[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

183 / MARZO 2023 (CCXIV)


contemporanea

TEORIE RAZZISTE

LE IDEE ELABORATE DALL’AMERICANO LOTHROP STODDARD / Parte II

di Riccardo Citterio

 

Una frase che può benissimo riassumere il pensiero di Stoddard e dei suoi colleghi razzisti fu scritta da Seth K. Humphrey nel suo testo Mankind: Racial Values and the Racial Prospect: «(…) il fallimento delle potenze europee nell’anteporre la protezione del loro retaggio Ariano prima delle loro ambizioni, sarebbe diventato il più grande fallimento della storia».
 
Sia Stoddard che Humphrey però nei loro testi lanciarono particolari accuse alla Germania. Quest’ultima per gli autori americani aveva iniziato la guerra per puro egoismo nazionalista, senza tener conto appunto dell’equilibrio razziale mondiale. È importante questo fattore perché l’accusa che questi intellettuali americani rivolsero all’impero tedesco fu unica nel suo genere.
 
Humphrey nel suo libro si sofferma molto sulla particolarità dell’ideologia culturale tedesca e della sua componente razziale. Egli paragona la nazione tedesca a quella inglese che, pur avendo un suo impero, seppe ben relazionarsi con le popolazioni che aveva sottomesso. L’autore americano riporta l’esempio dei boeri, i bianchi d’Africa che avevano sì combattuto per le loro libertà ma che, dopo essere stati sconfitti, non erano stati costretti ad abbandonare le loro tradizioni per abbracciare quelle inglesi. Questa era la differenza che Humphrey notava, perché l’impero tedesco nelle sue colonie e nei suoi rapporti commerciali e diplomatici non era riuscito a dialogare con i vari popoli, ma era intenzionato solamente a convertirli al suo modo di pensare e di vivere. La colpa è da attribuire anche alla ideologia Prussiana improntata su un esasperato militarismo che impedì alla Germania di sentirsi parte di un’unica razza bianca.
 
Il fatto più grave di tutti però era che il mondo delle genti “colorate” era rimasto pressoché intatto. Stoddard si dimenticava che in Africa e in Medioriente si era combattuto e che molti soldati coloniali avevano perso la vita combattendo in una guerra causata dal nazionalismo bianco, ma per la sua visione razzista solamente la popolazione bianca dell’Europa aveva veramente combattuto e sofferto. L’autore americano scrisse che questi Paesi ottennero dei vantaggi sia nell’aver combattuto in guerra sia per gli effetti della guerra stessa.
 
I musulmani per esempio si erano risvegliati scoprendo di poter fare fronte comune contro il nemico occidentale. I libici, che di fatto anche durante le trattative per la pace stavano affrontando una guerra contro l’invasore italiano, avevano ottenuto durante il conflitto europeo l’appoggio dei tedeschi e dell’impero ottomano e la loro causa aveva inoltre guadagnato l’aiuto di uomini provenienti dall’Egitto, come Abd er Raham Azzam, e di altri paesi musulmani limitrofi. Inoltre la Germania aveva spinto i paesi musulmani, che erano sotto il giogo degli Alleati, a ribellarsi utilizzando il suo alleato turco. Questi infatti era il capo religioso del mondo musulmano e quindi i tedeschi lo utilizzarono per aizzare il mondo islamico.
 
Ma anche gli Alleati fecero un atto simile a quello dei tedeschi. Essi infatti, per poter vincere la guerra, avevano dovuto far affidamento su truppe afroamericane, facendole arrivare da ogni parte del globo e le fecero combattere accanto ai bianchi. Stoddard rimarcò l’errore delle nazioni europee nell’aver usato i neri per combattere sui campi di battaglia europei instillando in questi soldati considerati di razza inferiore ancor più odio verso la razza ariana e la volontà di emancipazione dal giogo dell’occidente.
 
È da questo presupposto che l’ondata delle popolazioni cosiddette “colorate” si fa ancora più tremenda per Stoddard. Il Giappone infatti che aveva combattuto con gli alleati ora era riuscito a mettere piede nelle sale dove si decideva il destino del mondo: un fatto inaudito, perché era la prima volta che, anche se con poco potere decisionale, un paese non bianco veniva accettato come partner diplomatico alla pari. Ebbe poi il Giappone l’ardire di proporre che il razzismo fosse messo al bando.
 
