medievale
LA PAURA NEL RINASCIMENTO
TIMORI E INQUIETUDINI NELL’OCCIDENTE
CRISTIANO
di Marco Fossati
Si può definire la paura come una
sensazione sgradevole che nasce da un
pericolo reale e presente o che si
presume stia per accadere in futuro; è
un istinto naturale dell’uomo, lo tiene
vigile nei confronti delle avversità.
Tale meccanismo funziona anche a livello
collettivo; la paura si diffonde in una
popolazione se gran parte dei suoi
membri condivide l’angoscia circa uno o
più pericoli (o presunti tali) e ne
influenza comportamenti e reazioni. Ciò
che è avvenuto in Europa a partire dagli
ultimi secoli medievali e per gran parte
dell’Età moderna (dal XIV al XVII
secolo), quando una serie di
inquietudini collettive giocarono un
ruolo non trascurabile nella storia del
Continente.
Fino ad alcuni decenni fa, a livello
storico, si parlava ancora diffusamente
della cosiddetta “paura dell’anno
Mille”. Ovvero si riteneva che in
Europa, intorno a quella data, fosse
diffuso il terrore per la fine del mondo
e questo avesse in un certo senso
condizionato anche la relativa
arretratezza economico-culturale dei
secoli alto medievali. Infatti, secondo
l’Apocalisse di San Giovanni,
dopo mille anni dalla nascita di Cristo,
Satana si sarebbe liberato e avrebbe
portato il male sulla terra, prima della
seconda venuta di Dio e del giudizio
universale (millenarismo).
La ricerca storica recente ha
ridimensionato e soprattutto ha
ricollocato la “paura dell’anno Mille”.
In realtà l’angoscia per la fine del
mondo esistette veramente e condizionò
notevolmente le popolazioni europee, ma
si manifestò tra XIV e XV secolo.
Ovviamente la fine della storia umana e
il conseguente giudizio universale,
erano temi noti e oggetto di discussione
all’interno della Chiesa sino dalla
tarda antichità. È durante il periodo
delle crociate (XI-XII secolo), però,
che l’escatologia (dottrina dei fini
ultimi dell’uomo) inizia a uscire dalle
dotte polemiche dei chierici e viene
utilizzata per motivare i partenti verso
Gerusalemme; secondo alcune profezie
prima della fine del mondo, ci sarebbe
stato lo scontro finale tra i fedeli di
Cristo e l’Anticristo, con i suoi
seguaci, nei pressi della Città Santa.
Infatti: «Nel Medioevo in generale il
musulmano fu visto come l’aggressore, il
nemico e insieme, in quanto infedele, il
malvagio alleato di Satana. […] In
effetti i musulmani sono spesso
rappresentati con la pelle scura come i
diavoli» (Frugoni). Le inquietudini
escatologiche iniziano così a
diffondersi lentamente tra la
popolazione, salendo di tono nei secoli
successivi.
Tra XII e XIII secolo, in Europa, si
sviluppa una nuova spiritualità che si
integra a fatica con la dottrina e le
istituzioni ecclesiastiche. Se da una
parte il nuovo sentimento religioso
porterà alla nascita degli ordini
mendicanti, dove la critica riguardante
l’opera della Chiesa rimarrà limitata,
dall’altra sfocerà in movimenti popolari
di aperta protesta verso le gerarchie
ecclesiastiche e di contestazione o
rifiuto, di aspetti dottrinali e
teologici.
Bisogna anche ricordare che le
aspirazioni religiose spesso si
confondevano o nascevano, da
rivendicazioni sociali o da proteste per
il riconoscimento di diritti e privilegi
di particolari comunità, coinvolgendo
anche il potere civile. Infatti, nel
corso del XIII secolo, si può
individuare l’inizio del lungo processo
di formazione degli stati nazionali che
determina una riorganizzazione del
potere a livello locale (con la nascita
di comuni e signorie), in un quadro di
progressivo sgretolamento dell’ordine
medievale. Ne deriva una maggiore
instabilità politica.
In questo scenario la reazione della
Chiesa alla nascita di movimenti
eterodossi è sulla falsariga di quanto
già avvenuto per le crociate, ovvero
richiamare all’unità i fedeli per far
fronte comune al nemico. Sebbene ora i
nemici siano interni; coloro che
rifiutano la dottrina e attaccano le
gerarchie ecclesiastiche, gli eretici.
