N. 14 - Febbraio 2009
(XLV)
Terra
di Gomorra
Ricordi
di Arturo Capasso
Trecentotrenta
pagine. Roberto Saviano mette sotto accusa i signori del
malaffare, che avviluppano la Campania da troppi anni,
trovando sempre nuovi canali di penetrazione,
distruzione. E’ come se avessero una schiera di esperti
marketing: non si tratta di lanciare una nuova auto
ecologica o un biscotto a basse calorie.
Forse, più che di esperti
marketing, bisognerebbe parlare di rabdomanti, uomini
che con un semplice ramoscello di frassino si aggirano
per la campagna e individuano dove scavare, perché
sentono che lì sotto c’è l’acqua. In poco tempo quel
terreno diventa rigoglioso, nascono frutta e verzure. Ma
dalla bacchetta del gruppo di malaffare nasce solo
danaro, accompagnato da rivoli di liquido rosso. Invece
della vita c’è la morte.
Scampia, la buona terra. Lo ricordo benissimo, avrò
avuto sei anni; i miei nonni abitavano al Corso Vittorio
Emanuele a Secondigliano. Da poco si erano trasferiti
lì, giacché i miei zii avevano acquistato l’intero
secondo piano col giardino. E nel giardino c’erano le
caprette, mentre sul terrazzo si facevano crescere i
colombi e i conigli. Nel giardino c’erano anche le
galline e ben presto imparai a verificare se “tenevano
l’uovo” In tal caso bisognava arrotolare una specie di
calza intorno al becco, per evitare che pizzicassero
l’uovo appena deposto. Da poco era stato introdotto il
sabato fascista.
Ero figlio della lupa e mi
esercitavo con gli altri della scuola in un enorme
cortile. Poi accompagnavo mio nonno col suo calesse a
Scampia. Era una bella passeggiata. Tutto verde, la
strada era larga, c’era un tram che andava ad Aversa ed
aveva tre vetture. Gli altri che si fermavano a
Giugliano ne avevano due. Quello che partiva da
Secondigliano – ed era frequente – solo una. Era un
mondo semplice, ordinato.
Molti andavano in bicicletta, ci andava anche mio zio,
che s’incollò ad un camion e morì. Io nacqui subito dopo
e m’imposero il suo nome. Il paese era tranquillo;
c’erano quattro cinque famiglie di grossi commercianti e
piccoli industriali. Poi una fascia media ed una molto
bassa, che viveva verso il cimitero,nel quartiere dei
Censi. Il paese era abitato da molte vedove bianche.
I mariti facevano i magliari e si recavano nei Paesi più
disparati La Germania, le Americhe, l’Arabia erano le
zone più battute. Vendevano tessuti di misto lana,
prodotto a Prato, ma la stampigliatura in cimossa
parlava chiaro: era purissima lana prodotta a Biella da
Ermenegildo e Mario Zegna.
A quei tempi i due
fratelli non si erano ancora divisi.. Una volta – mi
raccontava mio padre – i ladri vennero a casa nostra e
ripulirono con cura. Ricordo la guerra, le sirene, la
carta colorata attaccata alle finestre per non essere
visti dagli aerei avversari e per non fare rompere i
vetri quando c’erano spostamenti d’aria, Le code. C’era
poco da mangiare, il regime era molto rigido, ma fino ad
un certo punto. Il contrabbando – specialmente pasta
bianca – era frequente.
A Secondigliano cambiammo
casa un paio di volte, ma sempre non molto lontano da
quella dei nonni. Così, durante le feste, stavamo tutti
insieme. Mio nonno preparava degli scanni e vi adagiava
le tavole dei letti. Per quei giorni i materassi erano a
terra. La tavola era lunga, ricca, movimentata. A volte
si decideva di stare ognuno per conto suo, ma all’ultimo
momento veniva uno degli zii, convinceva mia madre e con
tutte le pentole ci trasferivamo dai nonni. Spesso
dormivo da loro.
