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N. 64 - Aprile 2013 (XCV)

Teseo, l’eroe fondatore di Atene

il mito e la storia dell’alter ego di Eracle
di Paola Scollo

 

Accostarsi allo studio della Vita di Teseo di Plutarco si configura come un'impresa di ampio respiro in quanto - nonostante la tradizione antica sia per lo più concorde nel collocare Teseo nella lista dei re di Atene - estremamente labile è la linea di demarcazione tra spatium historicum e spatium mythicum.

 

Contrariamente a Tucidide (II 15. 1-2) e a Plutarco (Thes. XXIV 1), che gli attribuiscono un ruolo chiave nel cosiddetto “sinecismo” di Atene, processo per cui i centri dell’Attica abbandonarono gradualmente la loro autonomia a favore della leadership di Atene, autorevoli storici moderni, ponendo tale fenomeno in età arcaica, negano ogni valenza storica al personaggio, destinato così a una perenne scissione tra storia e mito. Ciò non deve però sorprendere.

 

I Greci si servivano del patrimonio mitico in maniera indiscriminata e talvolta spregiudicata, senza alcun rigore di carattere storico o più in generale scientifico. Tale riflessione risulta particolarmente valida nel caso di Teseo, le cui imprese hanno subito un processo di risemantizzazione nel corso dei secoli. Un decisivo contributo alla popolarità dell’eroe venne offerto da Pisistrato nella prima metà del V secolo e da Cimone, che nel 476/5 a.C. ne promosse la traslazione delle ossa da Sciro. A partire da quel momento Teseo, considerato il fautore della democrazia attica, venne elevato a eroe nazionale. Peraltro, sempre in età classica sarebbe stato prodotto il ciclo “simil-Eracle” delle gesta di Teseo nel viaggio da Trezene ad Atene.

 

Va da sé che alle origini di tale rivalutazione è da supporre la specifica volontà da parte degli Ateniesi di individuare un sostituto di Eracle, eroe per antonomasia ma di origine dorica. In altre parole mediante Teseo gli Ateniesi miravano a legittimare le origini della loro comunità, a mantenere viva e a rafforzare la loro identità. Nell’immagine collettiva Teseo divenne protagonista di un “mito politico”.

 

Sul filo di tale ragionamento è possibile attribuire all’eroe fondatore di Atene sia un ruolo reale o storico, strettamente connesso al cosiddetto “sinecismo” dell’Attica in epoca micenea, sia un ruolo mitico o simbolico, riconosciuto in parallelo con l’unificazione di Atene in età arcaica.

 

Nel primo capitolo della Vita di Teseo Plutarco, mostrando di avere piena consapevolezza di tale duplice dimensione, motiva la scelta di dedicare un bios al personaggio nel modo seguente: “Dal momento che ho già pubblicato le vite sul legislatore Licurgo e sul re Numa, ritenevo non inappropriato, ouk alogos, risalire fino a Romolo e, giungendo con la ricerca nei pressi della sua epoca, mi interrogavo con Eschilo -Chi può essere appaiato a un simile personaggio?/ Chi gli opporrò? Chi ne sarà degno? (Aesch., Sept. 435, 395-396). Mi sembrò che il fondatore della bella e celebrata Atene potesse essere contrapposto e affiancato al padre dell’invitta e gloriosa Roma” (Plut., Thes. I 4-5).

 

Ma tale scelta comporta notevoli difficoltà: è viva nel biografo la preoccupazione di non riuscire a individuare un preciso spartiacque tra dimensione mitica e dimensione storica, nonostante il suo interesse non sia propriamente rivolto alla historia quanto piuttosto al bios. Di qui l’auspicio a sottomettere il mito, mythos, alla ragione, logos, e una volta depurato fargli assumere l’aspetto, opsis, di realtà.

