contemporanea
TERESA GRIGOLINI COCOREMPAS
SUORA MOGLIE E MADRE
di Raffaele Pisani
Nella sua esistenza, caratterizzata da
tante situazioni dolorose e tragiche, ha
saputo mantenere salda la fede religiosa
e agire sempre coerentemente con la sua
coscienza.
Teresa Grigolini Cocorempas era
nata nel 1853 a San Martino Buon
Albergo, in provincia di Verona, la sua
vocazione per la vita religiosa era
presente fin dai dagli anni
dell’adolescenza. Fondamentale fu
l’incontro con Daniele Comboni,
il grande missionario dell’Africa
nera, ora santo, che ben conosceva
la famiglia Grigolini alla quale faceva
spesso visita. Fu in una di quelle
occasioni che suggerì alla giovane
Teresa di entrare nell’Istituto delle
Pie Madri di Nigrizia a Verona; la
ragazza accolse con fervore l’invito e
iniziò il periodo di formazione che la
portò alla professione nel 1876.
L’Africa era la sua destinazione, prima
in Egitto, dove rimase per qualche tempo
per acclimatarsi, poi risalendo il Nilo
si spinse fino al Sudan, a Berber
nel 1878, di lì a poco nella capitale
Karthoum, poi ancora El-Obeid. Comboni
ebbe modo ben presto di apprezzare in
lei notevoli doti, non solo spirituali
ma anche organizzative. La nominò
superiora provinciale con il compito di
gestire la vita comunitaria con le altre
suore partite da Verona insieme a lei.
Diversi ostacoli si frapposero al
progetto comboniano di Rigenerare
l’Africa con l’Africa stessa, il più
immediato era costituito dalle malattie
tropicali che mietevano tante vittime
fra gli europei che si inoltravano in
quelle zone. Nel 1881 mori lo stesso
Comboni, senza aver completato la sua
opera missionaria. Ma altre sventure
colpirono il Sudan e la piccola comunità
di suore.
In quello stesso anno Muhammand Ahmad
Ibn Al-Sayyd, riconosciuto dai suoi
seguaci come il Mahdi, l’inviato da Dio
per liberare i popoli islamici dal
dominio degli Europei e da chi
collaborava con loro, aveva iniziato la
sua “guerra santa”. Un tentativo
di sedare la rivolta da parte di un
corpo di spedizione anglo-egiziano al
comando di William Hicks si risolse in
una grave sconfitta, che rafforzò
ulteriormente l’avanzata mahdista. Negli
anni successivi si arriverà alla
costituzione di una sorta di Stato
islamico integralista, anche Khartoum
cadrà nelle mani del Mahdi.
Le notizie di quanto accadeva in Africa
giungevano abbastanza velocemente
tramite dispacci telegrafici in Europa.
A Verona lo scrittore Emilio Salgari
scriveva un racconto avventuroso e
fantastico, nel quale però erano
presenti dati reali. La favorita del
Mahdi, pubblicata a puntate sui
giornali cittadini proprio mentre i
fatti si svolgevano, accenna alla
situazione dei missionari prigionieri e
nomina anche la Grigolini.
La città di El-Obeid e con essa la
missione dove operava suor Teresa venne
occupata nel 1883 e per le suore, come
per gli altri europei, perlopiù
commercianti, iniziò un lungo e
travagliato periodo di prigionia. Solo
pochi riuscirono a fuggire, altri
perirono di stenti e altri ancora
dovettero attendere molti anni prima di
essere liberati.
Sia il Mahdi sia il suo successore, il
califfo Abdullahi, definito da suor
Teresa come un “demonio peggiore del
primo”, misero in atto torture
psicologiche e fisiche nei confronti dei
prigionieri. Questi furono costretti a
sopravvivere in condizioni di carenza di
cibo, con continue minacce e finte
esecuzioni. Ma per le suore la sorte fu
anche peggiore, la loro condizione di
donne faceva sì che venissero
continuamente minacciate di essere
rinchiuse in un harem.
A tutti veniva richiesto di abiurare la
propria fede per avere in cambio la vita
e una certa tranquillità; alcuni
cedettero, ma la piccola comunità di
suore rimase salda nelle proprie
convinzioni. In seguito venne imposto
loro di sposarsi e alcuni uomini,
anch’essi prigionieri, si prestarono a
dei finti matrimoni celebrati da un
fakir, rispettando la loro castità.
L’imposizione successiva, sempre in
spregio alle loro convinzioni, fu la
generazione della prole, quale attestato
della consumazione del matrimonio.