Quando venimmo ad abitare a via Santa Lucia, stemmo per
qualche tempo a casa loro, per evitare le bombe sempre
più cattive; caddero anche sul nostro palazzo,
distruggendoci mezzo appartamento. Un giorno si ruppe un
bicchiere prezioso. Mia zia sussurrò: “ Se mi dici che è
stato, ti regalo un pezzo di cioccolato” Ed io: “Lo so,
ma prima voglio il pezzo di cioccolato” E lei
prontamente me lo diede. Non avevo fatto alcuna
delazione: il colpevole ero stato io. Man mano vengono
alla mente altri ricordi, episodi, spunti.
Scampia. La buona terra. Verzure, alberi da frutta e “la
vite maritata al pioppo”.
C’erano altissime spalliere fra i pioppi e su queste
crescevano milioni di chicchi, che poi davano un vino
bianco, unico. Scampia: terra verde, ubertosa. Scampia:
strage, umiliazione.
Il compianto Domenico Rea, durante una conversazione
molto seguita al circolo della Stampa, sintetizzò il
carattere del napoletano mettendo in risalto il suo
animo barocco; rilevò che siamo sempre portati
all’esasperazione e, per fare un esempio, aggiunse: se
il napoletano scorge da qualche parte un po’ di
spazzatura, dice subito che ha visto una montagna di
monnezza.
A questo pensavo
stamattina all’alba, mentre mi avviavo verso Arco
Felice. La strada era già piena di auto dirette al
centro. Gente operosa, che si anticipa di ore per non
restare imbottigliata nel traffico, come avviene
solitamente. E tutti provano sdegno per quei maledetti
cumuli di spazzatura ai bordi della strada. Altro che
montagne, questi sono chilometri e chilometri di
monnezza; non è necessario essere barocco, basta avere
gli occhi aperti.
Pozzuoli. Non sembra
possibile. Cumuli e cumuli di spazzatura si affrettano a
darti il benvenuto nella “Città d’Europa”. Sono a destra
e a manca, sembra vedere tante manine che ti salutano
nei loro abiti bianchi, neri, variopinti. Buste piccole,
grandi, grandissime. Carte, cartacce, cartoni, bottiglie
di vetro, di plastica, sedie, poltrone, scaldabagni,
tavole di armadi, letti, guardaroba. Senti un odore di
creolina e ti affretti ad alzare il finestrino
dell’auto.
Poi lo riabbassi. Errore,
la creolina ha lasciato il posto a spazzatura in
decomposizione, maleodorante. E non è tutto, c’è anche
puzzo di bruciato. Si vede, ogni tanto, qualche grosso
bilico che inizia a caricare. Sembrano – questi mezzi –
i carretti coi monatti che caricavano gli appestati, di
manzoniana memoria.
Da Pozzuoli a Quarto il
paesaggio è uguale, maledettamente uguale. Ogni volta si
dice che è colpa nostra, perché quando andiamo a votare
scegliamo le persone sbagliate. Si possono ridurre
questo sdegno e questa impotenza? E’ possibile una forma
di impeachment verso chi non è capace? Tu
amministratore non riesci a predisporre un servizio
essenziale elementare e, se non ti pago a fronte di una
prestazione non effettuata, mi vieni contro, mi
perseguiti con tutti i mezzi. Una vera inquisizione, che
va a prendersi un’auto rotta che serve per muoversi o
quattro mura costruite col sacrificio di tutta una vita.
Chi ti dà, chi ti ha dato tanto diritto, tanto ardore?
Sto vivendo momenti di profondo disagio. Ai posti di
blocco ho visto mamme coi bambini, giovani, anziani.
