[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

162 / GIUGNO 2021 (CXCIII)


medievale

LA PAURA NEL RINASCIMENTO

TIMORI E INQUIETUDINI NELL’OCCIDENTE CRISTIANO

di Marco Fossati

  

Si può definire la paura come una sensazione sgradevole che nasce da un pericolo reale e presente o che si presume stia per accadere in futuro; è un istinto naturale dell’uomo, lo tiene vigile nei confronti delle avversità. Tale meccanismo funziona anche a livello collettivo; la paura si diffonde in una popolazione se gran parte dei suoi membri condivide l’angoscia circa uno o più pericoli (o presunti tali) e ne influenza comportamenti e reazioni. Ciò che è avvenuto in Europa a partire dagli ultimi secoli medievali e per gran parte dell’Età moderna (dal XIV al XVII secolo), quando una serie di inquietudini collettive giocarono un ruolo non trascurabile nella storia del Continente.

 

Fino ad alcuni decenni fa, a livello storico, si parlava ancora diffusamente della cosiddetta “paura dell’anno Mille”. Ovvero si riteneva che in Europa, intorno a quella data, fosse diffuso il terrore per la fine del mondo e questo avesse in un certo senso condizionato anche la relativa arretratezza economico-culturale dei secoli alto medievali. Infatti, secondo l’Apocalisse di San Giovanni, dopo mille anni dalla nascita di Cristo, Satana si sarebbe liberato e avrebbe portato il male sulla terra, prima della seconda venuta di Dio e del giudizio universale (millenarismo).

 

La ricerca storica recente ha ridimensionato e soprattutto ha ricollocato la “paura dell’anno Mille”. In realtà l’angoscia per la fine del mondo esistette veramente e condizionò notevolmente le popolazioni europee, ma si manifestò tra XIV e XV secolo. Ovviamente la fine della storia umana e il conseguente giudizio universale, erano temi noti e oggetto di discussione all’interno della Chiesa sino dalla tarda antichità. È durante il periodo delle crociate (XI-XII secolo), però, che l’escatologia (dottrina dei fini ultimi dell’uomo) inizia a uscire dalle dotte polemiche dei chierici e viene utilizzata per motivare i partenti verso Gerusalemme; secondo alcune profezie prima della fine del mondo, ci sarebbe stato lo scontro finale tra i fedeli di Cristo e l’Anticristo, con i suoi seguaci, nei pressi della Città Santa.

 

Infatti: «Nel Medioevo in generale il musulmano fu visto come l’aggressore, il nemico e insieme, in quanto infedele, il malvagio alleato di Satana. […] In effetti i musulmani sono spesso rappresentati con la pelle scura come i diavoli» (Frugoni). Le inquietudini escatologiche iniziano così a diffondersi lentamente tra la popolazione, salendo di tono nei secoli successivi.

 

Tra XII e XIII secolo, in Europa, si sviluppa una nuova spiritualità che si integra a fatica con la dottrina e le istituzioni ecclesiastiche. Se da una parte il nuovo sentimento religioso porterà alla nascita degli ordini mendicanti, dove la critica riguardante l’opera della Chiesa rimarrà limitata, dall’altra sfocerà in movimenti popolari di aperta protesta verso le gerarchie ecclesiastiche e di contestazione o rifiuto, di aspetti dottrinali e teologici.

 

Bisogna anche ricordare che le aspirazioni religiose spesso si confondevano o nascevano, da rivendicazioni sociali o da proteste per il riconoscimento di diritti e privilegi di particolari comunità, coinvolgendo anche il potere civile. Infatti, nel corso del XIII secolo, si può individuare l’inizio del lungo processo di formazione degli stati nazionali che determina una riorganizzazione del potere a livello locale (con la nascita di comuni e signorie), in un quadro di progressivo sgretolamento dell’ordine medievale. Ne deriva una maggiore instabilità politica.

