Those About to Die
I gladiatori Tra mito e storia
di Francesco Biscardi
La
recente serie televisiva di grande
successo Those About to Die
ha riproposto un soggetto molto
amato dalla cinematografia: il
gladiatore. Inutile dire che la
pellicola sia piena di imprecisioni
ed inesattezze storiche, ma questo
non sorprende visto che primario
interesse di registi e produttori è
realizzare un’opera che catturi il
grande pubblico, non quello di
mettere in scena un documentario.
Può essere interessante fare alcune
precisazioni proprio su questa
particolare categoria di combattente
che è da secoli fra le più
misconosciute fra le varie che
affascinano le masse.
Tanti di noi avranno presente il
celebre dipinto ottocentesco Pollice
verso di Jean-Léon Gérome dove è
rappresentato un gladiatore che,
dopo aver atterrato due uomini, si
appresta a sferrare il colpo
decisivo dinanzi ad un estasiato
pubblico che inneggia all’uccisione
degli sconfitti. Ancora più persone
non avranno dimenticato celebri
successi cinematografici e
televisivi come Il gladiatore con
Russel Crowe del 2000, di cui è in
arrivo un sequel, o Spartacus.
Sangue e sabbia, serie andata in
onda dal 2010. A ripetersi sono veri
e propri topoi: la folla che domanda
morte, l’imperatore che fa il gesto
del pollice recto o verso a seconda
della richiesta degli spettatori, i
quali sono addomesticati con panem
et circenses, ed altri simili
cliché. Tuttavia la realtà storica è
molto più complessa e gran parte di
questo immaginario collettivo non
corrisponde a verità.
Il primo mito da sfatare riguarda
proprio l’idea che i gladiatori
fossero della sorta di “carne da
macello” servita a un pubblico che
altro non chiedeva se non sangue e
morte: non si trattava di sfrenate
carneficine di massa, bensì di
duelli che si svolgevano secondo
regole precise sotto la supervisione
di “arbitri”. Qualcosa di
paragonabile, con molta fantasia e
con le dovute proporzioni, ai
moderni incontri di boxe.
L’idea del massacro che è
comunemente associata ai
combattimenti fra gladiatori
discende in larga parte dalla poca
conoscenza degli spettacoli pubblici
(spectacula) che prendevano piede
nel dominio romano. Sintetizzando vi
erano ludi scaenici (spettacoli
teatrali), ludi circenses (corse di
carri trainati da cavalli), vari
tipi di combattimenti e di sport, e
maumachie (riproduzioni di battaglie
navali). Alcuni di questi eventi si
tenevano durante festività
consacrate ad una divinità in un
determinato periodo dell’anno (come
i Ludi Romani dedicati a Giove, a
settembre), altri erano organizzati
eccezionalmente all’occorrenza. Non
sappiamo benissimo quando furono
introdotti i primi combattimenti
gladiatori, detti munus al
singolare, munera al plurale, così
come incerta ne è l’origine: la più
antica testimonianza risale al 264
a.C. in occasione della cerimonia
funebre di un illustre senatore,
mentre riguardo al loro sviluppo
secondo alcuni deriverebbero dal
pancrazio greco (un mix di lotta e
pugilato), secondo altri da non ben
precisati duelli etruschi, di cui
abbiamo vaghe raffigurazioni.
Tali scontri affascinarono presto il
pubblico, tanto che molti personaggi
facoltosi, allo scopo di guadagnare
prestigio, iniziarono ad organizzare
munera secondo evenienza (Cesare ad
esempio mise su uno spettacolo in
onore del padre morto vent’anni
prima in vista della sua candidatura
al consolato), poi in epoca
imperiale furono imperatori e
governatori delle province a farsi
spesso patrocinatori di questi
spettacoli. Falso è anche il mito
del panem et circenses, secondo cui
tali combattimenti servivano a
distogliere la plebe dai problemi
reali. È vero esattamente il
contrario: gli spettacoli
avvicinavano il popolo alla politica
e contribuivano a far crescere la
fiducia nel proprio signore, fosse
questi un illustre magistrato in
epoca repubblicana, un governatore,
finanche l’imperatore in persona in
età imperiale. Inoltre, in occasione
dei giochi, gli spettatori avevano
occasione di interagire con il
proprio signore, influendo
direttamente sulle sue scelte,
condizionandone la decisione di
optare per la vita o per la morte
dei gladiatori che cadevano a terra
sconfitti. Questa è una
caratteristica eccezionale che ha
fatto dei munera un unicum nella
storia e ha contribuito a
consacrarne la celebrità.
Tuttavia bisogna confutare alcuni
luoghi comuni. Il primo riguarda il
gesto che sentenziava l’esito del
duello: è incerto quale fosse il
segno che veniva utilizzato in caso
di condanna, poiché nessuna fonte
parla del famoso pollice verso,
quasi sicuramente un’invenzione
successiva, al cui alone leggendario
ha contribuito il dipinto di
Jean-Léon Gérome che prima si
ricordava.