Parlavano poco, erano stanchi delle lunghe veglie,
preoccupati per il futuro. Luoghi ameni, pregni di
storia millenaria, sono stati trasformati in terribili
gehenne, luoghi di eterna dannazione. La
gehenna era una valle fuori le porte di Gerusalemme,
dove si versava la spazzatura della città e vi ardeva
sempre il fuoco. Prima aveva un’altra funzione: si
facevano sacrifici umani, dedicati al dio Moloch.
I governanti della nostra
regione sono riusciti in una impresa che sembrava
impossibile. Hanno riempito la Terra una volta benedetta
con terribile gehenne, ma non soltanto con
fuochi. Hanno ripristinato anche il rito al dio Moloch,
facendo morire migliaia di persone. La tecnica è più
raffinata: li fanno morire piano piano, “passo dopo
passo”. Così non se ne accorgono. Ma quelli che sono
contro la pena di morte, cosa dicono di questa morte
lenta continua sicura?
Parata di stelle. No, non sono le stelle che affollano i
nostri schermi dall’alba a notte fonda. E’ in corso il
processo per truffa aggravata e continuata ad danni
dello Stato e frode in pubbliche forniture. Gli indagati
sono ventotto; troviamo responsabili di laboratorio,
capi impianto, funzionari, dirigenti, direttori
generali. Gli imputati eccellenti sono quattro: il
Leader Maximus, nella qualità di commissario di Governo,
un sub commissario, un vice commissario, un
amministratore delegato. Per difendere tanti indagati
eccellenti è sceso in campo il ghota del foro. Il
termine gotha indica “il meglio del meglio” di
una certa categoria e deriva da una città tedesca della
Turingia – Gotha – dove fra il 1763 ed il 1944 si
pubblicò un almanacco genealogico delle più importanti
famiglie nobiliari.
Che strano. Siamo
costretti ad inviare in Germania tonnellate e tonnellate
di lordure – termine che prendo dal francese lordures,
puzza di meno – e loro ci mandano una parola, una sola
parola per una parata di stelle di avvocati, che
difendono proprio i responsabili di tale immenso
disastro.
Ricordo la trilogia dello
scrittore Sholem Asch. Il protagonista – Sakarij Mirkin
– si batteva per difendere gente alla buona, povera, ma
della cui innocenza era profondamente convinto. Queste
stelle del nostro firmamento, come giudicano i loro
illustrissimi clienti? Dentro, dentro se stessi, che ne
pensano? E’ l’alba, il merlo è tornato a fischiettare
sull’albero del mio giardino. Sta tornando la primavera,
tutto può ancora cambiare.
Al capezzale di questo Sud ammalato da secoli sono
chiamati scrittori, politici, tavolorotondisti, esperti
a vario titolo. Se ne parla, se ne discute, gli atti
vengono raccolti in grossi faldoni e dopo poco anche gli
ultimi incontri convegni congressi restano un ricordo
più o meno sbiadito. Perché se ne parla soltanto?
E perché la lama della
scrittura – bella espressione di Roberto Saviano – non
riesce a penetrare nella poltiglia gelatinosa amorfa
viscida? Dobbiamo renderci conto che nel sud d’Italia
sono saltati tutti gli equilibri del vivere civile. I
morti ammazzati non fanno più notizia. Solo quando
capita a qualche personaggio pubblico la casta si muove.
Si mobilitano giornali, giornalisti, opinionisti, alte
ed altissime cariche dello Stato.
C’è un coro sofferto di
elevata indignazione e solidarietà immediata di questi e
di quello, l’impegno solenne e verbale a cambiare: non
succederà nulla. Questa – come chiamarla –
organizzazione, lobby, società per azioni – non potrà
essere sconfitta per un motivo molto semplice: essa
racchiude in sé i tre poteri dello Stato, legislativo,
giudiziario, esecutivo. Io faccio e sono la legge, io
stabilisco se hai sbagliato, io ordino di punirti, senza
alcun appello e difensore.