 

In questo scenario la reazione della Chiesa alla nascita di movimenti eterodossi è sulla falsariga di quanto già avvenuto per le crociate, ovvero richiamare all’unità i fedeli per far fronte comune al nemico. Sebbene ora i nemici siano interni; coloro che rifiutano la dottrina e attaccano le gerarchie ecclesiastiche, gli eretici. Nel 1215 papa Innocenzo III, esortando tutti i principi cristiani alla difesa dell’ortodossia, proclama di fatto la crociata anche contro le eresie; il passo successivo sarà la formazione di tribunali misti (religiosi e laici), adibiti al giudizio sulla condotta dei credenti, l’Inquisizione; istituita ufficialmente da Gregorio IX nel 1232.

 

Riprendendo i temi e i modi delle crociate si utilizzano le stesse categorie interpretative, creando un filo logico con quanto si era predicato per le missioni in Terra Santa. Diventa automatica l’identificazione dell’eresia come strumento di Satana e gli eretici come suoi emissari, equiparandoli agli islamici o ai pagani. Il tutto in un’atmosfera da giorno del giudizio sempre più imminente. Ne consegue un crescendo di inquietudine tra la popolazione causata anche dai numerosi conflitti, lunghi e violenti, che tale situazione genera in tutta Europa. Dalla crociata contro gli albigesi nella Francia meridionale (1208-1213), alle battaglie contro gli eretici dei Balcani (1227-1234) o le spedizioni dei cavalieri teutonici in Polonia e Prussia nella seconda metà del XIII secolo; solo per citare i principali.

 

Le eresie e la conseguente repressione altro non erano che i primi segnali di crisi della Chiesa come istituzione. Una crisi che esplode nel XIV secolo, manifestandosi chiaramente agli occhi dei fedeli. Prima con il trasferimento (forzato) della sede papale ad Avignone e poi, tra il 1378 e il 1417, con il cosiddetto Grande Scisma ovvero l’elezione contemporanea di due papi (ad Avignone e a Roma), uno in opposizione all’altro, che determina una divisione drammatica nella cristianità, dato che entrambi i pontefici, scambiandosi reciproche accuse di eresia, scomunicano la parte di popolazione che non li riconosce; mentre ciascuna parte accusa l’altra di essere guidata dall’Anticristo.

 

«Tali accuse lanciate e ripetute da un capo all’altro dell’Occidente (sempre più di frequente in lingua volgare) non potevano che suscitare un’atmosfera da fine del mondo» (Delumeau); diffusa e rafforzata dai numerosi predicatori itineranti, che avevano un notevole seguito tra la popolazione. Si erano in pratica poste le basi per la formazione di un clima di guerra o da stato d’assedio, permanente. Senza dimenticare che dopo il 1291 con la caduta di San Giovanni d’Acri e la fine degli Stati latini d’Oltremare, non solo si evidenzia il fallimento delle crociate propriamente dette ma aumenta notevolmente la paura dell’espansione islamica. Nemici interni ed esterni dunque, che vengono rappresentati sempre più come manifestazione delle forze del male al servizio del diavolo.

 

Se fino alla metà del XIV secolo le inquietudini erano soprattutto giunte dalle politiche e dalla propaganda del potere (religioso e civile) che cercava di mantenere la presa su una società in mutamento, nel corso del Trecento alcuni eventi con un impatto più sensibile nella vita materiale, portano a far emergere una serie di timori latenti nella popolazione; saldandosi alle ossessioni della classe dirigente danno l’avvio a più di tre secoli di paura generalizzata e diffusa a tutti i livelli della società.

 

Un primo aspetto che bisogna sottolineare riguarda la sfera economico-sociale. A partire dal Duecento, l’Europa, inizia a passare da un sistema di produzione di tipo feudale, con una scarsa circolazione dei beni e un’ancora più scarsa circolazione monetaria, il cui obiettivo principale è la sussistenza, a un sistema sempre più basato sui commerci e sull’utilizzo del denaro e una produzione che si rivolge al mercato in cerca di profitto; tanto che per i secoli rinascimentali alcuni storici già parlano di economia pre-capitalista.

