N. 62 - Febbraio 2013
(XCIII)
THOMAS SANKARA
UN PRESIDENTE RIBELLE - PARTE II
di Richard Caly
Se
l’ascesa
al
potere
avvenne
con
delle
modalità
non
dissimili
da
quelle
dei
suoi
vari
predecessori,
pur
sull’onda
di
un
vasto
consenso
popolare,
fu
la
determinazione
riformista
a
rendere
il
nuovo
presidente
veramente
differente.
Nel
periodo
che
va
dal
1983
al
1987
furono
infatti
molti
i
cambiamenti
e i
risultati
positivi
raggiunti.
Sul
piano
della
politica
estera,
uno
dei
punti
centrali
fu
il
rifiuto
di
pagare
il
debito
internazionale,
nonché
la
concezione
panafricanista
che
caratterizzò
il
nuovo
governo,
sulla
scia
di
importanti
figure
quali
Lumumba
e
Nkrumah,
prese
chiaramente
a
modello
dal
giovane
rivoluzionario.
Il
compendio
di
tale
visione
fu
espresso
in
modo
lampante
nel
1986,
in
un
famoso
discorso
pronunciato
da
Sankara
al
Vertice
dell’Organizzazione
per
l’Unità
africana
(Oua)
svoltosi
ad
Addis
Abeba.
In
esso,
dosando
sapientemente
ironia
e
fermezza,
il
giovane
capo
di
stato
pronunciava
alcune
frasi
che
non
lasciavano
spazio
a
soluzioni
di
compromesso:
“Il
problema
del
debito
va
analizzato
prima
di
tutto
partendo
dalle
sue
origini.
Quelli
che
ci
hanno
prestato
il
denaro
sono
gli
stessi
che
ci
hanno
colonizzati,
sono
gli
stessi
che
hanno
per
tanto
tempo
gestito
i
nostri
stati
e le
nostre
economie;
essi
hanno
indebitato
l’Africa
presso
i
donatori
di
fondi.
Noi
siamo
estranei
alla
creazione
di
questo
debito,
dunque
non
dobbiamo
pagarlo”
e
ancora
“Il
debito
non
può
essere
rimborsato
prima
di
tutto
perché,
se
noi
non
paghiamo,
i
prestatori
di
capitali
non
moriranno,
possiamo
esserne
certi;
invece,
se
paghiamo,
saremo
noi
a
morire,
possiamo
esserne
altrettanto
certi.
Quelli
che
ci
hanno
portato
all’indebitamento
hanno
giocato,
come
al
casinò:
finché
ci
guadagnavano,
andava
tutto
bene;
adesso
che
hanno
perduto
al
gioco,
esigono
che
li
rimborsiamo.
Signor
presidente,
diciamo:
hanno
giocato;
hanno
perso;
è la
regola
del
gioco;
e la
vita
continua”.
Sul
piano
delle
politiche
interne
l’obiettivo
principale
di
Sankara
fu
da
un
lato
l’aumento
della
qualità
della
vita
della
popolazione,
dall’altro
la
riduzione
della
dipendenza
economica
dell’Alto
Volta
dagli
aiuti
esteri
e la
lotta
alla
corruzione
e
agli
sprechi
della
classe
politica.
Contro
la
mortalità
infantile
fu
avviata
una
massiccia
campagna
di
vaccinazioni
che
condusse
non
solo
a
una
sua
consistente
diminuzione,
ma
anche
alla
costruzione
di
strutture
ospedaliere
che
potessero
sensibilizzare
gli
abitanti
dei
villaggi
all’adozione
di
elementari
misure
igieniche.
Fu
favorita
la
contraccezione
per
evitare
il
dilagare
dell’AIDS,
già
valutato
come
fenomeno
pericoloso
per
l’intero
continente
(in
anticipo
rispetto
alla
tendenza
del
periodo).
A
conferma
della
serietà
di
questi
atti,
l’allora
direttore
dell’UNICEF
espresse
ufficialmente
la
sua
ammirazione
per
gli
sforzi
profusi
in
tale
campo.
Altri
provvedimenti
riguardarono
l’alfabetizzazione,
che
cominciò
a
registrare
un
aumento.
In
agricoltura,
il
miraggio
al
quale
il
nuovo
presidente
tendeva
era
l’autosufficienza
alimentare
attraverso
la
razionalizzazione
delle
politiche
agricole,
la
riorganizzazione
del
lavoro
nei
campi
e la
riforma
agraria.
In
tal
senso,
si
adottarono
norme
orientate
al
dirigismo
statale
in
economia,
bloccando
i
prezzi
di
alcuni
beni,
nazionalizzando
le
terre
e
avviando
programmi
pubblici
di
modernizzazione
delle
tecniche
di
coltivazione,
sfruttando
terre
incolte
e
introducendo
nuovi
sistemi
di
irrigazione.
Parallelamente
il
fenomeno
della
desertificazione
fu
affrontato
favorendo
il
rimboschimento.
In
breve,
si
sperava
di
raggiungere
una
sorta
di
“autarchia
alimentare”
che
evitasse,
almeno
per
il
minimo
indispensabile
al
sostentamento,
il
ricorso
all’indebitamento
estero.
Sul
versante
della
lotta
alla
corruzione
e ai
privilegi
Sankara
si
dimostrò
inflessibile,
dando
egli
stesso
l’esempio
come
aveva
fatto
in
passato.
Molte
delle
prebende
di
cui
avevano
goduto
le
alte
cariche
dello
stato
furono
drasticamente
tagliate,
punendo
duramente
l’arricchimento
illecito
dei
pubblici
funzionari.
“Non
possiamo
essere
la
classe
dirigente
ricca
in
un
paese
povero”
dirà
il
giovane
presidente
sintetizzando
i
suoi
propositi.
