N. 73 - Gennaio 2014
(CIV)
the butler
RECENSIONE
di Massimo Manzo
Nel
novembre
del
2008,
all’indomani
dell’elezione
di
Barack
Obama
alla
Casa
Bianca,
il
Washington
Post
pubblicava
un
articolo
dal
titolo
“a
Butler
well
served
by
this
election”,
ovvero
“un
maggiordomo
ben
contento
di
queste
elezioni”.
Il
pezzo,
scritto
dal
giornalista
Wil
Haygood,
raccontava
la
storia
di
un
domestico
di
colore,
sconosciuto
al
grande
pubblico,
di
nome
Eugene
Allen,
il
quale
aveva
prestato
servizio
alla
Casa
Bianca
per
più
di
trent’anni.
Assunto
come
lavapiatti
nel
1952,
durante
la
presidenza
Truman,
Allen
si
era
fatto
strada
rapidamente,
divenendo
maggiordomo
personale
del
Presidente,
fino
a
ritirarsi
per
l’età
ormai
avanzata
nel
corso
del
mandato
di
Reagan.
Tutti
i
Presidenti
lo
consideravano
una
persona
di
fiducia,
tanto
da
intrecciare
con
lui
rapporti
confidenziali.
Nel
frattempo,
gli
Stati
Uniti
attraversavano
uno
dei
periodi
cruciali
nel
processo
di
emancipazione
dei
neri
d’America.
Prendendo
spunto
da
questa
testimonianza
straordinaria,
il
regista
Lee
Daniels
ha
realizzato
il
film
“the
butler”,
nelle
sale
dal
primo
gennaio.
La
trama
ricalca
solo
in
parte
le
vicende
di
Allen,
che
vengono
trattate
di
pari
passo
con
la
lunga
lotta
per
l’uguaglianza
razziale
negli
Stati
Uniti.
Da
semplice
film
“biografico”
la
pellicola
si
trasforma
così
in
una
narrazione
collettiva.
Lo
spettatore
attraversa
un
arco
temporale
lungo
cinquant’anni,
che
va
dal
pieno
regime
razzista
fino
alla
rivoluzionaria
elezione
di
Obama,
simbolo
della
fine
di
un’epoca
per
la
comunità
nera
americana.
Nonostante
la
critica
abbia
contestato
alcuni
aspetti
del
film,
come
la
rappresentazione
caricaturale
di
alcuni
presidenti,
la
trama
svela
alcuni
aspetti
interessanti,
descrivendo
da
una
prospettiva
inedita
un
pezzo
di
storia.
Il
protagonista,
interpretato
da
un
bravissimo
Forest
Whitaker,
si
chiama
Cecil
Gaines
ed è
originario
del
sud,
dove
i
genitori
lavorano
in
condizioni
di
semi-schiavitù
in
una
piantagione
di
cotone
gestita
da
una
ricca
famiglia
di
latifondisti
bianchi.
Da
bambino,
Cecile
assiste
inerme
al
brutale
assassinio
del
padre
ad
opera
del
figlio
della
vecchia
padrona,
evento
che
sconvolge
anche
la
vita
della
madre,
che
da
quel
momento
non
riuscirà
più
a
parlare
né a
provare
emozioni,
quasi
paralizzata
dal
dolore.
Mossa
a
compassione,
l’anziana
proprietaria
decide
di
far
diventare
il
piccolo
un
“negro
di
casa”,
ovvero
di
inserirlo
tra
i
suoi
servitori
domestici.
Sarà
anche
grazie
a
ciò
che
ha
imparato
da
bambino
che
negli
anni
seguenti,
dopo
aver
abbandonato
definitivamente
il
sud,
Cecile
troverà
lavoro
in
un
grande
albergo
di
lusso
a
Washington,
dove
si
distinguerà
tra
il
personale
per
lo
zelo
e la
discrezione
che
usa
con
i
clienti.
Notato
per
le
sue
qualità,
Cecile
approda
infine
alla
Casa
Bianca
nel
1957,
anno
nel
quale
il
Presidente
Eisenhower
firma
il
Civil
Rights
Act,
primo
passo
contro
il
razzismo.
Una
delle
caratteristiche
che
rendono
il
protagonista
simpatico
anche
ai
bianchi
e
gli
permettono
di
farsi
strada
è la
sua
volontà
di
non
occuparsi
di
politica,
ovvero
di
non
esprimere
nessuna
opinione
sui
problemi
razziali.
Ma
il
suo
apparente
disinteresse
per
la
politica
è
compensato
dal
forte
attivismo
del
figlio
Howard,
in
prima
linea
nella
difesa
dei
diritti
civili.
Esponente
del
movimento
pacifista
dei
Freedom
Riders
e
per
un
breve
periodo
anche
delle
Black
Panters,
Howard
vive
sulla
sua
pelle
la
difficoltà
della
lotta
contro
la
segregazione
razziale.
Arrestato
più
volte,
viene
infine
allontanato
definitivamente
da
casa
e
ripudiato
dal
padre,
il
quale
non
riesce
a
capire
le
ragioni
che
spingono
il
figlio
ad
esporsi
così
tanto,
mettendo
a
rischio
la
sua
posizione.
Questo
fortissimo
contrasto
familiare
si
risolverà
soltanto
alla
fine
ed è
la
trovata
narrativa
che
rende
il
film
originale.
La
conquista
delle
libertà
civili
è
infatti
raccontata
da
due
punti
di
vista
molto
diversi
tra
loro.
Sul
piano
“istituzionale”,
Cecile
osserva
il
processo
dall’interno,
ovvero
sulla
base
dell’atteggiamento
che
i
vari
Presidenti
dimostrano
sulla
questione
razziale.
Le
vicende
del
figlio,
invece,
ci
trascinano
“sulla
strada”,
in
mezzo
alle
infinite
difficoltà
e
violenze
subite
dalla
comunità
nera.
Alla
fine
le
strade
dei
due
personaggi
torneranno
ad
incrociarsi
e
Cecile
farà
i
conti
con
il
proprio
passato,
che
per
troppo
tempo
aveva
cercato
di
dimenticare.