Nel 1215 papa Innocenzo III, esortando
tutti i principi cristiani alla difesa
dell’ortodossia, proclama di fatto la
crociata anche contro le eresie; il
passo successivo sarà la formazione di
tribunali misti (religiosi e laici),
adibiti al giudizio sulla condotta dei
credenti, l’Inquisizione; istituita
ufficialmente da Gregorio IX nel 1232.
Riprendendo i temi e i modi delle
crociate si utilizzano le stesse
categorie interpretative, creando un
filo logico con quanto si era predicato
per le missioni in Terra Santa. Diventa
automatica l’identificazione dell’eresia
come strumento di Satana e gli eretici
come suoi emissari, equiparandoli agli
islamici o ai pagani. Il tutto in
un’atmosfera da giorno del giudizio
sempre più imminente. Ne consegue un
crescendo di inquietudine tra la
popolazione causata anche dai numerosi
conflitti, lunghi e violenti, che tale
situazione genera in tutta Europa. Dalla
crociata contro gli albigesi
nella Francia meridionale (1208-1213),
alle battaglie contro gli eretici dei
Balcani (1227-1234) o le spedizioni dei
cavalieri teutonici in Polonia e Prussia
nella seconda metà del XIII secolo; solo
per citare i principali.
Le eresie e la conseguente repressione
altro non erano che i primi segnali di
crisi della Chiesa come istituzione. Una
crisi che esplode nel XIV secolo,
manifestandosi chiaramente agli occhi
dei fedeli. Prima con il trasferimento
(forzato) della sede papale ad Avignone
e poi, tra il 1378 e il 1417, con il
cosiddetto Grande Scisma ovvero
l’elezione contemporanea di due papi (ad
Avignone e a Roma), uno in opposizione
all’altro, che determina una divisione
drammatica nella cristianità, dato che
entrambi i pontefici, scambiandosi
reciproche accuse di eresia, scomunicano
la parte di popolazione che non li
riconosce; mentre ciascuna parte accusa
l’altra di essere guidata
dall’Anticristo.
«Tali accuse lanciate e ripetute da
un capo all’altro dell’Occidente (sempre
più di frequente in lingua volgare) non
potevano che suscitare un’atmosfera da
fine del mondo» (Delumeau); diffusa
e rafforzata dai numerosi predicatori
itineranti, che avevano un notevole
seguito tra la popolazione. Si erano in
pratica poste le basi per la formazione
di un clima di guerra o da stato
d’assedio, permanente. Senza dimenticare
che dopo il 1291 con la caduta di San
Giovanni d’Acri e la fine degli Stati
latini d’Oltremare, non solo si
evidenzia il fallimento delle crociate
propriamente dette ma aumenta
notevolmente la paura dell’espansione
islamica. Nemici interni ed esterni
dunque, che vengono rappresentati sempre
più come manifestazione delle forze del
male al servizio del diavolo.
Se fino alla metà del XIV secolo le
inquietudini erano soprattutto giunte
dalle politiche e dalla propaganda del
potere (religioso e civile) che cercava
di mantenere la presa su una società in
mutamento, nel corso del Trecento alcuni
eventi con un impatto più sensibile
nella vita materiale, portano a far
emergere una serie di timori latenti
nella popolazione; saldandosi alle
ossessioni della classe dirigente danno
l’avvio a più di tre secoli di paura
generalizzata e diffusa a tutti i
livelli della società.
Un primo aspetto che bisogna
sottolineare riguarda la sfera
economico-sociale. A partire dal
Duecento, l’Europa, inizia a passare da
un sistema di produzione di tipo
feudale, con una scarsa circolazione dei
beni e un’ancora più scarsa circolazione
monetaria, il cui obiettivo principale è
la sussistenza, a un sistema sempre più
basato sui commerci e sull’utilizzo del
denaro e una produzione che si rivolge
al mercato in cerca di profitto; tanto
che per i secoli rinascimentali alcuni
storici già parlano di economia
pre-capitalista.
Questo passaggio non fu ovviamente
indolore dato che contribuì (complici
condizioni climatiche sfavorevoli) a
frequenti carestie nelle campagne
mentre, nelle città, le oscillazioni sui
costi delle materie prime, i problemi
legati alla carenza o all’eccessiva
manodopera, creavano forti squilibri
nelle attività artigianali (oltre a
difficoltà di approvvigionamento dei
beni essenziali, visto l’incremento
notevole della popolazione urbana).