Suor Teresa si unì con un mercante
greco, Dimitri Cocorempas; padre Josef
Ohrwalder, di Bolzano, l’aveva sciolta
dal voto di castità e di nascosto aveva
celebrato un matrimonio cristiano.
Dall’unione nacquero tre figli: una
bambina, che morì di stenti qualche anno
dopo, e due maschi nati dopo che
l’intervento inglese del 1898 aveva
messo fine alla Mahdìa.
Gli europei liberati ripresero le loro
attività e Teresa si trovò a dover
decidere cosa fare. Nove anni prima,
prevedendo quanto sarebbe accaduto,
aveva scritto:
«Tutti
saranno liberati, le suore torneranno al
loro convento, gli altri in seno alle
loro famiglie e ai loro paesi, per me
sola non ci sarà più né convento né
famiglia e fino alla morte durerà la mia
schiavitù».
I legami familiari non erano condizione
da cui si potesse prescindere. Visse per
qualche tempo al Cairo, per poi
ritornare in Italia con i figli,
Giuseppe e Giorgio. Nel 1906 tornerà
ancora nel Sudan, seguendo il marito che
a Omdurmam, vicino Khartoum, era
riuscito a riattivare la propria
azienda. In questa occasione Teresa ebbe
ancora modo di aiutare economicamente la
missione comboniana di El-Obeid, alla
quale si sentiva unita spiritualmente.
Poi Dimitri se ne andò in giro per il
mondo per continuare le sue attività
commerciali. Teresa ritornò ancora una
volta in Italia con i figli. Quando
venne a sapere che il marito era tornato
al Cairo gravemente ammalato, lo
raggiunse per assisterlo amorosamente
fino alla morte, nel 1915. I figli,
divenuti adulti, si dedicarono, come
aveva fatto il loro padre, all’attività
commerciale, Giuseppe perlopiù in
Italia, Genova Milano; Giorgio invece
per un certo tempo operò in Palestina.
Dopo la morte di Dimitri, Teresa aveva
cercato di rientrare in Italia ma a
causa del conflitto mondiale fu
costretta a rimandare fino al 1919.
Tornata finalmente a Verona, chiese di
essere ripresa nell’istituto da dove
tanti anni prima era partita, ma trovò
le porte chiuse.
Quello che era successo e quello che
veniva raccontato non sempre
coincidevano, anche per oggettive
difficoltà a ricostruire gli eventi. Si
trattava in ogni caso di una situazione
delicata che la mentalità del tempo
difficilmente accettava. Teresa passò
gli ultimi dodici anni della vita nel
paese natale assieme al fratello
parroco.
A un certo punto sentì il bisogno di
raccogliere le sue memorie per
raccontare la propria esistenza in gran
parte passata tra la prigionia e
l’abbandono, ora pubblicate in un libro
intitolato Tutti sapevano che ero
stata suora. Non è un’autobiografia
ma una serie di lettere scritte da lei e
da altri membri della famiglia
comboniana nei primi anni dell’attività
missionaria, durante la prigionia e dopo
la liberazione. Ci sono anche due
missive che il figlio Giuseppe scriverà
a suor Ermenegilda Morelli, una delle
prime comboniane che ha contribuito a
scrivere la storia dell’istituto, alcuni
anni dopo la morte di Teresa.
Si racconta che dalla casa dove era
ritornata ad abitare poteva vedere
attraverso una particolare finestrella
la chiesa del paese, era un modo molto
discreto di partecipare alla vita della
comunità. Verso la fine del suo cammino
terreno, morirà nel 1931, l’istituto le
mandò una sorella per accudirla, una
forma, seppur modesta, di riconoscimento
per quel che aveva fatto.
Ci vorranno ancora più di sessant’anni
anni affinché sia finalmente accolta
nella tomba delle Missionarie
Comboniane. La causa di
beatificazione, che riconosca alla suora
le virtù eroiche di un lungo martirio
che è durato per tutta la vita, trova
ancora parecchi ostacoli, anche se le
attuali consorelle si danno molto da
fare per vederla finalmente sull’altare.
Riferimenti bibliografici:
Paola Azzolini, Donne a Verona, a
cura di Paola Lanaro, Cierre Edizioni,
Verona 2012.
Teresa Grigolini-Cocorempas, Tutti
sapevano che ero stata suora, EMI
1996.
Emilio Salgari, La favorita del Mahdi,
Fabbri Editori, Milano 2002.
Piersandro
Vanzan, San Daniele Comboni, il
patrono della “Nigrizia”, La Civiltà
Cattolica, ottobre 2003.
Giuseppe Franco Viviani (a cura di),
Dizionario biografico dei Veronesi
(secolo XX), Accademia di
Agricoltura, Scienze e Lettere di
Verona, 2006. |