tra il IX e l’VIII sec. a.C.
Che il rapporto in epoca
protostorica tra i micenei e
protovillanoviani – Greci ed Etruschi – sia
stato continuativo è probabile fino a quando
la fonte di ricchezza sia stata la
produzione mineraria dei monti della Tolfa
alle quali Cere dovette molto.
La continuità frequentativa è sottolineata dall’Oestenberg,
il quale mette in relazione la presenza del
vocabolo “allume” nelle tavolette di Pilo
con la presenza di frammenti di ceramica
micenea provenienti da Luni sul Mignone e da
Monte Rovello.
La Castellina e l’Elceto, s’inseriscono bene nel contesto della “via
tarquinese dell’allume” che deve aver
costituito, con quella del fosso Marangone e
con la direttrice Tolfaccia – Tufarelle –
Rio Fiume, una delle tre principali vie di
comunicazione tra il bacino minerario ed il
mare.
Un secondo tracciato era
quello che da Luni portava al mare, seguendo
il corso del Mignone. La via è di facile
identificazione, importante per le
transumanze, ma che presenta seri problemi
per il trasporto di pesanti carichi di una
certa consistenza.
Gli studiosi, seguendo le
tracce del Canina, ricercando le strade
romane, sono concordi che la viabilità
principale dovesse provenire da Cerveteri
per giungere a Stigliano, attraversando il
Lenta sul Ponte di Ferro (ruderi),
costeggiava Rota sul lato Sud attraversando
il Verginese presso il ponte delle Acacie,
probabilmente riprendeva la tagliata etrusca
della Conserva (messa in luce dal GAR) e
riprendeva forse i basoli romani rinvenuti
alle Mattonelle fino a raggiungere Grasceta
dei Cavallari per raggiungere Tarquinia
attraversando il Mignone presso il Ponte del
Bernascone.
Forse si trattava della
“Via Cornelia” il cui tracciato è forse
possibile identificarlo in epoca medievale
con le strade delle “Du’ fossa” e delle “Canepine”.
Fino all’VIII secolo a.C. la
villanoviana Tarquinia presenta una maggiore
floridezza di oggetti metallici (scorie e
frammenti di Aes Rude c/o la civita)
rispetto a Cere; dalla metà del VII secolo
a.C. Cere inizia una maggiore e prosperità
proprio in coincidenza di una cena decadenza
di Tarquinia. L’ipotesi che è stata avanzata
è che ciò fosse dovuto ai possedimenti
minerari dei Monti della Tolfa che
evidentemente passò nella mani di Cere.
Pur assistendo già dal IX
sec. a.C. ad un apparente abbandono di tutto
il territorio, al contrario di quanto
avviene per Tarquinia e Cere, per l’area del
tolfetano, quella discesa al mare che sembra
aver identificato le espansioni delle due
città meridionali, rimane ancora in una fase
appena embrionale.
Confine e appartenenza
Tra i molti interrogativi che
si presentano, quello più pressante riguarda
la necessità di stabilire la distribuzione
insediamentale dell’attuale territorio dei
Monti della Tolfa e a chi appartenesse. È
ancora presto per trovare una risposta
convincente a simili domande, purtuttavia,
iniziamo ad indagare e a porre
all'attenzione quegli aspetti utili per
un’indagine futura.
Servio c'informa che il
Mignone serviva da confine tra Cere e
Tarquinia, ritenendo che il Mignone fosse
stato il fiume ceretano indicato da Virgilio
per cui, non essendo stato ancora accertato
quale effettivamente fosse questo fiume,
l'asserzione serviana potrebbe non essere
valida, per lo meno nel periodo in esame.
Il Colasanti segue Servio
aggiungendo che le Aquae Caeretanae,
identificate dall’autore con i Bagni di
Traiano di Civitavecchia, fossero in
territorio cerite; va osservato che oltre ai
Bagni di Traiano ci sono altre «Aquae,
che possono essere quelle Caeretane,
dette localmente Aquae Claudii,
localizzate presso l’attuale “Carlotta”
molto più prossime a Cere e quindi
sicuramente appartenenti al suo territorio».
Il Dasti propone una linea di
confine che parte dal fosso di «Castelsecco
e si dirige nell’entroterra per una
lunghezza corrispondente alla distanza che
corre da S. Marinella al fiume Fiora».
Il Bastianelli si associa,
grosso modo al Dasti e propone come confine
il fosso del Marangone che diventerebbe così
il fiume ceretano di Virgilio.
