N. 53 - Maggio 2012
(LXXXIV)
TIMOLEONTE
Il mito del “liberatore della Sicilia"
di Massimo Manzo
Il
corinzio
Timoleonte
è
uno
dei
protagonisti
indiscussi
delle
vicende
politiche
siciliane
del
IV
secolo
avanti
Cristo,
che
portarono
al
rovesciamento
della
tirannide
a
Siracusa,
alla
sconfitta
della
minaccia
cartaginese
e al
ripopolamento
dell’isola
dopo
vent’anni
di
crisi
e
guerre
intestine.
Proprio
per
questi
motivi
l’immagine
che
ce
ne
hanno
lasciato
le
fonti
è
quella
dell’eroe
“saggio”
per
eccellenza,
favorito
dalla
fortuna,
nemico
dei
tiranni,
privo
di
ambizioni
personali
e
dedito
solo
al
perseguimento
degli
interessi
generali
dei
greci
di
Sicilia.
Nato
intorno
al
409
a.
C.
da
una
delle
più
influenti
famiglie
dell’aristocrazia
corinzia,
Timoleonte,
in
qualità
di
comandante
militare,
partecipò
in
gioventù
alle
convulse
vicende
politiche
della
sua
città,
in
un
periodo
caratterizzato
dal
tramonto
della
potenza
spartana
e
dall’affermazione
della
breve
egemonia
di
Tebe
in
Grecia,
che
anche
a
Corinto
portò
al
contrapporsi
feroce
tra
la
fazione
oligarghica
filospartana
e
quella
democratica
filotebana,
alla
quale
con
tutta
probabilità
Timoleonte
apparteneva.
La
situazione
di
Corinto
era
d’altronde
emblematica
della
crisi
attraversata
dalle
poleis
nel
IV
secolo,
che
porterà
di
li a
poco
al
tramonto
dell’indipendenza
di
quasi
tutte
le
città
stato
greche
e al
sorgere
dell’egemonia
macedone
sull’Ellade.
Nell’ambito
di
queste
continue
e
violente
lotte
Timoleonte
prese
parte
all’uccisione
del
fratello
maggiore
Timofane,
il
quale,
aiutato
da
truppe
mercenarie,
nel
364
aveva
provato
ad
assurgere
alla
tirannide
occupando
l’Acrocorinto
(ovvero
l’acropoli
di
Corinto).
Il
fratricidio,
se
da
un
lato
testimoniò
l’avversione
di
Timoleonte
per
i
tiranni,
dall’altro
scatenò
sentimenti
contrastanti
in
città,
tanto
da
comportare
il
suo
ritiro
dalla
vita
pubblica
per
ben
20
anni.
Stando
a
Plutarco
l’isolamento
fu
una
sorta
di
esilio
“volontario”,
dettato
dal
rimorso
di
aver
compiuto
un
atto
empio,
anche
se
necessario
a
salvare
la
libertà.
In
realtà
potrebbe
testimoniare
il
prevalere
della
fazione
politica
dei
suoi
oppositori.
La
spedizione
in
Sicilia
e la
presa
di
Siracusa
Fu
solo
nel
346
che
l’ormai
anziano
Timoleonte
fu
nominato
dai
suoi
concittadini
comandante
in
capo
della
spedizione
in
Sicilia,
in
seguito
alle
richieste
di
aiuto
che
i
Siracusani
avevano
avanzato
alla
madrepatria
Corinto
per
riportare
ordine
nell’
intricata
situazione
siciliana.
La
scelta
ricadeva
su
di
lui
non
solo
per
l’
evidente
avversione
che
nutriva
contro
la
tirannide,
ma
anche
per
allontanare
definitivamente
un
cittadino
“scomodo”,
evidentemente
ancora
temuto
dall’oligarchia
corinzia.
Nell’accettare
di
imbarcarsi
in
quest’ardua
impresa,
Timoleonte
sperava
così
di
affermare
almeno
in
Sicilia
gli
ideali
democratici
per
cui
si
era
tanto
battuto
in
patria.