 

Questo passaggio non fu ovviamente indolore dato che contribuì (complici condizioni climatiche sfavorevoli) a frequenti carestie nelle campagne mentre, nelle città, le oscillazioni sui costi delle materie prime, i problemi legati alla carenza o all’eccessiva manodopera, creavano forti squilibri nelle attività artigianali (oltre a difficoltà di approvvigionamento dei beni essenziali, visto l’incremento notevole della popolazione urbana). Pertanto un relativo aumento del rischio di povertà rispetto ai secoli precedenti, che si traduceva nella paura collettiva della fame. Paura che generava rivolte più o meno spontanee (a volte innescate dall’introduzione di nuove tasse), che a loro volta generavano altre paure a seconda del ceto a cui si apparteneva o del luogo dove si viveva: di vagabondi e briganti nelle campagne, di mendicanti e disoccupati nelle città, delle masse in tumulto o delle repressioni in generale.

 

Si possono citare alcuni esempi: dalla cosiddetta Jacquerie, la ribellione contadina nella Francia del Nord alla metà del XIV secolo, alla rivolta urbana dei lavoratori del tessile (i Ciompi) a Firenze nel 1378, fino alle sommosse seguite all’introduzione della pool-tax in Inghilterra (1381), che si confusero, come detto sopra, con rivendicazioni religiose (la predicazione di John Wycliff) e finirono per essere combattute come movimento eretico; così come le rivolte politico-sociali in Boemia (1414-1434) furono associate all’eresia di Jean Huss prima e dei taboristi dopo. Gli esempi si moltiplicano se si guardano i secoli successivi quando si creerà un altro e ben più grave conflitto all’interno della cristianità con la Riforma luterana. Il timore di rivolte e sedizioni e delle conseguenti repressioni, sarà una costante nella mentalità popolare dell’Età moderna.

 

Il secondo elemento che contribuì ad aumentare sensibilmente la paura collettiva, dando origine a esplosioni spontanee di violenza, fu il ritorno della peste. A partire dal 1348 la malattia si diffonde – dal Mar Nero – rapidamente in tutta Europa e, nel giro di pochi anni, causa la morte di oltre un terzo della popolazione. Morbo cronico e ricorrente provocava nelle comunità uno stato di ansia continua. Ma era la sua letalità, oltre l’80% dei contagiati moriva e l’estrema facilità e velocità di trasmissione (un ammalato in famiglia significava spesso la morte di tutti i componenti nel giro di qualche giorno) a creare angoscia; a cui si aggiungeva il terrore che incutevano i sintomi esteriori della malattia: spasmi, delirio, piaghe e bubboni sul corpo, membra gonfie, pelle nerastra o violacea.

 

«“In periodi di peste, come in guerra, la morte di un uomo avveniva in condizioni insopportabili di orrore, di anarchia e di abbandono degli usi più profondamente radicati nell’inconscio collettivo» (Delumeau). La morte perde la sua sacralità e diviene anonima e di massa. Pesanti furono le conseguenze economico-sociali ma furono ancora più devastanti le conseguenze dal punto di vista psicologico; il morbo amplificava tutte le inquietudini, soprattutto quella per la fine del mondo di cui sembrava esserne il preludio.

 

Si cercava una spiegazione alla tragedia per poterla affrontare. Che la malattia fosse causata dai peccati degli uomini e dall’ira di Dio, era il timore più diffuso così come si pensava all’azione delle forze del male inviate da Satana. Ne derivava una ossessiva ricerca dei colpevoli (capri espiatori) in un crescendo di scoppi d’ira collettiva; se spesso l’aggressività si concentrava su stranieri, malati di mente, o su quanti non erano ben integrati nella comunità, ancora più spesso si rivolgeva contro due bersagli particolari, gli ebrei e le streghe.

 

Sugli ebrei pesava una diffidenza secolare che nasceva da una contrapposizione su questioni religiose essenziali. Il loro modo di vita poi, gruppi chiusi poco propensi ad accettare gli usi e i costumi delle comunità circostanti, incuteva un certo timore ed era fonte di maldicenze (ad esempio si credeva che praticassero sacrifici rituali). Molti ebrei svolgevano lavori considerati sconvenienti in ambiente cristiano, soprattutto l’attività bancaria. Nonostante ciò, a parte qualche sporadico episodio di violenza nel periodo delle prime crociate, dovuto al fanatismo religioso che spesso accompagnava le missioni in Terra Santa, fino al XII secolo non vi fu antisemitismo in Europa.