In
questo
clima
persino
le
vecchie
e
lussuose
Mercedes
di
rappresentanza
furono
sostituite
da
semplici
utilitarie
della
Renault.
Non
mancarono
inoltre
i
processi
e le
condanne
a
personaggi
illustri,
come
quella
a 15
anni
di
reclusione
riservata
all’
ex
presidente
Saye
Zerbo.
Sulla
stessa
linea,
forse
per
rimarcare
pubblicamente
la
nuova
immagine
che
voleva
dare
allo
stato,
Sankara
decise
di
ribattezzarlo
Burkina
Faso.
Il
nome,
che
in
lingua
burkinabè
(il
principale
idioma
diffuso
nel
paese)
significa
“la
terra
degli
uomini
integri”,
oltre
a
condensare
le
istanze
di
moralizzazione,
aveva
principalmente
lo
scopo
di
rimarcare
il
rifiuto
del
passato
coloniale
(di
cui
risentiva
il
vecchio
nome
di
Alto
Volta)
richiamando
la
cultura
e le
tradizioni
locali.
Verso
queste
ultime
Sankara
ebbe
un
atteggiamento
ambivalente;
se
per
un
verso
la
loro
rivalutazione
si
inseriva
in
un
disegno
identitario
nazionale,
per
un
altro
molte
consuetudini
furono
combattute
in
quanto
contrarie
al
nuovo
impianto
valoriale
rivoluzionario.
Alle
donne,
per
esempio,
fu
riconosciuto
un
importante
ruolo
nella
società,
attraverso
la
loro
inclusione
nella
vita
politica
e il
divieto
di
pratiche
quali
l’infibulazione
e la
poligamia.
Analizzando
complessivamente
l’operato
di
Sankara
dunque,
si
colgono
indubbi
elementi
innovativi,
forse
fin
troppo
in
anticipo
rispetto
al
momento
storico
in
cui
si
manifestarono.
Naturalmente
le
pur
importanti
riforme
si
inserivano
in
un
contesto
politico
ancora
fragilissimo,
in
cui
il
carisma
personale
sopperiva
all’assenza
di
una
autentico
“senso
dello
stato”,
da
cui
potesse
germogliare
una
cultura
democratica
sostenuta
da
solide
istituzioni.
Si
trattava
di
un’impalcatura
ancora
non
in
grado
di
reggere
il
costo
(anche
sociale)
delle
riforme,
fortemente
condizionata
dal
punto
di
vista
ideologico,
e
quindi
incline
a
essere
manovrata
da
facili
populismi
a
seconda
di
chi
fosse
il
leader
di
turno.
Inoltre,
le
crescenti
tensioni
con
i
sindacati,
oltre
che
alcuni
provvedimenti
avventati,
suscitarono
malcontenti,
per
esempio
tra
la
popolazione
delle
città,
che
subiva
più
di
quella
rurale
le
conseguenze
della
politica
economica
eccessivamente
dirigista
imposta
da
Sankara.
Per
tutte
queste
ragioni
l’esperienza
non
durò
a
lungo;
ben
presto,
infatti,
sorse
una
fronda
interna
al
gruppo
dirigente
capeggiata
da
Blaise
Compaoré,
che
organizzò
un
colpo
di
stato
volto
all’eliminazione
di
Sankara
e
della
corrente
rimastagli
fedele.
Il
15
ottobre
del
1987
un
commando
massacrò
il
presidente
e
un’altra
dozzina
di
ufficiali
e
personalità
a
lui
vicine,
gettando
i
corpi
in
una
fossa
comune.
All’epoca
dei
fatti
Sankara
aveva
trentasette
anni.
Poco
dopo,
pur
negando
qualsiasi
responsabilità
nel
massacro,
Compaoré
assumeva
di
fatto
il
controllo
dello
stato.
Ancora
oggi
mantiene
le
redini
del
potere
in
Burkina
Faso.
A
detta
della
moglie
del
presidente
ucciso,
fino
alla
fine
Sankara
si
rifiutò
di
credere
a
chi
lo
metteva
in
guardia,
in
forza
della
vecchia
amicizia
che
lo
legava
a
Compaoré.
Secondo
molti
osservatori,
però,
a
spalleggiare
sottobanco
il
golpe
sarebbe
stata
ancora
una
volta
la
Francia,
la
cui
ostilità
verso
il
regime
di
Sankara
era
ben
nota.
Stando
a
tale
tesi,
la
rapida
marcia
indietro
compiuta
dal
nuovo
leader
su
tutte
le
riforme
attuate
dal
suo
predecessore,
compresa
la
questione
del
debito
internazionale,
sarebbe
in
quest’ottica
pienamente
spiegabile.
Si
chiuse
così,
in
modo
tragico,
non
solo
la
vicenda
umana
legata
a un
presidente
“ribelle”,
ma
anche
il
tentativo
di
riformare
un
paese,
il
Burkina
Faso,
che
è
inevitabilmente
ripiombato
nella
povertà
e
nell’arretratezza.
Non
sapremo
mai
cosa
sarebbe
successo
se
le
cose
fossero
andate
diversamente.
Riferimenti
bibliografici:
A.
Aruffo,
Sankara.
Un
rivoluzionario
africano,
Bolsena
2007;
T.
Sankara,
Thomas
Sankara
speaks:
the
Burkina
Faso
revolution,
1983-1987,
II
edizione
2007;
B.
Guissou,
Burkina
Faso:
un
espoir
en
Afrique,
Parigi
1995;
G.
Carbone,
L’Africa:
gli
stati,
la
politica,
i
conflitti,
Bologna
2012;
V.
Some,
Thomas
Sankara,
L'espoir
assassiné,
Parigi
1990.