Fra
il
353
e il
346
a.C.,
dopo
l’assassinio
di
Dione,
che
aveva
esiliato
il
tiranno
Dionisio
II,
Siracusa
era
infatti
precipitata
in
una
serie
di
conflitti
interni,
ed
era
stata
governata
prima
da
Callipo,
poi
da
Ipparino,
da
Niseo
e
infine
ancora
una
volta
da
Dionisio
II,
che
con
l’appoggio
di
truppe
mercenarie
aveva
riconquistato
il
potere.
Come
sintetizza
efficacemente
Plutarco,
ponendo
l’accento
sulle
devastazioni
che
accompagnarono
tali
rivolgimenti
politici,
“poco
mancò
che
la
città,
passando
continuamente
da
un
tiranno
all’altro,
non
rimanesse
deserta
per
il
gran
numero
di
sventure
subite”.
Il
resto
della
Sicilia
greca
non
era
in
una
condizione
migliore,
ma
soffriva
anch’essa
un
periodo
di
grave
crisi
economica
conseguente
alle
continue
guerre.
Di
fronte
a
tale
situazione,
quando
ancora
i
Corinzi
non
si
erano
decisi
a
prestare
il
proprio
soccorso,
l’oligarchia
siracusana
si
era
inoltre
rivolta
al
signore
di
Leontini,
Iceta,
che
con
l’aiuto
cartaginese
era
riuscito
a
confinare
Dionisio
nell’Ortigia,
controllando
il
resto
della
città.
Si
trattava
quindi,
per
Timoleonte,
di
ristabilire
l’ordine
in
un
contesto
particolarmente
insidioso,
in
cui
la
chiamata
in
causa
di
Cartagine
da
parte
di
Iceta
costituiva
un
ulteriore
ostacolo
al
perseguimento
dei
suoi
obiettivi.
Sia
i
Cartaginesi
che
Iceta
erano
infatti
determinati
ad
impedire
qualsiasi
intervento
corinzio
in
Sicilia.
Per
di
più
le
forze
affidate
a
Timoleonte
per
la
spedizione
erano
talmente
esigue
(appena
10
navi
e
700
soldati
all’inizio,
cui
si
aggiunsero
solo
dopo
2.000
fanti
e
200
cavalieri
agli
ordini
di
Demareto
e
Dinarco)
da
rendere
quasi
impossibili
le
probabilità
di
successo.
Nessuno
poteva
quindi
immaginare
quali
folgoranti
successi
attendessero
il
corinzio,
nonostante
i
presagi
gli
fossero
favorevoli.
La
fortuna,
da
quel
momento
in
poi,
non
abbandonerà
mai
più
il
Corinzio.
Racconta
infatti
Plutarco
che,
recatosi
a
Delfi
poco
prima
della
partenza,
“sacrificò
al
dio,
e
quando
discese
nel
Santuario
dell’oracolo
gli
fu
dato
un
segno.
Infatti
una
benda
con
ricamate
delle
corone
e
delle
Vittorie
si
staccò
dalle
offerte
votive
che
erano
lì
appese
e si
posò
sul
capo
di
Timoleonte:
sembrò
così
che
egli
fosse
inviato
alla
spedizione
coronato
dal
dio”.
Partito
nel
344,
eludendo
con
abili
stratagemmi
per
ben
due
volte
la
flotta
cartaginese,
Timoleonte
riuscì
quindi
a
sbarcare
prima
a
Reghion
e
poi
a
Tauromenio
(l’attuale
Taormina),
dove
fu
accolto
da
Andromaco,
signore
della
città,
che
da
allora
divenne
uno
dei
suoi
più
fedeli
alleati.
Il
caso
volle
che
lo
storico
Timeo,
grande
estimatore
del
Corinzio
e ai
cui
scritti
si
ispireranno
gli
storici
successivi,
fosse
proprio
il
figlio
del
fido
Andromaco.
Le
mosse
successive
di
Timoleonte
furono
rapide
ed
efficaci,
e
mostrarono
insieme
le
sue
innate
qualità
di
comandante
militare
e di
diplomatico.
