TEORIE
RAZZISTE
LE
IDEE
ELABORATE
DALL’AMERICANO
LOTHROP
STODDARD /
Parte II
di Riccardo Citterio
Una frase che può benissimo
riassumere il pensiero di
Stoddard e dei suoi colleghi
razzisti fu scritta da Seth K.
Humphrey nel suo testo Mankind:
Racial Values and the Racial
Prospect: «(…) il fallimento
delle potenze europee
nell’anteporre la protezione del
loro retaggio Ariano prima delle
loro ambizioni, sarebbe
diventato il più grande
fallimento della storia».
Sia Stoddard che Humphrey però
nei loro testi lanciarono
particolari accuse alla
Germania. Quest’ultima per gli
autori americani aveva iniziato
la guerra per puro egoismo
nazionalista, senza tener conto
appunto dell’equilibrio razziale
mondiale. È importante questo
fattore perché l’accusa che
questi intellettuali americani
rivolsero all’impero tedesco fu
unica nel suo genere.
Humphrey nel suo libro si
sofferma molto sulla
particolarità dell’ideologia
culturale tedesca e della sua
componente razziale. Egli
paragona la nazione tedesca a
quella inglese che, pur avendo
un suo impero, seppe ben
relazionarsi con le popolazioni
che aveva sottomesso. L’autore
americano riporta l’esempio dei
boeri, i bianchi d’Africa che
avevano sì combattuto per le
loro libertà ma che, dopo essere
stati sconfitti, non erano stati
costretti ad abbandonare le loro
tradizioni per abbracciare
quelle inglesi. Questa era la
differenza che Humphrey notava,
perché l’impero tedesco nelle
sue colonie e nei suoi rapporti
commerciali e diplomatici non
era riuscito a dialogare con i
vari popoli, ma era intenzionato
solamente a convertirli al suo
modo di pensare e di vivere. La
colpa è da attribuire anche alla
ideologia Prussiana improntata
su un esasperato militarismo che
impedì alla Germania di sentirsi
parte di un’unica razza bianca.
Il fatto più grave di tutti però
era che il mondo delle genti
“colorate” era rimasto pressoché
intatto. Stoddard si dimenticava
che in Africa e in Medioriente
si era combattuto e che molti
soldati coloniali avevano perso
la vita combattendo in una
guerra causata dal nazionalismo
bianco, ma per la sua visione
razzista solamente la
popolazione bianca dell’Europa
aveva veramente combattuto e
sofferto. L’autore americano
scrisse che questi Paesi
ottennero dei vantaggi sia
nell’aver combattuto in guerra
sia per gli effetti della guerra
stessa.
I musulmani per esempio si erano
risvegliati scoprendo di poter
fare fronte comune contro il
nemico occidentale. I libici,
che di fatto anche durante le
trattative per la pace stavano
affrontando una guerra contro
l’invasore italiano, avevano
ottenuto durante il conflitto
europeo l’appoggio dei tedeschi
e dell’impero ottomano e la loro
causa aveva inoltre guadagnato
l’aiuto di uomini provenienti
dall’Egitto, come Abd er Raham
Azzam, e di altri paesi
musulmani limitrofi. Inoltre la
Germania aveva spinto i paesi
musulmani, che erano sotto il
giogo degli Alleati, a
ribellarsi utilizzando il suo
alleato turco. Questi infatti
era il capo religioso del mondo
musulmano e quindi i tedeschi lo
utilizzarono per aizzare il
mondo islamico.
Ma anche gli Alleati fecero un
atto simile a quello dei
tedeschi. Essi infatti, per
poter vincere la guerra, avevano
dovuto far affidamento su truppe
afroamericane, facendole
arrivare da ogni parte del globo
e le fecero combattere accanto
ai bianchi. Stoddard rimarcò
l’errore delle nazioni europee
nell’aver usato i neri per
combattere sui campi di
battaglia europei instillando in
questi soldati considerati di
razza inferiore ancor più odio
verso la razza ariana e la
volontà di emancipazione dal
giogo dell’occidente.