La migliore testimonianza può
essere fornita dalle risultanze
archeologiche, per quel poco che sono state
studiate, attraverso le quali è possibile
constatare che gli arredi funebri e le
necropoli etrusche delle Castelline del
Ferrone, dei Grottini, di Pian Cisterna, di
Pian Conserva, di Pian de’ Santi e di Colle
di Mezzo risentano della cultura etrusca di
Cere.
La necropoli di Pian della
Conserva compresa tra il Verginese e l’Acqua
Bianca, specchio della cultura dell’area, va
dall’ultimo quarto del VII al III sec. a.C.
anche se la maggior parte delle tombe
appartengono al VII-VI sec. a.C.
Su poco più di 50 tombe
finora indagate, appartenenti alla metà del
VI sec. a.C., 16 sono tumuli, in cui è
evidente che l’architettura è influenzata
direttamente da Cere tanto che è lecito
pensare che le tombe siano state costruite
da intagliatori provenienti dallo stesso
centro tirrenico.
Gli elementi che accomunano
quest’area a Cerveteri sono le banchine per
le deposizioni distinte tra uomini e donne e
la presenza della banchina per i bambini,
inoltre la prima camera frontale o
d’ingresso presenta le pareti di destra e
sinistra decorate a finestre.
I corredi indicano la maggior
parte della ceramica di tipo locale,
bucchero ed etrusco-corinzia, era importata
da Cere mentre scarsissima appare la
ceramica importata.
Questi elementi dimostrano
l’inserimento di una classe dirigente
ceretana, a cominciare dalla metà del VI
sec. o addirittura agli inizi VII sec. a.C.
e quindi una totale appartenenza alla parte
cerite e al territorio della città-
Al contrario, ai piedi dei
Monti della Tolfa, lungo il litorale marino
che va da Santa Marinella a Tarquinia
includendovi l'attuale zona della Farnesiana,
è riscontrabile la Cultura etrusca di
Tarquinia dove la linea di confine, che
separava le competenze tarquiniensi da
quelle ceretane poteva essere la seguente:
Fosso del Marangone – Miniere di ferro e di
Piombo – Allumiere – Cave Vecchie di Allume
– Monte S. Arcangelo – Mignone.
Le tombe più ricche sarebbero
appartenute a dei piccoli pagi di forma
“coloniale”, dipendenti formalmente da Cere,
che sarebbero serviti alla sistematica
occupazione etrusca all’interno
dell’economia rurale della zona, la cui
presenza sui monti della Tolfa deve essere
ricollegata non a questa forma di economia
ma piuttosto alla produzione estrattiva
della zona.
Tuttavia i caratteri dell’insediamento
confermano la vitalità del tessuto rurale,
basato su un’economia di sussistenza basata
su siti aperti in senso produttivo,
distribuiti nelle aree di fondovalle e sui
terrazzi dei rilievi dominanti la Valle del
Mignone.
Numerosi siti sono vitali
fino alla fine del VI ed il V sec. a.C.,
quando subiscono una contrazione del tessuto
rurale. Da questo momento l’area assume un
carattere di marginalità, accentuata dalla
presenza dei luoghi di culto numerosi e
raramente associati agli abitati, che
qualificano il settore della bassa valle del
Mignone come area di confine. Il luoghi di
culto esterni a comunità urbane sottolinea
la valenza tipicamente frontieristica di
tali santuari posti in molti casi in punti
di valico o grandi crocevia.
Nel momento in
cui l’area avrebbe dovuto avere uno sviluppo
esplosivo, il settore marginale dei monti
Tolfetani sembra entrare in competizione
con i grandi centri urbici costruiti sui
pianori fattore che conduce ad un veloce
depauperamento dell’area rispetto alle due
città stato tra cui si veine a trovare ossia
in una zona di confine marginale.
Quindi la fase
tardo-orientalizzante arcaica è molto più
ricca e fiorente di quella tardo-arcaica e
classica.
Un insediamento, databile al VII - VI sec.
a.C., sorgeva nella Piana di Stigliano. Le
vicine necropoli di M. Seccareccio e di
Grottini di Rota dovrebbero riferirsi ad
esso. Il pianoro è compreso tra la valle del
fiume Mignone e quella del fosso Lenta.
L'abitato era organizzato in almeno due zone
distinte (A e B). Gli addensamenti di
materiali nell’area dell'abitato, cosparsa
di frammenti ceramici ed edilizi, occupavano
un totale di quattro ettari, risalenti tra
la fine del VII – e gli inizi del VI sec.
a.C., con abbandono nei primi decenni del V
e ripresa tra la metà del IV e primi decenni
del III a.C. Il rinvenimento di antefisse fa
ritenere che esistessero edifici di un certo
livello adeguati alle tombe più monumentali
della necropoli che si trovava su una rupe
tufacea a poca distanza, in località
Grottini di Rota.