Pertanto un relativo aumento del rischio
di povertà rispetto ai secoli
precedenti, che si traduceva nella paura
collettiva della fame. Paura che
generava rivolte più o meno spontanee (a
volte innescate dall’introduzione di
nuove tasse), che a loro volta
generavano altre paure a seconda del
ceto a cui si apparteneva o del luogo
dove si viveva: di vagabondi e briganti
nelle campagne, di mendicanti e
disoccupati nelle città, delle masse in
tumulto o delle repressioni in generale.
Si possono citare alcuni esempi: dalla
cosiddetta Jacquerie, la ribellione
contadina nella Francia del Nord alla
metà del XIV secolo, alla rivolta urbana
dei lavoratori del tessile (i Ciompi) a
Firenze nel 1378, fino alle sommosse
seguite all’introduzione della
pool-tax in Inghilterra (1381), che
si confusero, come detto sopra, con
rivendicazioni religiose (la
predicazione di John Wycliff) e finirono
per essere combattute come movimento
eretico; così come le rivolte
politico-sociali in Boemia (1414-1434)
furono associate all’eresia di Jean Huss
prima e dei taboristi dopo. Gli
esempi si moltiplicano se si guardano i
secoli successivi quando si creerà un
altro e ben più grave conflitto
all’interno della cristianità con la
Riforma luterana. Il timore di rivolte e
sedizioni e delle conseguenti
repressioni, sarà una costante nella
mentalità popolare dell’Età moderna.
Il secondo elemento che contribuì ad
aumentare sensibilmente la paura
collettiva, dando origine a esplosioni
spontanee di violenza, fu il ritorno
della peste. A partire dal 1348 la
malattia si diffonde – dal Mar Nero –
rapidamente in tutta Europa e, nel giro
di pochi anni, causa la morte di oltre
un terzo della popolazione. Morbo
cronico e ricorrente provocava nelle
comunità uno stato di ansia continua. Ma
era la sua letalità, oltre l’80% dei
contagiati moriva e l’estrema facilità e
velocità di trasmissione (un ammalato in
famiglia significava spesso la morte di
tutti i componenti nel giro di qualche
giorno) a creare angoscia; a cui si
aggiungeva il terrore che incutevano i
sintomi esteriori della malattia:
spasmi, delirio, piaghe e bubboni sul
corpo, membra gonfie, pelle nerastra o
violacea.
«“In periodi di peste, come in
guerra, la morte di un uomo avveniva in
condizioni insopportabili di orrore, di
anarchia e di abbandono degli usi più
profondamente radicati nell’inconscio
collettivo» (Delumeau). La morte
perde la sua sacralità e diviene anonima
e di massa. Pesanti furono le
conseguenze economico-sociali ma furono
ancora più devastanti le conseguenze dal
punto di vista psicologico; il morbo
amplificava tutte le inquietudini,
soprattutto quella per la fine del mondo
di cui sembrava esserne il preludio.
Si cercava una spiegazione alla tragedia
per poterla affrontare. Che la malattia
fosse causata dai peccati degli uomini e
dall’ira di Dio, era il timore più
diffuso così come si pensava all’azione
delle forze del male inviate da Satana.
Ne derivava una ossessiva ricerca dei
colpevoli (capri espiatori) in un
crescendo di scoppi d’ira collettiva; se
spesso l’aggressività si concentrava su
stranieri, malati di mente, o su quanti
non erano ben integrati nella comunità,
ancora più spesso si rivolgeva contro
due bersagli particolari, gli ebrei e le
streghe.
Sugli ebrei pesava una diffidenza
secolare che nasceva da una
contrapposizione su questioni religiose
essenziali. Il loro modo di vita poi,
gruppi chiusi poco propensi ad accettare
gli usi e i costumi delle comunità
circostanti, incuteva un certo timore ed
era fonte di maldicenze (ad esempio si
credeva che praticassero sacrifici
rituali). Molti ebrei svolgevano lavori
considerati sconvenienti in ambiente
cristiano, soprattutto l’attività
bancaria. Nonostante ciò, a parte
qualche sporadico episodio di violenza
nel periodo delle prime crociate, dovuto
al fanatismo religioso che spesso
accompagnava le missioni in Terra Santa,
fino al XII secolo non vi fu
antisemitismo in Europa.
