N. 75 - Marzo 2014
(CVI)
there is a light that never goes out
the smiths: una storia musicale
di Andrea Bajocco
Cinque
anni.
Quattro
album
in
studio.
Un
disco
live,
pubblicato,
tra
l’altro,
in
seguito
allo
scioglimento
della
band.
Dietro
questi
numeri
–
tutt’altro
che
da
capogiro
– si
celano
gli
Smiths,
trai
gruppi
più
influenti
della
storia
della
musica
britannica.
Per
il
nome
del
gruppo
è
scelto
il
cognome
più
diffuso
in
Inghilterra.
Gli
Smiths
nascono
dal
fortunato
incontro
tra
il
chitarrista
John
Martin
Maher
(l’omonimia
con
il
batterista
dei
Buzzcocks
lo
“costringerà”
a
usare
lo
pseudonimo
Johnny
Marr)
e lo
scrittore
Steven
Patrick
Morrissey,
detto
Moz.
Marr
ricorda
l’incontro
–
avvenuto
tramite
un
amico
comune
nella
casa
di
Morrissey
–
come
“[...]
un
colpo
di
fulmine
per
tutti
e
due...”.
Moz,
dal
canto
suo,
reputa
ancora
inspiegabile
quanto
successo
in
quanto
“[...]
avevo
provato
a
formare
una
band
per
tanto
tempo
e
proprio
in
quel
periodo
in
cui
lui
è
venuto
da
me,
io
avevo
deciso
che
non
avrei
più
provato.
E
poi
tutto
è
successo...”.
Le
prime
prove
(e
un
“concerto”
con
soltanto
11
spettatori)
hanno
chiarito
subito
come
ci
fosse
bisogno
di
trovare
un
batterista
e un
bassista.
Dopo
alcuni
tentativi,
il
problema
si è
risolto
con
l’ingaggio
nell’autunno
1982
di
Mike
Joyce
e
Andy
Rourke.
Dopo
il
settimo
live,
quelli
che
ormai
erano
diventati
a
tutti
gli
effetti
gli
Smiths
hanno
firmato
il
loro
primo
contratto
discografico
con
un
emissario
della
casa
discografica
Rough
Trade.
Di
lì a
poco
è
stato
pubblicata
Hand
in
Glove,
primo
singolo
del
gruppo
e
preludio
del
primo
album.
L’album
d’esordio,
l’omonimo
The
Smiths,
è
datato
20
febbraio
1984
e
risulta
subito
un
successo
(anche
grazie
alla
presenza
di
tracce
come
Still
Ill,
What
Difference
Does
it
Make,
oltre
alla
già
citata
Hand
in
Glove)
e
rimane
per
più
di
30
settimane
nella
chart
uk,
arrivando
addirittura
al
secondo
posto
tra
gli
album
più
venduti.
Pochi
mesi
dopo,
nell’autunno
del
1984,
non
contenti
del
lavoro
di
produzione
di
The
Smiths,
viene
pubblicato
Meat
is
Murder
con
Marr
e
Morrissey
a
interessarsi
in
prima
persona
della
produzione.
Ne
esce
un
lavoro
molto
personale
(The
Headmaster
Ritual
si
riferisce
al
metodo
di
insegnamento
nei
sobborghi
di
Manchester,
in
particolare
a
quando
Moz
andava
a
scuola
alla
St.
Mary,
dove
“[...]
se
facevi
cadere
una
matita
ti
picchiavano
a
sangue...”),
fortemente
schierato
ideologicamente
(Meat
is
Murder,
la
title-track,
risulta
un
vero
inno
ai
vegetariani
di
tutto
il
mondo)
e di
grande
spessore
politico
(vengono
spesso
ripetuti
attacchi
il
sistema
della
Thatcher
e
della
Monarchia).
Dal
punto
di
vista
musicale,
il
disco
risulta
persino
migliore
al
precedente
e
questo
è
dovuto
anche
all’eclettismo
dei
4
componenti
che,
mischiando
i
differenti
stili,
riescono
ad
arrivare
a
sonorità
fino
ad
allora
sconosciute.
Una
menzione
a
parte
la
merita
l’onirica
Please,
please,
please
let
me
get
what
I
want,
incisa
come
b-side
del
singolo
William,
It
was
Really
Nothing,
e
divenuta
probabilmente
la
canzone
più
famosa,
più
amata
e
con
più
cover
degli
Smiths.
La
consacrazione
era
ormai
avvenuta.
Il
futuro
apparteneva
agli
Smiths.
Sulla
cresta
dell’onda
del
successo,
la
band
mancuniana
incide
The
Queen
is
Dead,
quello
che
da
molti
è
considerato
il
loro
vero
capolavoro.
