[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 200 / AGOSTO 2024 (CCXXXI)


antica

Those About to Die
I gladiatori Tra mito e storia
di Francesco Biscardi


La recente serie televisiva di grande successo Those About to Die ha riproposto un soggetto molto amato dalla cinematografia: il gladiatore. Inutile dire che la pellicola sia piena di imprecisioni ed inesattezze storiche, ma questo non sorprende visto che primario interesse di registi e produttori è realizzare un’opera che catturi il grande pubblico, non quello di mettere in scena un documentario. Può essere interessante fare alcune precisazioni proprio su questa particolare categoria di combattente che è da secoli fra le più misconosciute fra le varie che affascinano le masse.

Tanti di noi avranno presente il celebre dipinto ottocentesco Pollice verso di Jean-Léon Gérome dove è rappresentato un gladiatore che, dopo aver atterrato due uomini, si appresta a sferrare il colpo decisivo dinanzi ad un estasiato pubblico che inneggia all’uccisione degli sconfitti. Ancora più persone non avranno dimenticato celebri successi cinematografici e televisivi come Il gladiatore con Russel Crowe del 2000, di cui è in arrivo un sequel, o Spartacus. Sangue e sabbia, serie andata in onda dal 2010. A ripetersi sono veri e propri topoi: la folla che domanda morte, l’imperatore che fa il gesto del pollice recto o verso a seconda della richiesta degli spettatori, i quali sono addomesticati con panem et circenses, ed altri simili cliché. Tuttavia la realtà storica è molto più complessa e gran parte di questo immaginario collettivo non corrisponde a verità.

Il primo mito da sfatare riguarda proprio l’idea che i gladiatori fossero della sorta di “carne da macello” servita a un pubblico che altro non chiedeva se non sangue e morte: non si trattava di sfrenate carneficine di massa, bensì di duelli che si svolgevano secondo regole precise sotto la supervisione di “arbitri”. Qualcosa di paragonabile, con molta fantasia e con le dovute proporzioni, ai moderni incontri di boxe.

L’idea del massacro che è comunemente associata ai combattimenti fra gladiatori discende in larga parte dalla poca conoscenza degli spettacoli pubblici (spectacula) che prendevano piede nel dominio romano. Sintetizzando vi erano ludi scaenici (spettacoli teatrali), ludi circenses (corse di carri trainati da cavalli), vari tipi di combattimenti e di sport, e maumachie (riproduzioni di battaglie navali). Alcuni di questi eventi si tenevano durante festività consacrate ad una divinità in un determinato periodo dell’anno (come i Ludi Romani dedicati a Giove, a settembre), altri erano organizzati eccezionalmente all’occorrenza. Non sappiamo benissimo quando furono introdotti i primi combattimenti gladiatori, detti munus al singolare, munera al plurale, così come incerta ne è l’origine: la più antica testimonianza risale al 264 a.C. in occasione della cerimonia funebre di un illustre senatore, mentre riguardo al loro sviluppo secondo alcuni deriverebbero dal pancrazio greco (un mix di lotta e pugilato), secondo altri da non ben precisati duelli etruschi, di cui abbiamo vaghe raffigurazioni.

Tali scontri affascinarono presto il pubblico, tanto che molti personaggi facoltosi, allo scopo di guadagnare prestigio, iniziarono ad organizzare munera secondo evenienza (Cesare ad esempio mise su uno spettacolo in onore del padre morto vent’anni prima in vista della sua candidatura al consolato), poi in epoca imperiale furono imperatori e governatori delle province a farsi spesso patrocinatori di questi spettacoli. Falso è anche il mito del panem et circenses, secondo cui tali combattimenti servivano a distogliere la plebe dai problemi reali. È vero esattamente il contrario: gli spettacoli avvicinavano il popolo alla politica e contribuivano a far crescere la fiducia nel proprio signore, fosse questi un illustre magistrato in epoca repubblicana, un governatore, finanche l’imperatore in persona in età imperiale. Inoltre, in occasione dei giochi, gli spettatori avevano occasione di interagire con il proprio signore, influendo direttamente sulle sue scelte, condizionandone la decisione di optare per la vita o per la morte dei gladiatori che cadevano a terra sconfitti. Questa è una caratteristica eccezionale che ha fatto dei munera un unicum nella storia e ha contribuito a consacrarne la celebrità.

Tuttavia bisogna confutare alcuni luoghi comuni. Il primo riguarda il gesto che sentenziava l’esito del duello: è incerto quale fosse il segno che veniva utilizzato in caso di condanna, poiché nessuna fonte parla del famoso pollice verso, quasi sicuramente un’invenzione successiva, al cui alone leggendario ha contribuito il dipinto di Jean-Léon Gérome che prima si ricordava.