 

Il quadro muta sensibilmente nel XIII e soprattutto nel XIV secolo. La massiccia entrata dei cristiani nel campo del commercio e dell’attività creditizia, fino ad allora monopolio ebraico, inizia a creare tensione fra le due religioni. Inoltre, con il progressivo irrigidimento della Chiesa, che risponde alla propria crisi calandosi in una strenua difesa di posizioni dogmatiche e dottrinali, gli ebrei diventano un corpo estraneo all’interno della cristianità. In un primo tempo sono equiparati ai pagani e devono essere convertiti (con le buone o le cattive) ma, lentamente, vengono sempre più assimilati agli eretici.

 

Se il IV Concilio Lateranense del 1215 inizia a distinguere e separare gli ebrei dai cristiani, obbligandoli a vestirsi con abiti differenti, è nel XIV secolo che avvengono vere e proprie violenze diffuse. In Francia la cosiddetta crociata dei pastorelli (un misto di timori millenaristi, paura di carestie e delinquenza comune) uccide centinaia di ebrei nel 1320. Poi è la diffusione della peste con l’aggravarsi delle condizioni economiche a far sì che vengano individuati come il capro espiatorio perfetto.

 

Se durante le epidemie si pensava di essere alla fine del mondo, l’escatologia cristiana prevedeva che gli ebrei si convertissero prima del giorno del giudizio ma il popolo ebraico era anche ritenuto responsabile dell’uccisione di Cristo, quindi bisognava sacrificarlo per placare l’ira divina; le strane credenze sui poco conosciuti riti ebraici, portavano pure a ritenerli diffusori della peste con il fine di avvelenare i cristiani.

 

Questi ragionamenti nati nel panico delle pandemie causarono conversioni forzate, espulsioni e uccisioni indiscriminate in tutta Europa. Inizialmente le autorità civili e religiose cercarono di evitare i delitti più efferati ma tra XVI e XVII secolo, nell’ambito delle lotte religiose della cristianità, violenze e abusi, se non proprio incoraggiati, vennero comunque ben tollerati; sia in ambiente protestante che cattolico.

 

Ad esempio, con i pontificati di Paolo IV (1555-1559) e Pio V (1566-1562) inizia la segregazione ebraica nei territori dello Stato della Chiesa. Martin Lutero nel 1543 pubblica Contro i giudei e le loro menzogne, dove sostiene: “Bisognerebbe, per far scomparire questa dottrina blasfema, mettere a fuoco tutte le loro sinagoghe […] che si proibisca agli ebrei […] sotto pena di morte, di lodare Dio, di pregare, di insegnare, di cantare”; e, nel Shem Hamephoras del 1555, arriva a definire gli ebrei seguaci del diavolo.

 

È quindi durante la prima età moderna che l’antisemitismo si insinua nella mentalità dell’Occidente cristiano. La carica d’odio verso gli ebrei si esaurirà nel XVIII secolo ma rimarrà purtroppo latente per riesplodere in maniera drammatica tra Otto e Novecento.

 

Alla fine del Medioevo nacque anche un’altra ossessione collettiva, quella per le streghe. Altro esempio di personificazione di paure e superstizioni popolari che emergono per effetto della congiuntura sopra accennata (soprattutto le pestilenze) e, come nel caso delle persecuzioni degli ebrei, vengono portate al parossismo dalle classi dirigenti.

 

La magia aveva sempre caratterizzato le società antiche; dai riti di fertilità a quelli per propiziare il raccolto, dalle previsioni sul clima o sul futuro, alla medicina naturale. In pratica un “aiuto” per tutto quello che sfuggiva alla comprensione e al controllo umano. Ma, se tutto ciò da una parte era utile, dall’altra incuteva timore per il suo carattere misterioso. In un clima di carestie, guerre e pestilenze continue, con quotidiani proclami contro i nemici della fede e prediche sull’imminente fine del mondo, chi praticava la magia o comunque riti al di fuori della religione ufficiale, diventava facilmente sospetto.