È da questo presupposto che
l’ondata delle popolazioni
cosiddette “colorate” si fa
ancora più tremenda per Stoddard.
Il Giappone infatti che aveva
combattuto con gli alleati ora
era riuscito a mettere piede
nelle sale dove si decideva il
destino del mondo: un fatto
inaudito, perché era la prima
volta che, anche se con poco
potere decisionale, un paese non
bianco veniva accettato come
partner diplomatico alla pari.
Ebbe poi il Giappone l’ardire di
proporre che il razzismo fosse
messo al bando.
Stoddard reputò questo atto
terribile, ma per certi versi
coerente con i lavori che erano
stati portati avanti dalla
Conferenza di pace di
Versailles. L’autore americano
criticò fortemente i risultati
della conferenza, perché avevano
creato un ordine mondiale poco
efficace e molto pericoloso.
Perfino alcune personalità
politiche che avevano
partecipato ai lavori si
scandalizzarono di questi
risultati; uno di questi era il
generale Smuts, militare
sudafricano, che, dopo aver
firmato i vari trattati,
affermò: «Non ho firmato il
trattato di pace perché lo
considerassi un documento
soddisfacente, ma perché era
imperativamente necessario che
venisse conclusa la guerra;
perché il mondo ha bisogno
soprattutto di pace e non c’è
niente di più fatale di un
continuo stato di suspense tra
pace e guerra. Questi sei mesi
dalla firma dell’armistizio sono
stati, forse, inquietanti,
sconvolgenti e rovinosi per
l’Europa come i precedenti
quattro anni di guerra.
Considero il trattato di pace
come la chiusura dei due
capitoli di armistizio e della
guerra, e solo su tale base sono
d’accordo. Dico questo ora non
con animo critico ma con fede;
non perché desidero trovare
difetti nel lavoro svolto ma
piuttosto perché io sento che
con il trattato non abbiamo
raggiunto la vera pace che i
nostri popoli desideravano e
perché io sento che il vero
lavoro per portare la pace è
iniziato dopo la firma di questo
trattato, e in tal modo è stato
messo un freno definitivo alle
passioni distruttive che hanno
sconvolto l’Europa per quasi
cinque anni».
Con queste parole Smuts voleva
spiegare ai suoi colleghi
politici che i trattati di pace
non avevano risolto né
cicatrizzato la ferita che il
conflitto aveva causato alla
comunità bianca. L’ondata delle
genti di colore doveva essere
arginata con degli strumenti
internazionali che avrebbero
dovuto essere in mano all’élite
bianca mondiale e che avrebbe
dovuto impedire alle razze non
bianche di emanciparsi dal
dominio dell’Occidente. La
Società delle Nazioni doveva
impedire tutto ciò per Smuts, e
inoltre garantire ancora una
volta il potere dei bianchi sul
mondo che in quel periodo
fremeva di rivolte e di guerre.
Stoddard non credette nelle
risoluzioni fatte durante la
Pace di Versailles, anzi reputò
i trattati da lì usciti
estremamente labili e incapaci
di difendere il potere bianco
nel mondo. Nelle ultime pagine
del suo testo egli scrisse che
la comunità bianca avrebbe
dovuto concentrare le sue forze
per risolvere i problemi interni
alle nazioni bianche ed esterni,
dove l’Occidente aveva creato i
suoi imperi coloniali.
Per quanto riguarda i problemi
esterni, Stoddard reputò utile
impedire la circolazione delle
persone di colore non solo nelle
madrepatrie bianche, ma
soprattutto nelle colonie.
L’autore americano vedeva
nell’immigrazione, soprattutto
degli asiatici, un pericolo per
l’economia e la politica dei
paesi occidentali, perché dopo
la guerra la spinta demografica
delle popolazioni asiatiche si
stava facendo estremamente più
pressante e avrebbe causato,
secondo Stoddard, un grave
capovolgimento negli equilibri
mondiali. Egli propose che
l’Occidente avrebbe dovuto
cambiare le sue politiche in
Asia, per far sì che la
popolazione non emigrasse da
quei territori per poi
espandersi nelle regioni già
occupate dai bianchi.