Una seconda inesattezza divenuta un fake concerne la frase che i gladiatori si reputa rivolgessero all’imperatore ad inizio evento: Ave Caesar, morituri te salutant (“Ave Cesare, quelli che sono prossimi alla morte ti salutano”, da cui il titolo della serie ricordata in apertura, Those About to Die). Questa espressione fu in realtà pronunciata da dei condannati a morte in una naumachia organizzata dall’imperatore Claudio per celebrare l’avvenuta opera di canalizzazione del lago del Fucino.

L’attribuzione di tale asserzione ai gladiatori è profondamente sbagliata per il semplice fatto che questi non erano dei condannati a morte. Infatti i ludi, come prima si diceva, coinvolgevano vari tipi di spettacoli, alcuni di estrema violenza in cui la morte rappresentava un esito inevitabile: vi erano scontri fra fiere provenienti da tutte le zone dell’impero (leoni, tigri, orsi…), così come prigionieri e condannati alla pena capitale che dovevano uccidersi a vicenda o che venivano costretti a combattere una lotta impari con le stesse bestie feroci (damnatio ad bestias). I munera, invece, generalmente si tenevano nel pomeriggio, rappresentavano il main event ed erano molto attesi. La percentuale di caduti nello scontro, contrariamente a quanto convenzionalmente si pensa, dovette essere piuttosto bassa. Sappiamo che esisteva un tipo particolare di scontri chiamati munera sine missione, che prevedevano necessariamente la morte di uno dei protagonisti, ma rappresentavano probabilmente un’eccezione esistita per un periodo di tempo limitato, in quanto furono vietati già da Augusto (per motivi politici ed economici più che umanitari).

La provenienza dei gladiatori era la più varia: molti erano schiavi che venivano condotti in scuole gestite da una sorta di imprenditore del settore, il lanista, il quale si occupava di farli addestrare per poi condurli nell’arena una volta pronti, molti altri erano criminali obbligati a farsi combattenti (damnatio in ludum), molti infine erano anche i volontari che sceglievano intenzionalmente tale carriera.

Il loro addestramento e la loro prestazione erano costosi e questo è uno dei motivi per cui l’idea che fossero tutti predestinati a morire è falsa. Altra erronea immagine spesso ripetuta nei film è che un gladiatore, grosso e muscoloso, combatteva contro più rivali o contro uno più mingherlino, quando, in realtà, venivano divisi secondo categorie fisiche (più o meno come negli attuali sport da ring): i più robusti erano i mirmilloni e i secutores, i più esili i reziari e i traci. Inoltre erano dotati di un’armatura e di un elmo che proteggeva le parti vitali del corpo, facendo sì che la maggior parte delle ferite riguardasse gambe e braccia.

Altrettanto falsa è l’idea che il pubblico era solitamente compatto nel chiedere la morte degli sconfitti, che cadevano perlopiù a terra feriti o stremati. Cicerone, nella Pro Milone, ha specificato quali erano gli attributi che il popolo voleva vedere nei gladiatori, che, sommariamente, erano coraggio, scaltrezza, impassibilità e disprezzo della morte; se il vinto li possedeva generalmente otteneva il plauso degli spettatori e, di conseguenza, la grazia.

Sia chiaro, con quanto detto non si vuole sconfessare il fatto che i munera fossero spettacoli di pura violenza, quanto precisare che i bagni di sangue e il desiderio di morte comunemente immaginati sono più frutto di una distorta idea incapace di distinguere fra gladiatori e condannati a morte.

Infine, vista la nostra sensibilità di moderni, potremmo pensare che almeno la classe aristocratica ed intellettuale condannasse fermamente tali atrocità. Anche in questo caso la realtà storica va in senso opposto: le critiche che compaiono nelle fonti riguardano più la categoria dei gladiatori, visti come individui ai margini della società, che non i munera in sé. Le ragioni possono essere varie: intanto in tali combattimenti, come si diceva, emergevano qualità come il coraggio e l’indole guerriera che i romani stimavano, il tutto contestualizzato in una società violenta, schiavista e non animata da valori di filantropia, in cui pesava, soprattutto per i meno abbienti, l’emozione di poter condizionare le scelte dell’imperatore quando chiamato ad optare per la vita o la morte dello sconfitto.

Il fatto che il mito dei gladiatori sia sopravvissuto, per quanto in parte travisato, fino ai nostri giorni, ci fa capire l’eccezionalità di queste figure simbolo, sebbene in negativo, di una cultura, quella romana, che ha scritto pagine fondamentali della storia universale, ricordandoci quanto violenza e sopraffazione facciano da sempre parte dell’operato del genere umano.


Riferimenti bibliografici

Giardina A. (a cura di), L’uomo romano, Laterza, Roma-Bari, 1989.
Guidi F., Morte nell’arena. Storia e leggenda dei gladiatori, Mondadori, Milano, 2009.
Mann C., I gladiatori, trad. it. di Cupellaro M., Il Mulino, Bologna, 2013.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]