A volte mi prendo lo
sfizio di eseguire personalmente la sentenza. La
divisione dei poteri non esiste più. I tre poteri, tanto
cari a Montesquieu e che formano la base della
democrazia, hanno un’applicazione sempre più debole, Il
potere è concentrato nelle mani di una sola persona. Ma
c’è di più: ai tre poteri se ne aggiungono altri, forse
ancora più forti. Io dico se devi lavorare , come e
quando; io ti autorizzo ad aprire bottega, io ti
assicuro in caso di necessità, sia che tu stia in
prigione o fuori.
Siamo di fronte ad un
controllo superiore ad ogni ottimistica prospettiva del
buon Lord Beveridge, altro che Stato sociale con
assicurazione dalla culla alla bara. Abbiamo superato
anche la Svezia in questa politica sociale di
avanguardia. Qui si opera prima e dopo, con buona pace
delle Istituzioni, alte ed altissime che siano.
Non era mai successo. In un’aula del tribunale di Napoli
l’avvocato che difende un potente clan camorrista legge
un intervento del boss contro un giudice, una
giornalista, e lo scrittore Saviano. La vicenda ha
destato persino l’indignazione del presidente della
Repubblica: Ma perché ce l’hanno tanto con Roberto
Saviano?
Lo scrittore vive da tempo
in un luogo segreto, il suo libro Gomorra ha superato il
milione di copie. Camorra. Vorrei ricordare ciò che il
fondatore della sociologia moderna Max Weber ha scritto
in una nota della sua monumentale Economia e società.
L’opera apparve a Tùbingen nel lontano 1922: “Ecco
l’osservazione di un fabbricante napoletano fattami
circa vent’anni fa, in risposta ai dubbi sull’efficacia
della Camorra in riferimento all’impresa: Signore, la
Camorra mi prende X lire al mese, ma garantisce
sicurezza; lo stato me ne prende dieci volte tanto, e
garantisce nulla”.
Secondo l’Enciclopedia
Minerva “Dopo il 1848, avendo molti camorristi fatto
causa comune con i liberali e non essendo l’autorità in
grado di mantenere l’ordine pubblico, la c. finì per
alcuni anni, sia pure larvatamente, con il divenire a
Napoli la polizia ufficiale” .Ulteriore conferma della
forza di tale gruppo malavitoso la troviamo nell’Encyclopaedia
of the Social Sciences”: era considerata la più
grande organizzazione criminale del mondo”. Ingenuamente
il Grande Dizionario Enciclopedico , apparso nel 1934,
tende a rimuoverne l’esistenza: “ Oggi la C., che ci fu
più volte rimproverata dagli stranieri, è del tutto
estinta”.
Il mercoledì delle ceneri la Chiesa ammonisce:
Memento homo, quia pulvis es et in pulvem reverteris.
Ricordati uomo, che polvere sei e polvere diventerai.
Pochi ascoltano, per molti il carnevale continua, anche
se magro. Ci sono le ceneri di Gramsci. Una idea, una
ideologia che è crollata, andata alla deriva, con buona
pace di quanti credevano e combatterono. Abbiamo ceneri
recenti, più vicine a noi..
Ma più che ceneri sono
poltiglie informi, ancora fumanti e piene di miasmi.
sono i troppi cumuli di lordura che gente esasperata non
sopporta più. Ma non bastano i piccoli fuochi, ci
vorrebbe un grande enorme fuoco purificatore, per
liberarsi una buona volta di quanti sono preposti al
bene pubblico. La torre del Leader Maximus resiste
ancora e i suoi consiglieri di ieri e di oggi si
guardano bene dall’attaccarlo. All’enorme mucca hanno
succhiato a piene mani, riempendosi mani tasche borse
borsoni. Si dice e si ripete che il fine giustifica i
mezzi. Io dico e ripeto che un mezzo malavitoso
giustifica la fine. La fine di questo imperio attesa
sperata.