Pur
se
in
inferiorità
numerica,
ottenne
infatti
il
suo
primo
importante
successo
militare:
sconfisse
le
forze
di
Iceta,
impossessandosi
della
città
di
Adranon,
alle
falde
dell’Etna,
e
intavolando
negoziati
con
Dionisio,
si
assicurò
la
consegna
dell’Ortigia
e
della
rocca
di
Siracusa
in
cui
si
trovavano
i
mercenari
dell’ex
tiranno,
che
da
allora
furono
presidiate
dai
corinzi.
Dionisio,
ormai
in
una
situazione
quasi
disperata,
ebbe
salva
la
vita
e fu
esiliato
a
Corinto,
dove
rimarrà
fino
alla
morte.
Il
successivo
accordo
tra
Timoleonte
e
Iceta
portò
infine
al
ritiro
della
flotta
e
dell’esercito
cartaginese
guidato
da
Magone,
e
permise
al
comandante
corinzio
di
prendere
possesso
di
Siracusa
nell’autunno
del
343,
mentre
Iceta
accettava
di
ritirarsi
a
Leontini.
Uno
dei
primi
atti
significativi
intrapresi
a
Siracusa
fu
l’abbattimento
della
fortezza
dell’Ortigia,
da
sempre
simbolo
del
potere
esercitato
dai
tiranni,
e la
costruzione
al
suo
posto
di
tribunali.
Si
trattò
di
un
atto
simbolico,
per
testimoniare
fin
da
subito
la
ferma
intenzione
del
corinzio
di
guadagnarsi
le
simpatie
dei
Siracusani,
evitando
che
la
sua
figura
fosse
accostata
a
quella
di
un
nuovo
autocrate.
A
questa
iniziativa
propagandistica
si
affiancarono
le
prime
riforme
legislative,
ispirate
agli
ideali
dei
democratici
Siracusani,
che
consistettero
nella
concessione
di
diritti
civili
e
politici
ai
cittadini
e
nella
ridistribuzione
delle
terre
e
delle
proprietà.
Altrettanto
importante
fu
inoltre
l’inizio
di
un
vasto
programma
di
ripopolamento
(prima
solo
di
Siracusa
e
poi
del
resto
della
Sicilia),
che
Timoleonte
continuerà
negli
anni
successivi
e
che
consistette
in
una
vasta
immigrazione
dalla
Grecia
e
dall’Italia
meridionale.
Questa
sorta
di
“nuova
colonizzazione”,
di
cui
rimangono
testimonianze
archeologiche
significative,
fu
uno
dei
motivi
principali
della
successiva
rifioritura
economica
della
Sicilia,
che
potè
così
dare
nuovo
impulso
all’agricoltura
e
alle
attività
economiche
dopo
un
lungo
periodo
di
povertà
e
crisi.
La
guerra
contro
Cartagine
Nel
342,
una
volta
stabilizzato
il
proprio
potere
a
Siracusa
e
approfittando
della
temporanea
debolezza
politica
di
Cartagine,
forse
dovuta
al
colpo
di
stato
tentato
da
Annone,
Timoleonte
intraprese
una
vasta
offensiva
anticartaginese
nella
parte
occidentale
dell’isola,
riuscendo
a
conquistare
in
poco
tempo
Entella
e
devastando
buona
parte
dell’epicrazia
(ovvero
del
territorio
tradizionalmente
sotto
il
controllo
cartaginese).
Il
perno
di
questa
“guerra
di
liberazione”
della
Sicilia
fu
la
costituzione
di
una
symmachia,
cioè
di
una
vasta
alleanza
militare
che
riunì
intorno
a
Siracusa
sia
le
città
greche
dell’isola
(tra
cui
la
stessa
Leontini
governata
da
Iceta),
che
le
comunità
autoctone
siciliane,
ovvero
le
città
dei
siculi
e
dei
sicani,
e
persino
alcuni
insediamenti
allora
controllati
da
comunità
di
mercenari
campani.
Si
trattava
però
di
un’alleanza
paritaria,
in
cui
sia
i
greci
che
gli
autoctoni
godevano
degli
stessi
diritti
ed
erano
uniti
nel
comune
intento
di
riaffermare
la
propria
autonomia
e
libertà
di
fronte
al
nemico
cartaginese.
In
questo
senso
la
propaganda
timoleontea
giocò
un
ruolo
fondamentale.