Stoddard reputò questo atto terribile, ma per certi versi coerente con i lavori che erano stati portati avanti dalla Conferenza di pace di Versailles. L’autore americano criticò fortemente i risultati della conferenza, perché avevano creato un ordine mondiale poco efficace e molto pericoloso. Perfino alcune personalità politiche che avevano partecipato ai lavori si scandalizzarono di questi risultati; uno di questi era il generale Smuts, militare sudafricano, che, dopo aver firmato i vari trattati, affermò: «Non ho firmato il trattato di pace perché lo considerassi un documento soddisfacente, ma perché era imperativamente necessario che venisse conclusa la guerra; perché il mondo ha bisogno soprattutto di pace e non c’è niente di più fatale di un continuo stato di suspense tra pace e guerra. Questi sei mesi dalla firma dell’armistizio sono stati, forse, inquietanti, sconvolgenti e rovinosi per l’Europa come i precedenti quattro anni di guerra. Considero il trattato di pace come la chiusura dei due capitoli di armistizio e della guerra, e solo su tale base sono d’accordo. Dico questo ora non con animo critico ma con fede; non perché desidero trovare difetti nel lavoro svolto ma piuttosto perché io sento che con il trattato non abbiamo raggiunto la vera pace che i nostri popoli desideravano e perché io sento che il vero lavoro per portare la pace è iniziato dopo la firma di questo trattato, e in tal modo è stato messo un freno definitivo alle passioni distruttive che hanno sconvolto l’Europa per quasi cinque anni».
 
Con queste parole Smuts voleva spiegare ai suoi colleghi politici che i trattati di pace non avevano risolto né cicatrizzato la ferita che il conflitto aveva causato alla comunità bianca. L’ondata delle genti di colore doveva essere arginata con degli strumenti internazionali che avrebbero dovuto essere in mano all’élite bianca mondiale e che avrebbe dovuto impedire alle razze non bianche di emanciparsi dal dominio dell’Occidente. La Società delle Nazioni doveva impedire tutto ciò per Smuts, e inoltre garantire ancora una volta il potere dei bianchi sul mondo che in quel periodo fremeva di rivolte e di guerre.
 
Stoddard non credette nelle risoluzioni fatte durante la Pace di Versailles, anzi reputò i trattati da lì usciti estremamente labili e incapaci di difendere il potere bianco nel mondo. Nelle ultime pagine del suo testo egli scrisse che la comunità bianca avrebbe dovuto concentrare le sue forze per risolvere i problemi interni alle nazioni bianche ed esterni, dove l’Occidente aveva creato i suoi imperi coloniali.
 
Per quanto riguarda i problemi esterni, Stoddard reputò utile impedire la circolazione delle persone di colore non solo nelle madrepatrie bianche, ma soprattutto nelle colonie. L’autore americano vedeva nell’immigrazione, soprattutto degli asiatici, un pericolo per l’economia e la politica dei paesi occidentali, perché dopo la guerra la spinta demografica delle popolazioni asiatiche si stava facendo estremamente più pressante e avrebbe causato, secondo Stoddard, un grave capovolgimento negli equilibri mondiali. Egli propose che l’Occidente avrebbe dovuto cambiare le sue politiche in Asia, per far sì che la popolazione non emigrasse da quei territori per poi espandersi nelle regioni già occupate dai bianchi. L’immigrazione per l’autore americano diventò un punto importante. Stoddard ribadì infatti: «Gli uomini bianchi non possono, a rischio della loro esistenza come razza, permettere all’immigrazione asiatica di riversarsi nelle aree bianche».
 
Il mondo dei bianchi doveva ritornare unito e impedire che si creassero leghe come quella Pan-Coloured o una alleanza come quella Colored-Bolshevist. Nelle trattative di Versailles si erano comunque ancora ribaditi i principi imperialistici dei bianchi: in quel momento non si resero conto però di aver peggiorato la situazione, aizzando ancor di più il rancore di quelle popolazioni che avevano sperato di ottenere una maggior considerazione civile e politica per l’aiuto che avevano apportato alla vittoria finale.
 
I pericoli che assediavano l’equilibrio del mondo retto dai bianchi non erano presenti solamente all’esterno delle nazioni ariane, ma anche all’interno. Stoddard infatti utilizzò un intero capitolo per spiegare e mostrare alla comunità bianca questi problemi.
 