L’immigrazione per l’autore
americano diventò un punto
importante. Stoddard ribadì
infatti: «Gli uomini bianchi non
possono, a rischio della loro
esistenza come razza, permettere
all’immigrazione asiatica di
riversarsi nelle aree bianche».
Il mondo dei bianchi doveva
ritornare unito e impedire che
si creassero leghe come quella
Pan-Coloured o una alleanza come
quella Colored-Bolshevist. Nelle
trattative di Versailles si
erano comunque ancora ribaditi i
principi imperialistici dei
bianchi: in quel momento non si
resero conto però di aver
peggiorato la situazione,
aizzando ancor di più il rancore
di quelle popolazioni che
avevano sperato di ottenere una
maggior considerazione civile e
politica per l’aiuto che avevano
apportato alla vittoria finale.
I pericoli che assediavano
l’equilibrio del mondo retto dai
bianchi non erano presenti
solamente all’esterno delle
nazioni ariane, ma anche
all’interno. Stoddard infatti
utilizzò un intero capitolo per
spiegare e mostrare alla
comunità bianca questi problemi.
Il primo problema era la
quantità di risorse umane atte
alla guerra che all’epoca il
mondo colorato, soprattutto
quello asiatico, poteva mettere
in campo contro l’Occidente.
Stoddard infatti ipotizzò che,
in una eventuale mobilitazione
armata delle genti colorate,
l’uomo bianco avrebbe potuto
fare ben poco. La quantità di
soldati sarebbe stata talmente
elevata che avrebbe
letteralmente sommerso la
potenza militare occidentale con
la semplice e pura forza dei
numeri.
Nel suo testo Stoddard citò il
professor Edward Alsworth Ross
che, nel suo libro The Changing
Chinese, affermò riguardo alla
qualità dei soldati cinesi: «Per
l’Occidente la resistenza del
fisico Cinese può avere una
sinistra importanza. Nessuno
teme che in uno scontro le
truppe Cinesi potrebbero
prevalere contro uno stesso
numero di soldati bianchi
freschi. Ma poche battaglie sono
combattute da uomini riposati e
freschi. Nel corso di una
campagna prolungata che prevede
approvvigionamenti irregolari,
acqua poco potabile, il dormire
fuori, la perdita di sonno, le
estenuanti marce, l’esposizione,
l’eccitazione e l’ansia,
potrebbe succedere che i soldati
bianchi ne fossero più logorati
dei soldati gialli. In questo
caso in un combattimento
prolungato i soldati con meno
spirito marziale potrebbero
sconfiggere quelli con più
spirito marziale ma con meno
resistenza».
Con questo esempio Stoddard
descrisse il caso cinese, ma
egli era preoccupato anche delle
razze marroni che con la loro
idea Pan Islamica potevano
radunare anch’essi un’enorme
quantità di uomini che avrebbe
potuto scardinare il potere
bianco.
Stoddard ribadì che queste sue
idee erano poste sempre su un
piano ipotetico, ma le nazioni
colorate avrebbero potuto
realizzare queste azioni nel
momento in cui la loro economia
fosse passata da agricola a
industriale. Nel capitolo
dedicato ai problemi interni
infatti l’autore americano
analizza preoccupato le
potenzialità di un mondo
colorato arricchito e potenziato
dalla rivoluzione industriale.