Gli appelli agl’intellettuali napoletani non si contano
più; c’è una campagna acquisti frenetica. Più passano i
giorni, più ascoltiamo le cronache cittadine, più ci
rendiamo conto che – almeno per chi crede e ci crede –
l’appello andrebbe fatto in Alto, molto più in Alto.
Sono tornato nella vecchia piazza Mercato e mi sono
inoltrato per via Savarese con i tanti vicoli che si
partono da essa.
Alcuni, addirittura, con
degli alti muri al centro strada. Quindi, per passare,
bisogna zig-zagare. Poca gente, per strada. Tanti,
tantissimi negozi chiusi. Forse la percentuale supera il
settanta per cento. E perché? Perché c’è stata questa
fuga da zone operose, che pure producevano reddito per
tanta gente? Un processo continuo, irreversibile. Ma le
saracinesche abbassate sono servite a qualcosa: i
candidati all’ultima consultazione elettorale suppletiva
hanno affisso i loro messaggi pieni di speranza. E c’è
anche un bel manifesto con noti cantanti: sarebbe venuto
Pippo Baudo a dare una mano ad un candidato .Questi
cartelli sembrano un ulteriore insulto per una strada
ormai de-vitalizzata (e non de-rattizzata).
Una faccia tosta a
chiedere un pezzo di pane a chi sta morendo d’inedia.
Meno del venti per cento si è recato a votare, in questo
quartiere. Poveri sì, abbandonati sì, ma fessi no.
Intanto, la massima autorità regionale continua a
mettere prime pietre: prime ed ultime. Se ricordo bene,
prima del terremoto del 1980 fu pubblicato un album di
Ornella Vanoni: Ricetta di donna. Fra le altre canzoni
c’era Sole di A. Ambrosino e R. Fiorillo, durata 3
minuti e 16 secondi.
Mi sono rimaste impresse
le parole che alla fine erano imploranti:
Sole
E ttrase int’ a’ sti viche
Sole, abbrucia chesti pprete
Tu ‘o miracolo ‘o può ffà
Sole, abbrucia ‘sta città.
Questa città ha perso il gusto di ridere piangere
vivere. Gli amministratori dovrebbero essere processati
per alto tradimento.
Tanti anni fa, quando ero all’ Università, durante le
vacanze di Pasqua e Natale facevo l’accompagnatore
turistico. Guidavo gruppi di studenti per le villes
d’art e mi divertivo moltissimo. Si partiva da
Napoli, si andava a Roma, Firenze, Venezia. I giovani
turisti venivano da vari Paesi europei e spesso anche
dagli Stati Uniti, dall’Australia, India, Africa..
Si parlava sempre, in
viaggio, seduti fuori ad un bar o sulle scale di qualche
monumento, in albergo. C’erano continui scambi di idee
ed ideologie. Ognuno aveva una sua storia che voleva
raccontare agli altri. Quando il gruppo arrivava a
Napoli, quasi sempre faceva base a Sorrento; si andava
un giorno a Capri,un giorno a Napoli ed il terzo giorno
era dedicato a Pompei ed al Vesuvio. L’ascesa al vulcano
era sempre estremamente interessante ed emozionante. I
giovani turisti seguivano le guide e salivano, col tempo
bello o brutto. Sono tornato da quelle parti per
visitare l’Osservatorio, che è ben tenuto, curato con
amore e competenza, secondo una tradizione secolare. Poi
c’è la strada che mena al cratere.
Code di auto, di pullman,
di parcheggiatori autorizzati e autonomi, chioschetti
disseminati con pizzette e fritturine dall’aspetto poco
attraente, la biglietteria per pagare il biglietto
d’accesso al Vesuvio. Da quanti anni bisogna pagare? E
chi lo ha stabilito? Gas di scarico di moto, auto,
furgoni,camion, pulmini, pullman,roulotte, stridere di
freni, turisti anziani che inciampano. Dove sta la
vecchia gloriosa funicolare che portava su allegre
comitive? Nulla, solo una stazione con infissi sbattuti
divelti abbandonati. Un grosso salone è diventato
ricettacolo di cartacce buste piatti bicchieri
tovaglioli e quanto serve per qualche ora d’intimità.