Intelligentemente
il
corinzio,
pur
perseguendo
fini
di
fatto
espansionistici,
riusciva
infatti
ancora
una
volta
a
porsi
in
discontinuità
rispetto
alle
politiche
dei
precedenti
tiranni
siracusani,
che
non
avevano
mai
nascosto
i
loro
intenti
egemonici,
e
così
facendo
si
assicurava
preziosi
alleati.
La
prevedibile
risposta
punica
fu
spaventosa:
nel
339,
agli
ordini
di
Asdrubale
e
Amilcare,
sbarcò
a
Lylibaion
(odierna
Marsala)
un
imponente
contingente
cartaginese,
deciso
ad
annientare
una
volta
per
tutte
le
forze
di
Timoleonte.
Si
trattava
di
un
esercito
di
70.000
uomini,
che
con
la
loro
controffensiva,
stando
a
Plutarco
sufficiente
a
“vincere
tutti
i
sicelioti”,
avrebbero
potuto
cacciare
definitivamente
i
greci
dalla
Sicilia.
Composto
in
prevalenza
da
mercenari,
tale
esercito
includeva
anche
una
forza
d’élite,
ovvero
il
cosiddetto
“battaglione
sacro”,
interamente
formato
da
cittadini
cartaginesi.
Dall’altra
parte
il
corinzio
poteva
contare
su
una
forza
di
gran
lunga
più
esigua,
che
dopo
aver
subito
la
diserzione
di
un
migliaio
di
mercenari,
era
quantificabile
in
dodicimila
o
tredicimila
uomini.
Per
nulla
scosso
e
nonostante
fosse
ormai
in
età
molto
avanzata,
Timoleonte,
dirigendosi
verso
Segesta,
ingaggiò
battaglia
attaccando
a
sorpresa
l’esercito
avversario
presso
il
fiume
Crimiso,
dove
riuscì
ad
annientarne
le
forze
ottenendo
una
vittoria
folgorante.
Con
una
mossa
fulminea,
dalle
colline
nei
pressi
del
fiume,
lanciò
infatti
i
suoi
soldati
alla
carica
proprio
nel
momento
in
cui
i
cartaginesi,
ignari,
stavano
per
attraversare
il
fiume.
A
peggiorare
la
condizione
di
questi
ultimi
contribuì
una
violenta
tempesta,
che
fece
straripare
il
Crimiso
impantanandoli
in
un
terreno
fangoso.
Nonostante
il
successo
appena
conseguito,
tuttavia,
che
la
propaganda
accostò
a
quello
ottenuto
a
Imera
quasi
140
anni
prima
da
Gelone,
la
symmachia
faticosamente
formata
dal
corinzio
si
sfaldò
subito.
I
motivi
del
voltafaccia
che
portò
gran
parte
dei
suoi
alleati
a
passare
dalla
parte
dei
Cartaginesi,
fu
forse
dovuto
al
timore
che
Timoleonte
potesse
sfruttare
la
vittoria
a
solo
vantaggio
dei
Siracusani,
vanificando
le
pretese
di
autonomia
degli
alleati.
In
ogni
caso
il
corinzio
riuscì
a
volgere
la
situazione
a
suo
favore,
sconfiggendo
prima
Iceta
e
poi
Mamerco,
tiranno
di
Katane,
e
stipulando
la
pace
con
i
Cartaginesi.
Veniva
così
raggiunto
l’obiettivo
di
evitare
il
pericoloso
sodalizio
tra
i
tiranni
e
Cartagine:
Il
trattato
impegnava
infatti
questi
ultimi
ad
astenersi
da
qualsiasi
alleanza
futura
con
i
regimi
tirannici
in
Sicilia
(riconoscendo
di
fatto
la
supremazia
siracusana)
e a
permettere
ai
Greci
che
risiedevano
nell’epicrazia
di
trasferirsi
nella
zona
d’influenza
greca,
mentre
dal
canto
suo
Timoleonte
rinunciava
a
pretese
espansionistiche
nell’ovest
dell’isola.
Il
fiume
Alico
continuò
quindi
ad
essere
il
confine
tra
la
zona
d’influenza
greca
e
quella
cartaginese.