Nei capitoli precedenti infatti
Stoddard dichiarò che uno dei
vantaggi della razza bianca
sulle altre era la sua superiore
tecnologia economica. La
rivoluzione industriale aveva
portato i bianchi a scardinare
gli antichi equilibri del mondo
dove l’Occidente era meno ricco
e potente dell’Oriente. Con
l’andare avanti del XX secolo
però soprattutto l’Asia si stava
riprendendo economicamente. Nel
suo testo Stoddard descrisse la
preoccupante situazione che si
sarebbe andata a formare in un
nuovo contesto di equilibri nei
mercati mondiali, una volta
tenuti saldamente in mano
dall’egemonia bianca. Egli
ipotizzò che con l’industria
potenziata e i lavoratori a
basso costo, l’Asia e poi il
resto del mondo colorato avrebbe
potuto invadere con le sue merci
il mercato bianco, facendolo
diventare succube della sua
economia.
Stoddard riportò le affermazioni
del professor Charles H. Pearson
che anni prima nel suo testo
National Life and Character
riferì che il lavoro dei
lavoratori e delle lavoratrici
cinesi era sottopagato e che
nemmeno negli Stati Uniti certe
categorie professionali
prendevano così poco all’ora e
al mese. Naturalmente per un
autore come Stoddard non erano
le condizioni di lavoro dei
cinesi a preoccupare, ma la loro
capacità di produrre e quindi di
creare ricchezza.
Tutto questo però avrebbe
portato a un’altra conseguenza:
l’aumento demografico.
L’industrializzazione
dell’Europa aveva portato un
aumento della popolazione che
però risultò insostenibile e non
proporzionato alla ricchezza
prodotta. La popolazione europea
dovette quindi emigrare per
cercare nuovo lavoro e per
migliorare la propria situazione
economica. I paesi che
beneficiarono di questa ondata
di manodopera furono Australia,
Argentina, Brasile, ma
soprattutto gli Stati Uniti.
A questo punto Stoddard vuole
ammonire i suoi contemporanei:
quest’ondata migratoria di
popoli non appartenenti alla
razza bianca avrebbe fatto
sparire la linea di sangue degli
uomini che avevano creato il
mondo occidentale. Il problema
dell’immigrazione sarebbe stato
centrale negli anni futuri e gli
stati interessati avrebbero
dovuto intraprendere delle
politiche restrittive e
difensive contro “l’ondata di
colore”.
Anche un suo connazionale
l’avvocato Prescott F. Hall
descrisse in un suo testo,
Immigration Restriction and
World Eugenics, il problema
dell’immigrazione e come in
particolare gli Stati Uniti
dovessero affrontarlo. Hall
affermò che per le popolazioni
asiatiche: «Abbiamo avuto
un’esperienza problematica con
la razza Africana e non dovremmo
rischiare di ripetere la stessa
burrascosa esperienza con le
razze Asiatiche. Si deve notare
che l’esclusione degli orientali
è molto più rigida in Australia,
Nuova Zelanda e Canada rispetto
agli Stati Uniti».
Nel testo Hall non parlò solo di
asiatici e neri, ma soprattutto
di immigrati che provenivano
dall’Europa sconquassata dalla
guerra. Egli infatti scrisse nel
suo testo che era proprio il
momento adatto per gli USA di
inasprire le proprie politiche
immigratorie e quindi di
percorrere una via eugenetica
che avrebbe garantito la
sicurezza dello stato
nordamericano. L’intellettuale
americano scrisse nel suo testo
che di certo l’immigrazione
degli europei dell’Est e del Sud
era un problema, ma che l’Europa
non era la più grande tra le
preoccupazioni perché: «La
superficie della Terra è
limitata in estensione: e mentre
in molte parti dell’Europa il
tasso di natalità sta scemando,
in Asia e in Africa sta
probabilmente aumentando e in
tutte le regioni il tasso di
mortalità sta diminuendo. Cosa
si potrà fare quando queste
moltitudini sovraffolleranno il
loro territorio nativo?».
La risposta a questa domanda era
per questi autori da trovarsi
nella teoria eugenetica. Questi
intellettuali assistettero
infatti alla tragedia della
Prima guerra mondiale e videro
la società occidentale
distruggere quel primato che
aveva duramente costruito.