Il quadro muta sensibilmente nel XIII e
soprattutto nel XIV secolo. La massiccia
entrata dei cristiani nel campo del
commercio e dell’attività creditizia,
fino ad allora monopolio ebraico, inizia
a creare tensione fra le due religioni.
Inoltre, con il progressivo
irrigidimento della Chiesa, che risponde
alla propria crisi calandosi in una
strenua difesa di posizioni dogmatiche e
dottrinali, gli ebrei diventano un corpo
estraneo all’interno della cristianità.
In un primo tempo sono equiparati ai
pagani e devono essere convertiti (con
le buone o le cattive) ma, lentamente,
vengono sempre più assimilati agli
eretici.
Se il IV Concilio Lateranense del 1215
inizia a distinguere e separare gli
ebrei dai cristiani, obbligandoli a
vestirsi con abiti differenti, è nel XIV
secolo che avvengono vere e proprie
violenze diffuse. In Francia la
cosiddetta crociata dei pastorelli
(un misto di timori millenaristi, paura
di carestie e delinquenza comune) uccide
centinaia di ebrei nel 1320. Poi è la
diffusione della peste con l’aggravarsi
delle condizioni economiche a far sì che
vengano individuati come il capro
espiatorio perfetto.
Se durante le epidemie si pensava di
essere alla fine del mondo,
l’escatologia cristiana prevedeva che
gli ebrei si convertissero prima del
giorno del giudizio ma il popolo ebraico
era anche ritenuto responsabile
dell’uccisione di Cristo, quindi
bisognava sacrificarlo per placare l’ira
divina; le strane credenze sui poco
conosciuti riti ebraici, portavano pure
a ritenerli diffusori della peste con il
fine di avvelenare i cristiani.
Questi ragionamenti nati nel panico
delle pandemie causarono conversioni
forzate, espulsioni e uccisioni
indiscriminate in tutta Europa.
Inizialmente le autorità civili e
religiose cercarono di evitare i delitti
più efferati ma tra XVI e XVII secolo,
nell’ambito delle lotte religiose della
cristianità, violenze e abusi, se non
proprio incoraggiati, vennero comunque
ben tollerati; sia in ambiente
protestante che cattolico.
Ad esempio, con i pontificati di Paolo
IV (1555-1559) e Pio V (1566-1562)
inizia la segregazione ebraica nei
territori dello Stato della Chiesa.
Martin Lutero nel 1543 pubblica
Contro i giudei e le loro menzogne,
dove sostiene: “Bisognerebbe, per
far scomparire questa dottrina blasfema,
mettere a fuoco tutte le loro sinagoghe
[…] che si proibisca agli ebrei […]
sotto pena di morte, di lodare Dio, di
pregare, di insegnare, di cantare”;
e, nel Shem Hamephoras del 1555,
arriva a definire gli ebrei seguaci del
diavolo.
È quindi durante la prima età moderna
che l’antisemitismo si insinua nella
mentalità dell’Occidente cristiano. La
carica d’odio verso gli ebrei si
esaurirà nel XVIII secolo ma rimarrà
purtroppo latente per riesplodere in
maniera drammatica tra Otto e Novecento.
Alla fine del Medioevo nacque anche
un’altra ossessione collettiva, quella
per le streghe. Altro esempio di
personificazione di paure e
superstizioni popolari che emergono per
effetto della congiuntura sopra
accennata (soprattutto le pestilenze) e,
come nel caso delle persecuzioni degli
ebrei, vengono portate al parossismo
dalle classi dirigenti.
La magia aveva sempre caratterizzato le
società antiche; dai riti di fertilità a
quelli per propiziare il raccolto, dalle
previsioni sul clima o sul futuro, alla
medicina naturale. In pratica un “aiuto”
per tutto quello che sfuggiva alla
comprensione e al controllo umano. Ma,
se tutto ciò da una parte era utile,
dall’altra incuteva timore per il suo
carattere misterioso. In un clima di
carestie, guerre e pestilenze continue,
con quotidiani proclami contro i nemici
della fede e prediche sull’imminente
fine del mondo, chi praticava la magia o
comunque riti al di fuori della
religione ufficiale, diventava
facilmente sospetto.