 

Nel secondo capitolo Plutarco annovera le affinità tra Teseo e Romolo, punto di partenza della synkrisis conclusiva: “Entrambi infatti erano figli illegittimi e di oscure origini anche se, secondo la tradizione, generati dagli dèi, entrambi guerrieri, cosa già nota a tutti, e dotati di forza e intelligenza; delle città più famose, uno fondò Roma, l’altro realizzò il sinecismo di Atene; entrambi ebbero a che fare con ratti di donne; nessuno dei due evitò la sfortuna della propria stirpe e le gelosie familiari, ma entrambi affrontarono, alla fine della loro vita, dissapori con i propri concittadini […]” (Thes. II 1-3).

 

Dopo i primi due capitoli introduttivi ha inizio la narrazione biografica che, stando alla scansione proposta da Bettalli, può essere scissa in cinque sequenze. Osserviamole puntualmente.

 

Nella prima sequenza, che si estende fino al capitolo XIV, viene riassunta l’infanzia di Teseo, dalla nascita a Trezene sino all’arrivo ad Atene. Plutarco insiste qui sull’origine trezenia dell’eroe, riducendo di importanza la eventuale discendenza da Poseidone. Scrive a tal proposito che, per parte di padre, Teseo discendeva da Eretteo, eroe ateniese figlio di Efesto e di Gea (Il. II 546-548), e dai primi autoctoni mentre, per parte di madre, da Pelope, mitico re della Frigia figlio di Tantalo. Riporta poi due possibili etimologie per il termine Teseo: thesis, per via del deposito dei segni di riconoscimento, o themenou, per il riconoscimento da parte di Egeo. Stando al biografo, Teseo venne allevato in casa da Pitteo ed educato da un pedagogo di nome Konnidas, “al quale ancora oggi gli Ateniesi nel giorno che precede le feste in onore di Teseo sacrificano un ariete” (Thes. IV 1).

 

Fino all’adolescenza la madre Etra tenne nascosta la reale identità di Teseo: da Pitteo infatti era stata diffusa la voce che fosse figlio di Poseidone, il protettore di Trezene. Tuttavia, quando Teseo raggiunse l’età dell’adolescenza, mostrando forza fisica, coraggio, carattere fermo, intelligenza e saggezza, Etra gli svelò la sua origine, invitandolo a prendere gli oggetti paterni e a dirigersi ad Atene.

 

Nonostante le esortazioni del nonno e della madre a scegliere il mare, Teseo, spinto dal desiderio di emulare Eracle, scelse di procedere via terra. Scrive a tal proposito Plutarco: “Teseo riteneva disdicevole e non dignitoso che Eracle liberasse dai pericoli ogni luogo per terra e per mare, mentre lui evitava anche le fatiche che gli si presentavano davanti; viaggiando come esule per mare, avrebbe offeso colui che i discorsi correnti indicavano come suo padre; gli avrebbe portato come riconoscimento i calzari e la spada non macchiata di sangue, non rivelandosi subito con azioni valorose come segni tangibili della nobile origine” (Thes. VII 2).

 

Segue dunque la narrazione delle sei imprese sostenute da Teseo, nel solco del modello eracleo. Dapprima a Epidauro dovette uccidere Perifete, figlio di Efesto e di Anticlea, definito il “clavato” perché si serviva di una clava per bloccare i viandanti. Sull’Istmo uccise Sinide, figlio di Poseidone, il “piegatore di pini”, dal modo con cui era solito uccidere gli uomini. Tra Corinto e Megara, nel piccolo villaggio di Crommione, uccise la scrofa Phaia, “animale comune ma combattivo e difficile da sottomettere” (Thes. IX 1). Giunto a Megara, uccise Sirone, figlio di Poseidone o di Pelope, gettandolo dalle rocce.

 

A Eleusi uccise nella lotta Cercione di Arcadia e in seguito anche Damaste detto Procuste. Presso il Cefiso, il più importante corso d’acqua dell’Attica, si trovò di fronte alcuni esponenti dell’antica famiglia ateniese dei Fitalidi, discendente recta via dall’eroe Phytalos. Accolto con benevolenza, Teseo espresse il desiderio di essere purificato. Essi compirono i sacrifici e lo invitarono a banchetto. Per la prima volta, da quando aveva abbandonato il Peloponneso, l’eroe era stato trattato in maniera ospitale.