Il
titolo
inizialmente
sarebbe
dovuto
essere
Margaret
on
The
Guillotine,
e
sarebbe
stato
un
ennesimo,
chiaro
attacco
alla
Thatcher
e al
suo
sistema.
Cambiando
idea,
si è
deciso
di
schierarsi
ancora
una
volta
contro
la
monarchia
inglese,
ritenuta
da
Morrissey
antidemocratica
e
utile
soltanto
a
coprire
eventuali
scandali
“[...]
sulle
loro
ridicole
storie,
sui
loro
abiti
da
sposa
e
sui
loro
drammi
da
romanzi
soap...”.
L’album,
che
parte
con
la
title-track
The
Queen
is
Dead,
è
composto
da
10
tracce,
ognuna
all’altezza
della
precedente.
I
Know
it’s
Over
è
poesia
in
musica;
descrive
le
sensazioni
successive
alla
fine
di
un
grande
amore,
confrontandole
con
la
tentazione
di
suicidarsi
nonostante
la
paura
della
morte.
Cemetry
Gates,
scritta
in
risposta
a
chi
aveva
accusato
Moz
e
soci
di
plagio,
racconta
le
passeggiate
da
ragazzi
di
Morrissey
con
un’amica
al
cimitero
Southern
di
Manchester.
Un
amore
reale
ma
platonico
“finché
morte
non
ci
separi”
è al
centro
di
There
is a
Light
that
Never
Goes
Out,
trai
pezzi
più
amati
e
apprezzati
degli
Smiths.
L’album
si
chiude
con
Some
Girls
ar
Bigger
Than
Other
nella
quale
si
palesa
una
volta
per
tutte
il
disinteresse
di
Morrissey
nei
confronti
dell’altro
sesso.
In
un
clima
di
dissidi
interni
al
gruppo
che
però
non
sono
andati
a
intaccare
la
serenità
durante
le
sessioni
di
registrazione,
il
28
settembre
1987
esce
Strangeways,
Here
We
Come,
quarto
e
ultimo
lavoro
della
band,
quello
che
nelle
aspettative
di
Marr
e
Morrissey
doveva
essere
il
miglior
album
degli
Smiths.
E a
detta
del
gruppo
così
è
stato.
I 4
di
Manchester
lo
hanno
infatti
spesso
nominato
come
loro
preferito.
Anche
questo
lavoro
contiene
10
brani
trai
quali
spiccano
A
Rush
and
a
Push
and
the
Land
Is
Ours
(ricercare
la
felicità
dopo
l’ennesima
delusione
amorosa),
Death
of a
Disco
Dancer
(si
propone
una
visione
ironica
della
morte),
Stop
Me
If
You
Think
You've
Heard
This
One
Before
(probabile
riferimento
a
notizie
sconvolgenti
quali
omicidi
di
massa),
e
Last
Night
I
Dreamt
That
Somebody
Loved
Me
(ritenuta
da
Morrissey
come
la
miglior
canzone
degli
Smiths)
I
problemi
interni,
il
dualismo
Marr-Morrissey
e i
nuovi
orizzonti
musicali
stavano
ormai
minando
le
fondamenta
del
gruppo.
Marr
decide
di
dare
una
svolta
professionale
alla
sua
carriera
e si
prende
una
pausa
durante
la
quale,
nel
1988,
esce
Rank,
unico
album
ufficiale
live.
L’album
è un
successo
ma
senza
Marr
gli
Smiths
non
sembrano
più
aver
motivo
di
esistere.
La
morte
del
gruppo
sarà
decretata
in
seguito
a
problemi
legali
che
prevedevano
delle
royalties
per
Mike
Joyce.
In
pochi
anni
i 4
ragazzi
di
Manchester
hanno
segnato
indelebilmente
la
musica
britannica.
A
tal
punto
che
artisti
gruppi
come
i
Radiohead,
gli
Arctic
Monkeys,
i
Muse
ecc.
non
nascondono
quanto
la
loro
musica
sia
stata
influenzata
da
quella
di
Morrissey
e
soci.
Torneranno
mai
a
suonare
insieme?
Nonostanti
tanti
rumors
che
nel
corso
degli
anni
hanno
alimentato
le
speranze
dei
fan,
queste
sono
state
spezzate
da
Morrissey,
che
in
un’intervista
ha
risposto
con
un
laconico
“Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.
Never.”
che
poche
speranza
lascia
ai
fan.
In
un
secondo
momento,
Moz
ha
rincarato
la
dose:
“I
would
rather
eat
my
own
testicles
than
reform
The
Smiths,
and
that's
saying
something
for
a
vegetarian...”.
Il
concetto
è
fin
troppo
chiaro.
Morrissey
preferirebbe
mangiare
i
propri
testicoli
piuttosto
che
riunirsi
con
Johnny
Marr,
Andy
Rourke
e
Mike
Joyce
e
ridare
vita
agli
Smiths.