 

Prese corpo un terrore collettivo proprio durante le pandemie di peste del secondo Trecento (e dal panico che ne seguiva), ed ebbe come bersaglio soprattutto donne; era l’avvio della cosiddetta caccia alle streghe. Infatti gran parte della magia popolare era praticata dalle donne, ecco che al timore per il magico si univa l’atavica paura nei confronti del genere femminile.

 

In tutte le società umane la considerazione della donna ha sempre oscillato tra la venerazione e la repulsione; additata a portatrice di tutti i mali e relegata a ruoli inferiori. Questo è il caso del mondo greco-romano e giudaico (si pensi alle figure di Pandora e l’Eva biblica), poi proseguito nell’Occidente cristiano. Nonostante l’importanza attribuitale nel Vangelo, la Chiesa ha sempre posto la donna in un ruolo marginale e, nel corso dei secoli, ha sviluppato un’autentica misoginia. Tant’è che sul finire del medioevo quando le gerarchie ecclesiastiche si sentirono minacciate, anche la donna, sotto le sembianze della strega, venne inclusa tra i nemici della cristianità.

 

Pertanto nel Quattrocento stregoneria e magia saranno equiparate ufficialmente all’eresia e quindi trattate di conseguenza; in pratica la legittimazione e l’incoraggiamento alla caccia alle streghe. Caccia che raggiungerà l’apice tra Cinquecento e Seicento quando sarà rilanciata dalle Chiese riformate. Sebbene tale fenomeno si esaurisca nel XVIII secolo, si può dire che abbia contribuito ad aggravare sensibilmente la condizione della donna nella società e la sua considerazione nell’immaginario collettivo.

 

In definitiva un insieme di inquietudini e angosce hanno caratterizzato la mentalità europea nel passaggio tra Medioevo ed Età moderna. In questi secoli le trasformazioni economiche e politiche hanno generato timori (per le carestie, la peste, l’islam e le rivolte) che si sono sommati a paure antiche e latenti (verso la donna, gli ebrei e la magia). In questo quadro si è inserita l’azione del potere che, sentendosi minacciato dal crollo dell’antico ordine feudale, ha amplificato e poi trasformato le inquietudini della popolazione in ossessioni collettive.

 

Tutto ciò ha inciso profondamente nella psicologia delle donne e degli uomini dell’epoca, contribuendo a formare un immaginario dominato dallo scontro tra il bene e il male, tra Dio e Satana (o i suoi emissari: streghe, eretici, islamici, ecc.), preludio alla fine del mondo ritenuta imminente.

 

Una società segnata dalla precarietà e dall’angoscia che si riflette ovviamente anche nella cultura del periodo. Nell’arte, a partire dal XIV secolo, si diffondono temi pittorici cupi e pessimisti, incentrati sui concetti di morte e fine del mondo, come il Trionfo della morte, dipinto per la prima volta a Pisa nel 1343 e ripreso per tutto il Quattrocento, oppure la Danza macabra, di cui una prima raffigurazione viene fatta a Parigi nel 1424 e che comparirà, poi, in tutta Europa.

 

Stesso discorso per il Giudizio universale, che si caricherà di toni sempre più drammatici come nelle rappresentazioni di Hieronymus Bosch (1482), di Luca Signorelli (1506) o nella Sistina di Michelangelo (1541). Anche la figura del Diavolo conosce in questo periodo una maggiore diffusione; dagli affreschi sulle volte delle cattedrali francesi del XV secolo, alla pittura fiamminga tra XVI e XVII secolo. Così come nella cultura scritta demoni e streghe caratterizzano numerose opere; da quelle teatrali, come il Faust di Marlowe (1581) o Macbeth di Shakespeare (1606), a quelle letterarie, tipo la Nave dei folli di Brant (1494) o la novella Scipione e Berganza di Cervantes (1616).