 

Plutarco narra che Teseo giunse ad Atene nell’ottavo giorno del mese di Cronio, chiamato successivamente Ecatombeone. Sin da subito gli si presentò una situazione complessa: sia gli affari politici della polis sia gli affari privati di Egeo e della sua famiglia versavano in difficoltà. Scrive infatti: “Medea, esule da Corinto, viveva con lui e aveva promesso di curare la sterilità di Egeo con pozioni. La donna comprese la vera identità di Teseo, mentre Egeo ancora non lo aveva riconosciuto” (Thes. XII 2-3). La maga convinse pertanto Egeo ad avvelenare l’ospite, dopo averlo invitato a banchetto. Ma Teseo riuscì a farsi riconoscere. Egeo presentò il figlio ai cittadini, che lo accolsero con gioia per il suo valore, andragathía.

 

I Pallantidi, discendenti dall’eroe attico Pallante fratello di Egeo, vedendo minacciato il progetto di conquistare il potere alla morte del sovrano, dichiararono guerra a Teseo. Informato segretamente, il figlio di Egeo piombò all’improvviso su quanti erano in agguato, uccidendoli tutti.

 

Alle sei fatiche affrontate nel corso del viaggio dal Peloponneso ad Atene, è da aggiungere infine l’impresa sostenuta contro il toro di Maratona, che minacciava gli abitanti della Tetrapoli, ovvero le città di Maratona, Tricorito, Oinoe e Probalinto. Dopo averlo catturato, Teseo lo condusse ancora vivo per la città, quindi lo sacrificò ad Apollo Delfinio.

 

La prima sezione della Vita di Teseo si conclude con la narrazione dell’episodio poco noto della vecchia Ecale, che si dice aver offerto ospitalità a Teseo. La seconda sezione, che procede sino al capitolo XXIII, ripercorre le vicende relative all’arrivo di Teseo a Creta. Come spiega Plutarco, ogni nove anni gli Ateniesi dovevano inviare sette fanciulli e sette fanciulle come prezzo per la pace stipulata con Minosse.

 

Quando giunse il momento di inviare il terzo tributo, i cittadini ateniesi iniziarono a rivolgere gravi accuse a Egeo: pur essendo responsabile del provvedimento punitivo, era l’unico a non subire danni e, pur avendo trasmesso il potere a un figlio illegittimo e straniero, non mostrava segni di preoccupazione nel privare gli Ateniesi di eredi legittimi (Thes. XVII 1). Di fronte al malcontento generale, Teseo propose se stesso senza attendere l’esito del sorteggio. Il suo coraggioso atto venne interpretato come una forma di disponibilità verso i concittadini degna di lode e di ammirazione. Nonostante le suppliche paterne, Teseo si mostrò deciso e fermo nelle proprie posizioni. Al momento della partenza Egeo consegnò al timoniere una vela bianca, che avrebbe dovuto sostituire quella di colore nero in caso di buona riuscita dell’impresa. Di solito - spiega infatti Plutarco - veniva consegnata soltanto una vela nera, segno di inevitabile lutto, poiché non si nutrivano speranze di salvezza.

 

Giunto a Creta, grazie al filo ricevuto da Arianna, che si era invaghita di lui, Teseo riuscì a uccidere il Minotauro. Durante il viaggio di ritorno l’eroe fece sosta a Delo, dove compì sacrifici in onore del dio e pose la statua di Afrodite ricevuta da Arianna. Infine celebrò la danza della gru “a imitazione dei meandri del Labirinto e dei movimenti di uscita compiuti secondo un ritmo alternato” (Thes. XXI 2). Stando a Plutarco, a Delo Teseo avrebbe poi istituito delle gare.