A Marano (Ripa Cerviale) sono stati
recuperati materiali appartenenti a
sepolture andate distrutte e databili all'VIII
sec. a.C.
Un “antichissimo, rustico vaso cinerario”,
con resti d'ossa semicombuste, venne
recuperato in località “La Tolficciola” a
circa 2 km da Tolfa. La tomba fu scoperta
durante i lavori di costruzione della strada
Tolfa-Santa Severa. La sepoltura, databile
all'VIII sec. a.C., conteneva un’olla
cineraria, un coperchio parzialmente
conservato ed una fibula in bronzo.
Nella necropoli della Tolfaccia si sono
rinvenute tombe ad inumazione e ad
incinerazione databile all’VIII sec. a.C.
Periodo
Arcaico-Classico
La diffusa presenza di insediamenti etruschi
nell’area dei Monti della Tolfa può far
pensare alla possibilità di sfruttamento
delle miniere di ferro e del legname dei
boschi. La sua importanza aumentò durante il
periodo etrusco, poiché riforniva di
prodotti di vario genere Pyrgi (Santa
Severa), porto arsenale di Caere, e Gravisca
(Porto Clementino), scalo marittimo di
Tarquinia, legandosi inevitabilmente alla
loro storia.
A seconda della geomorfologia del terreno e
dell’influenza culturale, le necropoli
presentano due tipologie funerarie
differenti: nell’area orientale è utilizzato
il modello della tomba a camera ipogea
scavato nel tufo (Cerveteri), mentre
nell’area occidentale, il vano sepolcrale
era costruito all’interno di una cavità con
lastroni calcarei e ricoperto da un tumulo
di terra (Tarquinia?).
Nelle necropoli, a partire dalla seconda
metà del VI sec. a.C., non vengono più
costruite tombe, ma vengono riutilizzate
quelle preesistenti. Già dalla metà del V
sec. a.C. le tombe presentano una notevole
riduzione del numero dei corredi, l’indice
dello spopolamento giunge al suo picco
massimo nel pieno IV sec. a.C., quando le
presenze sono quasi assenti. Questo fenomeno
va spiegato con un complessivo impoverimento
della popolazione, una contrazione
demografica e un indebolimento delle
attività produttive.
Pur non mancando resti di insediamenti
civili come le mura del pagus di
Grotte Pinza o a Poggiarello, forti dubbi
permangono sul fatto che al gran numero di
sepolture non corrisponde un numero
effettivo di abitati individuati.
Sono state individuate una serie di piccole
necropoli storicamente conosciute che vanno
dal VII al III sec. a.C. lungo il fiume
Lenta: Capannone, Poggio S. Pietro, Grottini
di Rota e Pian della Conserva, Pian
Cisterna-Polledrara, Largo e Grottino della
Bandita, M. Seccareccio, Ara del Frassino,
S. Pietrino, Pantanelle, Pian di Stigliano,
Le Sbaze, ed altre sparse: M. Perazzetto, M.
Ascetta, Colle di Mezzo, Capannone, di cui
alcune individuate dal GAR: Fontanile della
Nocchia (Fosso del Lascone), M. Palarese e
sulle pendici di M. Acqua Tosta.
Insediamenti abitativi e sepolcrali si
conservano anche nelle strette adiacenze del
Casale di Sant’Ansino.
Sui pianori e sulle pendici a N del fosso
Vergine, distanti meno di un chilometro
l’una dall’altra, troviamo tre delle sette
necropoli monumentali dell’area (Pian dei
Santi, Pian della Cisterna e Pian Conserva),
insieme a nuclei di abitazioni.
Il pianoro di Pian Conserva è rappresentato
da una formazione tufacea delimitata da due
corsi d’acqua, rispettivamente il fosso
Vergine a S ed il fosso dell‘Acqua
Bianca a N e ad est, affluenti del
Mignone. La necropoli si trova al di sopra
del pianoro de La Conserva, collocato a 5 km
ad E di Tolfa, nella media valle del Mignone.
Dagli anni ‘50 la SAEM e poi dal 1975 con la
collaborazione del GAR ha esplorato una
serie di tombe di età etrusca nonché di
sepolture di età repubblicana ed imperiale
romana. La tomba più antica sarebbe a camera
semicostruita datata alla seconda metà del
sec. VII a.C. mentre le più recenti
s’inoltrano nella seconda metà del IV sec.
a.C.