Gli
ultimi
anni
a
Siracusa
Il
trattamento
ricevuto
dai
tiranni
che
avevano
resistito
o
ancora
si
opponevano
al
corinzio
fu
spietato:
Iceta
venne
giustiziato
insieme
alla
moglie
e ai
figli,
e lo
stesso
destino
subirono
anche
Mamerco
e
Ippone
(che
governava
Messana).
Eliminata
ormai
qualsiasi
forza
a
lui
avversa,
Timoleonte,
una
volta
tornato
a
Siracusa,
potè
da
un
lato
dare
l’avvio
ad
un’altra
grande
ondata
colonizzatrice
dalla
Grecia
e
dall’Italia
meridionale,
dall’altro
riformare
la
costituzione
della
città,
prima
di
ritirarsi,
vecchio
e
quasi
cieco,
a
vita
privata.
Il
contenuto
di
questa
sua
ultima
iniziativa
legislativa
non
è
chiaro,
ma
l’ipotesi
più
probabile
è
che,
trovato
un
accordo
con
gli
oligarchi,
la
costituzione
sia
stata
di
orientamento
più
conservatore
rispetto
alle
prime
leggi
democratiche
da
lui
approvate.
Timoleonte
non
ritornò
più
a
Corinto,
ma
decise
di
trascorrere
gli
ultimi
anni
di
vita
a
Siracusa,
dove
ormai
era
rispettato
e
onorato
come
un
nuovo
ecista.
Nel
periodo
in
cui
operò
in
Sicilia,
aiutato
dalla
sua
proverbiale
fortuna,
ma
più
ancora
dalle
grandi
abilità
di
comandante,
di
politico
e di
diplomatico,
egli
riuscì
a
legare
il
suo
nome
ad
un
periodo
di
profondo
rinnovamento
politico
ed
economico,
ponendo
le
basi
per
una
prosperità
duratura.
La
sua
figura
è
stata
nel
tempo
rivalutata
rispetto
al
ritratto
eccessivamente
encomiastico
che
ce
ne
hanno
lasciato
le
fonti,
e
molti
hanno
sottolineato
taluni
suoi
comportamenti
ambigui,
come
la
svolta
conservatrice
delle
sue
ultime
riforme
legislative,
o
l’atteggiamento
talvolta
autocratico
in
contrasto
con
la
sua
fama
di
nemico
dei
tiranni.
Tuttavia
è
innegabile
come
il
mito
che
egli
costruì
intorno
a sé
fu
supportato
dal
trionfo
della
sua
strategia
e
dal
nuovo
ordine
che
seppe
dare
all’isola.
Alla
sua
morte,
avvenuta
nel
335
circa,
i
Siracusani,
grati
per
l’opera
che
aveva
svolto
in
vita,
gli
tributarono
fastosi
funerali.
Stando
a
Plutarco,
quando
il
letto
funebre
fu
deposto
sul
rogo,
fu
letto
un
proclama
che
riassume
i
tratti
con
cui
sarà
ricordato
nella
storia:
“Il
popolo
di
Siracusa
dà
sepoltura
a
Timoleonte
di
Corinto,
figlio
di
Timodemos,
con
una
spesa
di
duecento
mine;
ha
deciso
inoltre
di
onorarlo
per
sempre
con
gare
musicali,
ippiche
e
ginniche
perchè
egli,
dopo
aver
rovesciato
i
tiranni,
vinto
i
barbari,
ripopolate
le
più
grandi
città
che
erano
distrutte,
ha
ridato
le
leggi
ai
Sicelioti”.
Riferimenti
bibliografici:
M.
Sordi,
Timoleonte,
Palermo,
1961;
M.I.
Finley,
Storia
della
Sicilia
antica,
Bari,
1970;
S.
N.
Consolo
Langher,
Siracusa
e la
Sicilia
greca
tra
età
arcaica
ed
alto
ellenismo,
Messina,
1996;
S.
Dagasso,
Timoleonte
a
Corinto,
in
ACME
-
Annali
della
facoltà
di
Lettere
e
Filosofia
dell’Università
degli
R.J.A
Talbert,
Timoleon
and
the
Revival
of
Greek
Sicily:
344-317
B.C.,
New
York,
1975.