L’unico modo per difendere quel
poco di potere bianco rimasto
era formulare delle leggi
sull’immigrazione estremamente
severe e fortemente basate sulla
teoria dell’eugenetica. Stoddard
infatti ribadì che: «È
importante, pertanto, che niente
nella costituzione della Società
delle Nazioni limiti il diritto
di qualsiasi nazione di decidere
chi possa essere ammesso nella
sua vita: poiché, come dice Le
Bon una preponderanza di
elementi estranei distrugge la
cosa più preziosa che si
possiede; la propria anima».
Selezionare il migliore e
scartare il peggiore. Per
Stoddard questa frase poteva
tradursi così: i bianchi
dovevano in tutti i modi
impedire che l’ondata delle
popolazioni di colore
distruggesse e affondasse la
cultura e la razza bianca. Nella
parte finale del suo testo
infatti Stoddard afferma che se
gli Stati Uniti d’America non
avessero posto un freno
all’immigrazione, il popolo
americano, formato da varie
razze bianche, non avrebbe avuto
tempo per affinare una sua
cultura e non si sarebbe
amalgamato in modo tale da
creare un unico popolo; avrebbe
in tal modo perso la sua anima
che era stata impiantata dai
primi colonizzatori venuti
dall’Inghilterra.
Egli citò il suo collega Madison
Grant: «Noi americani dobbiamo
realizzare che gli ideali
altruistici che hanno condotto
la nostra politica sociale
durante l’ultimo secolo e lo
smielato sentimentalismo che ha
fatto dell’America un ricovero
per oppressi ha spinto la
nazione verso un abisso
razziale. Se al Melting Pot
viene concesso di bollire senza
controllo e continuiamo a
seguire il nostro motto
nazionale e nascondiamo
deliberatamente a noi stessi le
distinzioni di razza credo e
colore, il tipico discendente
del nativo Americano Coloniale
si estinguerà come gli Ateniesi
dell’era di Pericle e i
Vichinghi dell’era di Rollo».
Stoddard ritenne che in quel
periodo mentre alcune forze
europee cercavano di mantenere
il controllo sui loro imperi
coloniali, le popolazioni di
colore stavano approfittando del
momento per invadere le
madrepatrie dei bianchi con il
loro numero e con la loro forza
lavoro. Questo per l’autore
americano era un fatto
inaccettabile e pericolosissimo,
perché avrebbe costretto
l’occidente a piegare la testa
davanti a culture e persone che
fino a poco tempo prima erano
state sconfitte e sottomesse dai
bianchi.
I bianchi dovevano tornare un
unico popolo prendendo ad
esempio gli stati come
l’Australia che con un anonimo
autore aveva espresso così la
battaglia per la propria
sopravvivenza razziale: «L’idea
di una Australia bianca non è
una teoria politica. È un
vangelo. Conta più della
religione; conta più di una
bandiera, perché la bandiera
sventola su tutti i tipi di
teste; conta più dell’impero,
perché l’impero è per la maggior
parte nero, marrone e giallo; è
in gran parte pagano, in gran
parte poligamo e in parte
cannibale. Infatti, la dottrina
di una Australia bianca si basa
sulla necessità di scegliere tra
esistenza nazionale e suicidio
nazionale».
Questo inno razzista doveva
essere innalzato non solo nelle
ex colonie e nei dominions
britannici, ma anche nel vecchio
continente. L’Europa infatti non
poteva considerarsi al sicuro
dall’invasione delle razze
cosiddette inferiori, perché
essa infatti era già iniziata
prima dello scoppio del
conflitto mondiale.
Stoddard citò un autore inglese
James Stanley Little che nel suo
testo, The Doom of Western
Civilization del 1907, scrisse:
«Nessun intellettuale
equilibrato può pensare che si
possa prevenire la migrazione di
razze intelligenti,
rappresentate la metà aggregata
della popolazione del mondo, se
tali popoli capiscono appieno
che per il loro benessere
debbano andare a cercare lavoro
in Europa. In questi giorni di
transito, di cambiamento tali
misure di repressione sarebbero
impossibili (…) Non saremo
distrutti dall’improvvisa ondata
di invasori, poiché Roma venne
sopraffatta dalle orde
settentrionali: noi verremo
gradualmente assorbiti e
sottomessi da un “pacifica
invasione” di razze più virili».