In un ventennio si sono portate alla luce
numerose sepolture di cui alcune monumentali
a tumulo, tra tutte il rinvenimento più
rilevante resta famoso quello della tomba
dei Cani. Le tombe a camera fino ad ora
rinvenute superano le settanta unità, a
testimoniare l'importanza dell'insediamento
cui la necropoli faceva capo. La zona
settentrionale si articola intorno ad una
strada (c.d. della Dogana Vecchia) che sale
sul pianoro tramite una profonda tagliata
sviluppando anche la forma tombale rupestre.
Indagini di superficie, che necessiteranno
di altre verifiche, hanno portato alla
segnalazione di un abitato etrusco arcaico,
distribuito sia sulle pendici che nell’area
occidentale del pianoro.
La necropoli è collocata a N del pianoro di
Pian Conserva. È organizzata in almeno tre
ampi nuclei distinti tra loro. Anche se le
ricerche del passato non sono state a
carattere sistematico, la cronologia di
almeno una deposizione è ascrivibile alla
fine del VII - inizi VI sec. a.C. Recenti
interventi di censimento hanno rilevato un
numero di quaranta tombe vicino al totale.
Accanto a strutture architettoniche semplici
(a camera singola) sono state individuate
tombe a due e a tre camere dove predomina il
tipo semi-rupestre.
La necropoli sorge su un pianoro, ove
affiora la stratificazione tufacea entro cui
sono ricavate le tombe, collocato alla
confluenza del fosso Pian dei Santi con il
fosso Verginese. Le circa 25 deposizioni si
succedono tra la fine del VII e il VI sec.
iniziando
con l'Orientalizzante Antico per protrarsi
almeno fino al V sec. a.C.
Nei pressi della necropoli furono in passato
individuate tracce dell'abitato etrusco cui
va riferita la necropoli e di un
insediamento romano, protrattosi fino ad età
tardo antica.
Dalla qui proviene di un corredo con più
deposizioni avvenute in tempi diversi, la
più antica delle quali si data fine del VII
mentre la più tarda risale alla fine del VI
- inizi V sec. a.C. È da rilevare inoltre la
presenza di una lucerna e di una fibbia
databili in età romana, forse riferibili ad
una sepoltura oppure ad un antico tentativo
di profanazione della tomba.
Già individuata nel 1936 da numerosi
frammenti riferibili all’appenninico selci e
reperti malacologici dall’Orientalizzante (VII-VI
sec. a.C.) fino alla seconda metà del V a.C.
La necropoli si trova attualmente al km 39
della strada provinciale Tolfa-Bracciano,
nella media valle del fiume Mignone, nel
comune di Canale Monterano. Attualmente si
conservano circa quindici tombe. Tuttavia è
facile immaginare che il numero doveva
essere almeno doppio, prima dell'apertura di
una cava che ne distrusse una parte. La
necropoli era pertinente al vicino abitato
di Piana di Stigliano. Sul piano
architettonico è da segnalare una certa
accuratezza nelle realizzazioni che trova
riscontro sia nei monumenti esterni che
negli interni solo in un caso presentano una
facciata a dado. Qui nel 1882 venne scoperta
la famosa Tomba dei Pugilatori. La
cronologia complessiva dei materiali si
colloca tra la fine del VII e il VI sec.
a.C.
Non lontano dalla Piana di Stigliano sorge
la necropoli della Riserva del Ferrone, una
delle più importanti della zona per la
ricchezza dei corredi funerari e per la
quantità dei rinvenimenti. La necropoli si
estende al di sopra di un pianoro tufaceo
collocato lungo la valle del Lenta che
costituiva la via di comunicazione
principale con Caere, da cui distava
soltanto una ventina di chilometri e da cui
stilisticamente e architettonicamente
dipende. Le numerose tombe riportate in luce
dal 1989 al 1997 (circa una cinquantina)
testimoniano una elaborata architettura e
una ricchezza dei corredi superiore alle
altre necropoli. La tomba a camera
monumentale a tumulo o a dado è il del tipo
predominante, unici esempi attestati sui
Monti della Tolfa. Al momento non è stato
ancora individuato l'abitato a cui faceva
riferimento la necropoli, tuttavia è facile
ipotizzare che potesse trovarsi nelle
vicinanze, magari sullo stesso pianoro, dove
in età medievale fu edificato un
insediamento fortificato. La cronologia,
basata sull'esame dei corredi e
dell'architettura, si colloca tra il VII
sec. e la prima metà del V sec. a.C. Una
successiva occupazione del sito, con riuso
delle tombe per nuove sepolture, si ha alla
fine del IV - inizi III sec. a.C. fino
all’età augustea.
|