Prese corpo un terrore collettivo
proprio durante le pandemie di peste del
secondo Trecento (e dal panico che ne
seguiva), ed ebbe come bersaglio
soprattutto donne; era l’avvio della
cosiddetta caccia alle streghe. Infatti
gran parte della magia popolare era
praticata dalle donne, ecco che al
timore per il magico si univa l’atavica
paura nei confronti del genere
femminile.
In tutte le società umane la
considerazione della donna ha sempre
oscillato tra la venerazione e la
repulsione; additata a portatrice di
tutti i mali e relegata a ruoli
inferiori. Questo è il caso del mondo
greco-romano e giudaico (si pensi alle
figure di Pandora e l’Eva biblica), poi
proseguito nell’Occidente cristiano.
Nonostante l’importanza attribuitale nel
Vangelo, la Chiesa ha sempre posto la
donna in un ruolo marginale e, nel corso
dei secoli, ha sviluppato un’autentica
misoginia. Tant’è che sul finire del
medioevo quando le gerarchie
ecclesiastiche si sentirono minacciate,
anche la donna, sotto le sembianze della
strega, venne inclusa tra i nemici della
cristianità.
Pertanto nel Quattrocento stregoneria e
magia saranno equiparate ufficialmente
all’eresia e quindi trattate di
conseguenza; in pratica la
legittimazione e l’incoraggiamento alla
caccia alle streghe. Caccia che
raggiungerà l’apice tra Cinquecento e
Seicento quando sarà rilanciata dalle
Chiese riformate. Sebbene tale fenomeno
si esaurisca nel XVIII secolo, si può
dire che abbia contribuito ad aggravare
sensibilmente la condizione della donna
nella società e la sua considerazione
nell’immaginario collettivo.
In definitiva un insieme di inquietudini
e angosce hanno caratterizzato la
mentalità europea nel passaggio tra
Medioevo ed Età moderna. In questi
secoli le trasformazioni economiche e
politiche hanno generato timori (per le
carestie, la peste, l’islam e le
rivolte) che si sono sommati a paure
antiche e latenti (verso la donna, gli
ebrei e la magia). In questo quadro si è
inserita l’azione del potere che,
sentendosi minacciato dal crollo
dell’antico ordine feudale, ha
amplificato e poi trasformato le
inquietudini della popolazione in
ossessioni collettive.
Tutto ciò ha inciso profondamente nella
psicologia delle donne e degli uomini
dell’epoca, contribuendo a formare un
immaginario dominato dallo scontro tra
il bene e il male, tra Dio e Satana (o i
suoi emissari: streghe, eretici,
islamici, ecc.), preludio alla fine del
mondo ritenuta imminente.
Una società segnata dalla precarietà e
dall’angoscia che si riflette ovviamente
anche nella cultura del periodo.
Nell’arte, a partire dal XIV secolo, si
diffondono temi pittorici cupi e
pessimisti, incentrati sui concetti di
morte e fine del mondo, come il
Trionfo della morte, dipinto per la
prima volta a Pisa nel 1343 e ripreso
per tutto il Quattrocento, oppure la
Danza macabra, di cui una
prima raffigurazione viene fatta a
Parigi nel 1424 e che comparirà, poi, in
tutta Europa.
Stesso discorso per il Giudizio
universale, che si caricherà di toni
sempre più drammatici come nelle
rappresentazioni di Hieronymus Bosch
(1482), di Luca Signorelli (1506) o
nella Sistina di Michelangelo (1541).
Anche la figura del Diavolo conosce in
questo periodo una maggiore diffusione;
dagli affreschi sulle volte delle
cattedrali francesi del XV secolo, alla
pittura fiamminga tra XVI e XVII secolo.
Così come nella cultura scritta demoni e
streghe caratterizzano numerose opere;
da quelle teatrali, come il Faust
di Marlowe (1581) o Macbeth di
Shakespeare (1606), a quelle letterarie,
tipo la Nave dei folli di Brant
(1494) o la novella Scipione e
Berganza di Cervantes (1616).