L’Europa aveva commesso non solo
l’errore di iniziare una guerra
inutile e dannosa, ma per
poterla combattere aveva dovuto
usare le risorse economiche e
umane delle proprie colonie.
Stoddard già nelle pagine
precedenti aveva accusato le
potenze coloniali europee
dell’utilizzo di soldati di
colore sui campi di battaglia
del vecchio continente, ma anche
l’utilizzo di questi uomini
nelle fabbriche. Come affermò
Stoddard: «Ma durante la
terribile guerra in Europa,
uomini gialli, marroni e neri
vennero importati in massa, non
solo negli eserciti ma anche nei
campi e nelle fabbriche. Questi
alieni colorati sono stati per
lo più rispediti alle loro case.
Tuttavia, essi avevano portato
con loro il ricordo delle
meraviglie dell’Ovest e il
racconto verrà portato in tutti
i più remoti angoli del mondo
colorato, spingeranno gli
affamati ad imprese lontane.
Inoltre l’Europa ha avuto una
pratica dimostrazione
dell’utilità dell’alieno
colorato, e se i problemi
dell’Europa si prolungassero,
gli uomini colorati verrebbero
sempre più utilizzati sia in
guerra che in pace».
Il risultato del maggiore
utilizzo di uomini di colore
nelle attività industriali
avrebbe di conseguenza portato a
un impoverimento della società
bianca causando disordini e
morti che i bianchi non potevano
più permettersi. Già nella
madrepatria di Stoddard si erano
create delle sanguinose sommosse
provocate dalla paura dei
bianchi per la concorrenza degli
afroamericani. Gli USA però
potevano comunque affrontare il
problema delle razze colorate da
una posizione privilegiata
perché, pur partecipando alla
guerra, i nordamericani non
avevano avuto le terribili
perdite degli stati europei e
soprattutto non avevano subito
devastazioni sul loro
territorio. l’Europa però in
quel momento era in ginocchio a
livello economico e sociale e
quindi, per gli autori razzisti,
facile preda dell’ondata delle
popolazioni non bianche.
Stoddard incitava così alla
resistenza contro questa
possibile invasione: «E la
lezione è sempre la stessa: la
migrazione colorata è un
pericolo universale che minaccia
ogni parte del mondo bianco. In
nessun luogo può resistere alla
competizione di quello colorato;
ovunque “l’Est può sopravvivere
all’Ovest”. La triste verità
della questione è questa:
l’intera razza bianca sarà
esposta, prima o poi, alla
possibilità di una
sterilizzazione sociale e a un
finale rimpiazzamento o
assorbimento da parte delle
brulicanti razze colorate».
La paura di queste migrazioni
incontrollate divenne
estremamente comune in Europa
nel periodo subito dopo la
Grande Guerra. Molti territori
erano passati di mano e le
popolazioni che ivi vivevano in
certi casi non erano viste di
buon occhio dal nuovo occupante.
La Società delle Nazioni corse
al riparo cercando di
controllare i flussi migratori
con il Passaporto di Nansen.
Quest’ultimo permetteva a
determinate etnie che scappavano
dai loro paesi di origine di
poter entrare nei paesi che
riconoscevano tale documento e
garantiva a questi migranti la
sicurezza di non essere
rimpatriati.