 

La demonologia è pure oggetto di saggi provenienti dagli ambienti più colti dell’epoca. Il più famoso e diffuso fu il Malleus maleficarum (1486), testo ufficiale dell’Inquisizione cattolica ma si può citare anche La Demonomanie des Sorciers (1580), del filosofo Jean Bodin o Disquisitionum magicarum (1599), dell’umanista Martin Del Rio, fino a The Discovery of Witches (1647) del giurista (e cacciatore di streghe) Mathew Hopkins.

 

La classe dirigente del tempo fu preda delle stesse paure della popolazione e pertanto (forse ancor più) terrorizzata da: fine del mondo, diavolo, streghe, ecc. Si è accennato alle inquietudini dei papi e della Chiesa, già dal XIV secolo ma, le stesse ossessioni, si ritrovano, dopo il 1517, nei protagonisti della Riforma. Lutero era turbato dalla presenza di Satana: “Siamo prigionieri del diavolo come se esso fosse nostro principe e dio […] tutto ciò che appartiene alla nostra vita nella carne è dunque suo dominio”. Così come era ossessionato dalla fine del mondo: “Si succedono in cielo molti segni chiarissimi annuncianti come la fine del mondo non sia lontana”.

 

La presenza del Maligno era reale e minacciosa anche per Giovanni Calvino che, nel testo Instiutio christianae religionis (1536), scrive: “Ora noi domandiamo di essere liberati dalla sua potenza come dalle fauci di un leone furioso e affamato”. Il teologo Heinrich Bullinger (dal 1531 successore di Zwingli nella Chiesa di Zurigo) affermava: “Le profezie degli ultimi tempi si sono già compiute, e perciò che il giorno del Signore è vicino” e, nel 1561, pubblicava un saggio dal titolo eloquente: Cento sermoni sull’Apocalisse. Paure che venivano ampiamente condivise dal potere secolare.

 

Solo per fare qualche esempio si può citare Augusto di Sassonia il quale, nel 1577, convinto che l’avvistamento di una cometa fosse preludio di immani sciagure o della fine del mondo, fece comporre speciali preghiere e diede ordine di recitarle in tutte le chiese del suo Stato. Giacomo I Stuart, re di Scozia e d’Inghilterra, scrisse una Meditazione sull’Apocalisse (1588), il saggio Demonologie (1597) e, nel 1604, autorizzò l’applicazione della pena di morte per il reato di stregoneria. E quasi tutti i protagonisti della prima rivoluzione inglese, da John Phym a Gerard Winstanley fino a Oliver Cromwell, erano impregnati di idee millenariste.

 

L’ossessione per malefizi e stregoneria, accomunati alla lotta alle eresie, influenzò pure la legislazione civile, tipo la Nemesis Carolina (1532) emanata da Carlo V nei territori imperiali; oppure ne fu la fonte ispiratrice come per le ordinanze di Filippo II nei Paesi Bassi, del 1592.

 

Tra Seicento e Settecento le pestilenze si fanno sempre più rare mentre il generale miglioramento delle condizioni economiche inizia a diminuire il timore delle carestie. Il nuovo ordine politico (dopo la pace di Westfalia nel 1648) riduce i conflitti, in particolare quelli religiosi; pertanto cala l’ossessione per le eresie così come la paura dell’Islam la cui espansione inizia a rallentare (dopo l’assedio di Vienna del 1683). Soprattutto la fine del mondo, tanto predicata e attesa, sembra non giungere placando lentamente l’inquietudine popolare.

 

Sarà poi la rivoluzione scientifica a far cessare i timori circa la magia e, di conseguenza, per streghe e demoni. L’angoscia che aveva caratterizzato l’Occidente cristiano per più di tre secoli perde intensità; entrando nel pieno dell’età moderna si è creato un nuovo ordine. Alcune paure dei secoli precedenti scompaiono del tutto, altre si affievoliscono restando però latenti nell’inconscio collettivo fino al XX secolo quando, nuove congiunture e nuove ossessioni del potere, le riporteranno alla luce.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Delumeau Jean, La paura in Occidente, SEI - Società Editrice Internazionale, Milano 1979.

Frugoni Chiara, Paure medievali, Il Mulino, Bologna 2020.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]