 

Nei pressi dell’Attica l’eroe vincitore del Minotauro dimenticò di issare la vela bianca per cui Egeo, ipotizzando l’esito funesto della spedizione, si gettò da una rupe. Con la tragica morte del sovrano si conclude la seconda sezione della Vita di Teseo. Nella sequenza successiva, che si protrae sino al capitolo XXV, Teseo viene celebrato quale fondatore di Atene e padre della democrazia attica.

 

In seguito alla scomparsa del padre, Teseo iniziò a progettare un’impresa - nell’immagine di Plutarco - grande e meravigliosa: riunire tutti gli abitanti dell’Attica al fine di creare un unico popolo per un’unica città.

 

Per realizzare l’ambizioso progetto si recò personalmente presso ogni comunità e famiglia. A differenza della gente più umile che non opponeva resistenza, i potenti avanzavano numerose perplessità, per cui Teseo fu costretto a promettere una forma di governo democratica e non monarchica garante dell’uguaglianza, in cui egli avrebbe avuto il comando esclusivo dell’esercito e la custodia delle leggi.

 

Teseo divenne in tal modo l’artefice del cosiddetto sinecismo dell’Attica: sciolse i pritanei, i consigli e le magistrature presenti nelle singole comunità, creando un pritaneo e un consiglio comune; denominò Atene il centro di questa nuova organizzazione; istituì una festa religiosa comune, le Panatenee, e i Metoikia, festività celebrata nel sedicesimo giorno di Ecatombeone; infine organizzò gare atletiche a imitazione di Eracle.

 

Plutarco dedica ampio spazio alla rinnovata dimensione politica dell’Attica per effetto delle riforme promosse da Teseo. Infatti l’eroe fondatore rinunciò alla monarchia, impegnandosi attivamente affinché la democrazia concessa non degenerasse in qualcosa di disorganizzato e indistinto. Inoltre organizzò i cittadini in Eupatridi, Geomori e Demiurghi, promuovendo una riforma sociale che mirava alla divisione della società in classi funzionali. Da ultimo fece coniare una moneta con l’effigie di un bue, a memoria del toro di Maratona o del comandante di Minosse oppure, più semplicemente, a motivo di incoraggiamento per i cittadini all’agricoltura.

 

Nella quarta sezione della Vita, che si estende dal capitolo XXVI al capitolo XXX, vengono passate rapidamente in rassegna le imprese compiute da Teseo in età matura, con riferimento all’Amazzonomachia, a partire dal rapimento di Antiope/Ippolita, e alla Centauromachia, cui in realtà non viene attribuito elevato rilievo forse anche in relazione ai dubbi che, sin dall’antichità, erano stati avanzati sulla partecipazione stessa di Teseo. Più in generale alquanto limitato si configura l’interesse di Plutarco per le vicende della maturità rispetto a quelle della giovinezza.

 

L’ultima sezione, che si apre con il capitolo XXXI, verte in primo luogo sul discusso episodio del rapimento di Elena, moglie del re spartano Menelao. Stando alla testimonianza di Ellanico, all’età di cinquant’anni Teseo insieme a Piritoo giunse a Sparta. Mentre la bella Elena danzava all’interno del tempio di Artemide, i due la rapirono e si diedero alla fuga. Giunti nel Peloponneso, strinsero un patto: “chi fosse stato designato dalla sorte avrebbe sposato Elena e avrebbe poi aiutato l’altro a trovare a sua volta sua moglie” (Thes. XXXI 2). Il sorteggio indicò Teseo che, nonostante la differenza di età, prese con sé la fanciulla e si recò ad Afidna, villaggio dell’Attica nord-orientale, per affidarla alle cure della madre e dell’amico Afidno.

 

In seguito si recò in Epiro insieme a Piritoo alla ricerca della figlia del re dei Molossi Adoneo. Informato delle reali intenzioni dei due, il sovrano li fece catturare. Piritoo venne però sbranato dal cane di Adoneo, mentre Teseo fu imprigionato e tenuto sotto sorveglianza.