La demonologia è pure oggetto di saggi
provenienti dagli ambienti più colti
dell’epoca. Il più famoso e diffuso fu
il Malleus maleficarum (1486),
testo ufficiale dell’Inquisizione
cattolica ma si può citare anche La
Demonomanie des Sorciers (1580), del
filosofo Jean Bodin o Disquisitionum
magicarum (1599), dell’umanista
Martin Del Rio, fino a The Discovery
of Witches (1647) del giurista (e
cacciatore di streghe) Mathew Hopkins.
La classe dirigente del tempo fu preda
delle stesse paure della popolazione e
pertanto (forse ancor più) terrorizzata
da: fine del mondo, diavolo, streghe,
ecc. Si è accennato alle inquietudini
dei papi e della Chiesa, già dal XIV
secolo ma, le stesse ossessioni, si
ritrovano, dopo il 1517, nei
protagonisti della Riforma. Lutero era
turbato dalla presenza di Satana: “Siamo
prigionieri del diavolo come se esso
fosse nostro principe e dio […] tutto
ciò che appartiene alla nostra vita
nella carne è dunque suo dominio”.
Così come era ossessionato dalla fine
del mondo: “Si succedono in cielo
molti segni chiarissimi annuncianti come
la fine del mondo non sia lontana”.
La presenza del Maligno era reale e
minacciosa anche per Giovanni Calvino
che, nel testo Instiutio christianae
religionis (1536), scrive: “Ora
noi domandiamo di essere liberati dalla
sua potenza come dalle fauci di un leone
furioso e affamato”. Il teologo
Heinrich Bullinger (dal 1531 successore
di Zwingli nella Chiesa di Zurigo)
affermava: “Le profezie degli ultimi
tempi si sono già compiute, e perciò che
il giorno del Signore è vicino” e,
nel 1561, pubblicava un saggio dal
titolo eloquente: Cento sermoni
sull’Apocalisse. Paure che
venivano ampiamente condivise dal potere
secolare.
Solo per fare qualche esempio si può
citare Augusto di Sassonia il quale, nel
1577, convinto che l’avvistamento di una
cometa fosse preludio di immani sciagure
o della fine del mondo, fece comporre
speciali preghiere e diede ordine di
recitarle in tutte le chiese del suo
Stato. Giacomo I Stuart, re di Scozia e
d’Inghilterra, scrisse una
Meditazione sull’Apocalisse (1588),
il saggio Demonologie (1597) e,
nel 1604, autorizzò l’applicazione della
pena di morte per il reato di
stregoneria. E quasi tutti i
protagonisti della prima rivoluzione
inglese, da John Phym a Gerard
Winstanley fino a Oliver Cromwell, erano
impregnati di idee millenariste.
L’ossessione per malefizi e stregoneria,
accomunati alla lotta alle eresie,
influenzò pure la legislazione civile,
tipo la Nemesis Carolina (1532)
emanata da Carlo V nei territori
imperiali; oppure ne fu la fonte
ispiratrice come per le ordinanze di
Filippo II nei Paesi Bassi, del 1592.
Tra Seicento e Settecento le pestilenze
si fanno sempre più rare mentre il
generale miglioramento delle condizioni
economiche inizia a diminuire il timore
delle carestie. Il nuovo ordine politico
(dopo la pace di Westfalia nel 1648)
riduce i conflitti, in particolare
quelli religiosi; pertanto cala
l’ossessione per le eresie così come la
paura dell’Islam la cui espansione
inizia a rallentare (dopo l’assedio di
Vienna del 1683). Soprattutto la fine
del mondo, tanto predicata e attesa,
sembra non giungere placando lentamente
l’inquietudine popolare.
Sarà poi la rivoluzione scientifica a
far cessare i timori circa la magia e,
di conseguenza, per streghe e demoni.
L’angoscia che aveva caratterizzato
l’Occidente cristiano per più di tre
secoli perde intensità; entrando nel
pieno dell’età moderna si è creato un
nuovo ordine. Alcune paure dei secoli
precedenti scompaiono del tutto, altre
si affievoliscono restando però latenti
nell’inconscio collettivo fino al XX
secolo quando, nuove congiunture e nuove
ossessioni del potere, le riporteranno
alla luce.
Riferimenti bibliografici:
Delumeau Jean, La paura in Occidente,
SEI - Società Editrice Internazionale,
Milano 1979.
Frugoni Chiara, Paure medievali,
Il Mulino, Bologna 2020. |