Nonostante ciò questi immigrati
erano ritenuti un pericolo per
la supremazia bianca non solo
nel mondo, ma anche in Europa e
nel Nuovo Mondo. Questo era il
pericolo più immediato per le
nazioni bianche e Stoddard nella
parte finale del suo libro
ribadisce la sua idea di andare
al di là delle nazioni, al di là
delle bandiere e unire tutti i
popoli che facevano parte della
razza bianca per resistere
all’avanzata delle razze
colorate. Per poter preservare
il sangue puro della razza
eletta, secondo l’autore
americano, il mondo dei bianchi
doveva dimenticare la falsa idea
che tutti gli uomini fossero
uguali: la verità scientifica
infatti era un’altra e
determinava che gli uomini erano
catalogabili in razze tra loro
differenti, con delle
determinate caratteristiche. Si
doveva perciò individuare “una
cura per il sangue”, un metodo
per poter garantire il futuro al
mondo che fino ad allora
apparteneva ai bianchi. Stoddard
infatti affermò: «In altre
parole: l’ereditarietà è
fondamentale nell’evoluzione
umana, tutte le altre cose sono
fatti secondari».
L’unico modo per poter garantire
una ereditarietà consona per le
generazioni bianche future era
applicare alla politica del
mondo l’eugenetica razzista.
Stoddard concluse il suo testo
ribadendo: «Con il passare degli
anni sia la suprema importanza
dell’eredità che il valore
supremo della stirpe
affonderanno nel nostro essere,
e acquisiremo una vera coscienza
raziale (opposta a una coscienza
nazionale e culturale) che
colmerà gli abissi politici,
rimedierà agli abusi sociali, ed
esorcizzerà lo spettro in
agguato della mescolanza. In
quei giorni migliori, noi o le
future generazioni prenderemo in
mano il problema della
corruttibilità della razza, e
porremo fine al decadimento
della razza con la segregazione
dei deficienti, con
l’eliminazione degli handicap
che penalizzano la stirpe
migliore. A quel tempo la nostra
conoscenza della biologia sarà
accresciuta e la filosofia
popolare della vita sarà così
idealizzata che sarà possibile
inaugurare misure positive per
il miglioramento della razza che
sicuramente produrranno il
maggior numero di risultati
positivi».
Furono affermazioni molto forti,
ma che illustrano perfettamente
a che livelli il pensiero
razzista era giunto. Con queste
parole Stoddard ribadì ancora
una volta la sua ferma
convinzione di una
Internazionale Bianca che
andasse oltre le bandiere e i
confini e che unisse per una
volta tutti i bianchi in un
unico scopo: seguire il progetto
di riportare la razza bianca al
governo del mondo utilizzando
metodi scientifici come
l’eugenetica. Non era più la
scienza che doveva solamente
selezionare all’interno della
razza bianca i migliori, ma
doveva essere applicata
selezionando le razze che erano
degne di poter perpetuare se
stesse.
Karl Pearson, studioso
britannico, aveva descritto nel
suo testo, Nature and Nurture.
The Problem of the Future del
1910, i casi statistici di
elementi malati o disagiati che
trasmettevano la loro
imperfezione alle generazioni
successive. La particolarità di
questo testo era però che
l’eugenetica non si basava
appunto sulla difesa della razza
bianca dall’assalto delle razze
colorate, bensì la difesa della
stirpe in sé. Stoddard superò
Pearson: l’americano infatti
volle una dottrina eugenetica
che andasse a selezionare non
solo il migliore in termini di
salute, ma il migliore in
termini di razza.
Stoddard e gli altri pensatori
razzisti con le loro teorie
influenzarono notevolmente il
mondo occidentale, andando ad
alimentare un sentimento di
razzismo e di xenofobia che
sarebbe sfociato nel secondo
conflitto mondiale. Nella
seconda guerra mondiale le idee
eugenetiche e razziste
prevalsero su quelle
nazionaliste classiche portando
alla tragedia della Shoah e al
massacro di milioni di persone
di etnie e condizioni cosiddette
inferiori da parte di nazioni
che si ritenevano razzialmente
superiori.
Ancora oggi quelle idee che
furono redatte un secolo fa
guidano molti movimenti politici
che fomentano l’odio e il
razzismo nei confronti del
“diverso”.