 

Nel frattempo, i Tindaridi, ovvero i Dioscuri Castore e Polluce fratelli di Elena, dichiararono guerra a Teseo, probabilmente sobillati da Menesteo, eroe ateniese capo del contingente della città di Troia ritratto da Plutarco come un violento demagogo. Fu Eracle, ospite presso Adoneo il Molosso, a perorare la causa di Teseo e a ottenerne la liberazione. L’eroe poté così fare ritorno ad Atene, dove però lo attendeva un’amara sorpresa.

 

Volendo riconquistare il potere, Teseo dovette reprimere opposizioni e rivolte. Fece ricorso alla forza, ma venne sconfitto dai demagoghi e dalle sedizioni. La popolazione era ormai profondamente corrotta. Di fronte alla disperata situazione mandò i figli in Eubea presso Elefenore, mentre egli stesso prese il mare in direzione di Sciro, dove reputava di avere amici.

 

Una volta giunto, pregò Licomede di riavere i terreni paterni per abitarvi, ma il re sia per timore della fama dell’uomo sia per compiacere Menesteo lo condusse sul punto più alto del paese “come per mostrargli le terre da lassù” e lo uccise, gettandolo da una rupe. Secondo altre fonti - puntualizza Plutarco - cadde da solo, mentre svolgeva la consueta passeggiata dopo pranzo. In ogni caso “subito dopo la sua morte, nessuno parlò più di lui: Menesteo regnò sugli Ateniesi, mentre i figli combatterono con Elefenore nella guerra di Troia come privati cittadini” (Thes. XXXV 7). Ma il ricordo di Teseo non sarebbe andato irrimediabilmente perduto.

 

Dopo la vittoria nelle guerre persiane, all’epoca dell’arcontato di Fedone, la Pizia ordinò agli Ateniesi di recuperare le ossa di Teseo per custodirle presso di loro e onorarle. Fu Cimone, una volta conquistata l’isola, a dedicarsi con zelo all’ardua impresa: “Si narra che, avendo scorto un’aquila che per una qualche volontà divina dava colpi di becco a una sorta di collinetta e la scavava con gli artigli, comprese e si mise a scavare in quel punto. Fu rinvenuta una tomba con un grande corpo, deposto insieme a una lancia di bronzo e a una spada. Cimone portò via i resti sulla sua trireme e gli Ateniesi in festa li accolsero con splendide processioni e sacrifici, come se a tornare in città fosse stato lo stesso Teseo” (Thes. XXXVI 2-3).

 

L’eroe fondatore di Atene, il fautore della democrazia attica, il difensore dei più umili e deboli aveva fatto finalmente ritorno nella sua terra tra la sua gente. E questa volta vi sarebbe rimasto definitivamente, proprio come tutto ciò che si imprime nella memoria e nella cultura collettiva, plasmandola e alimentandola quotidianamente. Un vero e proprio ktema eis aei, un patrimonio per sempre.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

H. Bengtson, Griechische Geschichte: von den Anfängen bis in die römische Kaiserzeit, München 1977, trad. it. Bologna 1989.

M. Bettalli, G. Vanotti (ed.), Plutarco, Teseo, Milano 2003.

T. E. Duff, Plutarch’s Lives, Exploring Virtue and Vice, Oxford 1999.

C.B.R. Pelling, Plutarch’s Methods of work in the Roman Lives, «The Journal of Hellenic Studies» XCIX (1979), 74 - 96.

C.B.R. Pelling, Plutarch: Roman Heroes and Greek culture, in M. Griffin, J. Barnes, Philosophia Togata, Oxford 1989, 199ss.

B. Virgilio, Lancia, diadema e porpora. Il re e la regalità ellenistica, Pisa 2003.

K. Ziegler, Plutarch von Chaironeia, in RE XXI Stuttgart 1951, trad. it. Brescia 1965.



 

 

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