Fuori, lo spettacolo è
anche peggiore, con lo stesso assedio di cumuli
indecenti di spazzatura abbandonata. E, volgendo lo
sguardo verso sinistra, si vedono grossi blocchi di
cemento con tondini di ferro arruffati, come mostri
marini. La vecchia gloriosa funicolare, poi seggiovia,
non parte ancora, anzi, non partirà più.
Qualche illuminato
superman super attivo ha scoperto che potrebbe
deturpare il paesaggio e quindi è meglio se non parte
più. In fondo, è meglio, molto meglio il serpentone
continuo di mezzi. Che inquinano. Inquinano? Ma vogliamo
scherzare?
Decidete, signori
responsabili irresponsabili. Decidete preso e bene,
anche se ho i miei dubbi. Ma, per cortesia, cominciate a
togliere la monnezza di mezzo Quelle figuracce le
facciamo tutti noi e voi non avete alcun diritto di
tenerci in mezzo a queste schifezze.
Forse pensaste a Mao, che
disse valere più una carriola di sterco che dei libri di
teologia. Ma era sterco, non era plastica ed aveva una
funzione ben precisa: concimare. Concimare, avete
capito?
Il pellegrinaggio di Roberto a Casarsa presso la tomba
di Pasolini mi ha ricordato un pellegrinaggio che feci
circa cinquanta anni fa alla tomba di Dostojevskij a
Pietroburgo.
E’ come se si cercasse una
risposta ai propri dubbi ed una conferma alla propria
missione. Scrive Saviano: “Mi andava di trovare un
posto. Un posto dove fosse ancora possibile riflettere
senza vergogna sulla possibilità della parola. La
possibilità di scrivere dei meccanismi del potere…”
Voleva verificare se poteva denunciare e documentare
“con la sola lama della scrittura”.
Le pagine successive
acquistano forma di consapevolezza, quasi un impegno (o
un giuramento?): “Io so e ho le prove”. Lo ripete una
decina di volte, come se volesse gridarlo dentro di sé e
al mondo intero.
A Pietroburgo visitai la casa dove Dostojevskij visse
per alcuni anni e scrisse I fratelli Karamazov.
Volli andare a salutare le sue spoglie. Oltre la
Nievskij sorgeva il cimitero degli uomini illustri Una
stele in marmo con una effige in bronzo: Dostojevskij.
Ed una epigrafe da San Giovanni: “In verità, in verità
vi dico: se il grano di frumento cadendo in terra non
muore, resta solo; se muore, produce un frutto
abbondante”.
Il messaggio di Saviano dovrebbe produrre un frutto
abbondante in questa terra sempre più arida. Per il
secondo volume della mia trilogia – Pensieri in corso
– ho scelto come copertina L’urlo di Munch ed ho
riportato in prima battuta una riflessione di Vassilij
Simonenko, poeta ucraino morto di cancro a ventotto
anni: “Perdere il proprio coraggio significa perdere la
propria dignità”.
Nel congedo a questo libro
ho scritto:
La sfinge è penetrata di peso
Ha fatto sentire il suo influsso
False acclamazioni dichiarazioni
Uomini prostituti per un posto
una sedia una poltrona.
Un corrompersi generale
Trovare tutto a facile presa.
L’idea del sacrificio, la rettitudine
Tutto scompare.
No, non è vero, non praevalebunt.
I portatori di vecchie gabelle
Gli speculatori di oscura ignoranza
I profittatori di gente alla buona
E’ certo, certissimo, non praevalebunt.
Amen
Forza, Roberto. Possiamo ancora farcela, dobbiamo. |