Una seconda inesattezza divenuta un
fake concerne la frase che i
gladiatori si reputa rivolgessero
all’imperatore ad inizio evento: Ave
Caesar, morituri te salutant (“Ave
Cesare, quelli che sono prossimi
alla morte ti salutano”, da cui il
titolo della serie ricordata in
apertura, Those About to Die).
Questa espressione fu in realtà
pronunciata da dei condannati a
morte in una naumachia organizzata
dall’imperatore Claudio per
celebrare l’avvenuta opera di
canalizzazione del lago del Fucino.
L’attribuzione di tale asserzione ai
gladiatori è profondamente sbagliata
per il semplice fatto che questi non
erano dei condannati a morte.
Infatti i ludi, come prima si
diceva, coinvolgevano vari tipi di
spettacoli, alcuni di estrema
violenza in cui la morte
rappresentava un esito inevitabile:
vi erano scontri fra fiere
provenienti da tutte le zone
dell’impero (leoni, tigri, orsi…),
così come prigionieri e condannati
alla pena capitale che dovevano
uccidersi a vicenda o che venivano
costretti a combattere una lotta
impari con le stesse bestie feroci
(damnatio ad bestias). I munera,
invece, generalmente si tenevano nel
pomeriggio, rappresentavano il main
event ed erano molto attesi. La
percentuale di caduti nello scontro,
contrariamente a quanto
convenzionalmente si pensa, dovette
essere piuttosto bassa. Sappiamo che
esisteva un tipo particolare di
scontri chiamati munera sine
missione, che prevedevano
necessariamente la morte di uno dei
protagonisti, ma rappresentavano
probabilmente un’eccezione esistita
per un periodo di tempo limitato, in
quanto furono vietati già da Augusto
(per motivi politici ed economici
più che umanitari).
La provenienza dei gladiatori era la
più varia: molti erano schiavi che
venivano condotti in scuole gestite
da una sorta di imprenditore del
settore, il lanista, il quale si
occupava di farli addestrare per poi
condurli nell’arena una volta
pronti, molti altri erano criminali
obbligati a farsi combattenti
(damnatio in ludum), molti infine
erano anche i volontari che
sceglievano intenzionalmente tale
carriera.
Il loro addestramento e la loro
prestazione erano costosi e questo è
uno dei motivi per cui l’idea che
fossero tutti predestinati a morire
è falsa. Altra erronea immagine
spesso ripetuta nei film è che un
gladiatore, grosso e muscoloso,
combatteva contro più rivali o
contro uno più mingherlino, quando,
in realtà, venivano divisi secondo
categorie fisiche (più o meno come
negli attuali sport da ring): i più
robusti erano i mirmilloni e i
secutores, i più esili i reziari e i
traci. Inoltre erano dotati di
un’armatura e di un elmo che
proteggeva le parti vitali del
corpo, facendo sì che la maggior
parte delle ferite riguardasse gambe
e braccia.
Altrettanto falsa è l’idea che il
pubblico era solitamente compatto
nel chiedere la morte degli
sconfitti, che cadevano perlopiù a
terra feriti o stremati. Cicerone,
nella Pro Milone, ha specificato
quali erano gli attributi che il
popolo voleva vedere nei gladiatori,
che, sommariamente, erano coraggio,
scaltrezza, impassibilità e
disprezzo della morte; se il vinto
li possedeva generalmente otteneva
il plauso degli spettatori e, di
conseguenza, la grazia.
Sia chiaro, con quanto detto non si
vuole sconfessare il fatto che i
munera fossero spettacoli di pura
violenza, quanto precisare che i
bagni di sangue e il desiderio di
morte comunemente immaginati sono
più frutto di una distorta idea
incapace di distinguere fra
gladiatori e condannati a morte.
Infine, vista la nostra sensibilità
di moderni, potremmo pensare che
almeno la classe aristocratica ed
intellettuale condannasse fermamente
tali atrocità. Anche in questo caso
la realtà storica va in senso
opposto: le critiche che compaiono
nelle fonti riguardano più la
categoria dei gladiatori, visti come
individui ai margini della società,
che non i munera in sé. Le ragioni
possono essere varie: intanto in
tali combattimenti, come si diceva,
emergevano qualità come il coraggio
e l’indole guerriera che i romani
stimavano, il tutto contestualizzato
in una società violenta, schiavista
e non animata da valori di
filantropia, in cui pesava,
soprattutto per i meno abbienti,
l’emozione di poter condizionare le
scelte dell’imperatore quando
chiamato ad optare per la vita o la
morte dello sconfitto.
Il fatto che il mito dei gladiatori
sia sopravvissuto, per quanto in
parte travisato, fino ai nostri
giorni, ci fa capire l’eccezionalità
di queste figure simbolo, sebbene in
negativo, di una cultura, quella
romana, che ha scritto pagine
fondamentali della storia
universale, ricordandoci quanto
violenza e sopraffazione facciano da
sempre parte dell’operato del genere
umano.
Riferimenti bibliografici
Giardina A. (a cura di), L’uomo
romano, Laterza, Roma-Bari,
1989.
Guidi F., Morte nell’arena.
Storia e leggenda dei gladiatori,
Mondadori, Milano, 2009.
Mann C., I gladiatori, trad.
it. di Cupellaro M., Il Mulino,
Bologna, 2013.