Il primo problema era la quantità di risorse umane atte alla guerra che all’epoca il mondo colorato, soprattutto quello asiatico, poteva mettere in campo contro l’Occidente. Stoddard infatti ipotizzò che, in una eventuale mobilitazione armata delle genti colorate, l’uomo bianco avrebbe potuto fare ben poco. La quantità di soldati sarebbe stata talmente elevata che avrebbe letteralmente sommerso la potenza militare occidentale con la semplice e pura forza dei numeri.
Nel suo testo Stoddard citò il professor Edward Alsworth Ross che, nel suo libro The Changing Chinese, affermò riguardo alla qualità dei soldati cinesi: «Per l’Occidente la resistenza del fisico Cinese può avere una sinistra importanza. Nessuno teme che in uno scontro le truppe Cinesi potrebbero prevalere contro uno stesso numero di soldati bianchi freschi. Ma poche battaglie sono combattute da uomini riposati e freschi. Nel corso di una campagna prolungata che prevede approvvigionamenti irregolari, acqua poco potabile, il dormire fuori, la perdita di sonno, le estenuanti marce, l’esposizione, l’eccitazione e l’ansia, potrebbe succedere che i soldati bianchi ne fossero più logorati dei soldati gialli. In questo caso in un combattimento prolungato i soldati con meno spirito marziale potrebbero sconfiggere quelli con più spirito marziale ma con meno resistenza». 
Con questo esempio Stoddard descrisse il caso cinese, ma egli era preoccupato anche delle razze marroni che con la loro idea Pan Islamica potevano radunare anch’essi un’enorme quantità di uomini che avrebbe potuto scardinare il potere bianco.
 
Stoddard ribadì che queste sue idee erano poste sempre su un piano ipotetico, ma le nazioni colorate avrebbero potuto realizzare queste azioni nel momento in cui la loro economia fosse passata da agricola a industriale. Nel capitolo dedicato ai problemi interni infatti l’autore americano analizza preoccupato le potenzialità di un mondo colorato arricchito e potenziato dalla rivoluzione industriale.
 
Nei capitoli precedenti infatti Stoddard dichiarò che uno dei vantaggi della razza bianca sulle altre era la sua superiore tecnologia economica. La rivoluzione industriale aveva portato i bianchi a scardinare gli antichi equilibri del mondo dove l’Occidente era meno ricco e potente dell’Oriente. Con l’andare avanti del XX secolo però soprattutto l’Asia si stava riprendendo economicamente. Nel suo testo Stoddard descrisse la preoccupante situazione che si sarebbe andata a formare in un nuovo contesto di equilibri nei mercati mondiali, una volta tenuti saldamente in mano dall’egemonia bianca. Egli ipotizzò che con l’industria potenziata e i lavoratori a basso costo, l’Asia e poi il resto del mondo colorato avrebbe potuto invadere con le sue merci il mercato bianco, facendolo diventare succube della sua economia.
 
Stoddard riportò le affermazioni del professor Charles H. Pearson che anni prima nel suo testo National Life and Character riferì che il lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici cinesi era sottopagato e che nemmeno negli Stati Uniti certe categorie professionali prendevano così poco all’ora e al mese. Naturalmente per un autore come Stoddard non erano le condizioni di lavoro dei cinesi a preoccupare, ma la loro capacità di produrre e quindi di creare ricchezza.
 
Tutto questo però avrebbe portato a un’altra conseguenza: l’aumento demografico. L’industrializzazione dell’Europa aveva portato un aumento della popolazione che però risultò insostenibile e non proporzionato alla ricchezza prodotta. La popolazione europea dovette quindi emigrare per cercare nuovo lavoro e per migliorare la propria situazione economica. I paesi che beneficiarono di questa ondata di manodopera furono Australia, Argentina, Brasile, ma soprattutto gli Stati Uniti.
 
A questo punto Stoddard vuole ammonire i suoi contemporanei: quest’ondata migratoria di popoli non appartenenti alla razza bianca avrebbe fatto sparire la linea di sangue degli uomini che avevano creato il mondo occidentale. Il problema dell’immigrazione sarebbe stato centrale negli anni futuri e gli stati interessati avrebbero dovuto intraprendere delle politiche restrittive e difensive contro “l’ondata di colore”.
 
Anche un suo connazionale l’avvocato Prescott F. Hall descrisse in un suo testo, Immigration Restriction and World Eugenics, il problema dell’immigrazione e come in particolare gli Stati Uniti dovessero affrontarlo. Hall affermò che per le popolazioni asiatiche: «Abbiamo avuto un’esperienza problematica con la razza Africana e non dovremmo rischiare di ripetere la stessa burrascosa esperienza con le razze Asiatiche. Si deve notare che l’esclusione degli orientali è molto più rigida in Australia, Nuova Zelanda e Canada rispetto agli Stati Uniti».
 
Nel testo Hall non parlò solo di asiatici e neri, ma soprattutto di immigrati che provenivano dall’Europa sconquassata dalla guerra. Egli infatti scrisse nel suo testo che era proprio il momento adatto per gli USA di inasprire le proprie politiche immigratorie e quindi di percorrere una via eugenetica che avrebbe garantito la sicurezza dello stato nordamericano. L’intellettuale americano scrisse nel suo testo che di certo l’immigrazione degli europei dell’Est e del Sud era un problema, ma che l’Europa non era la più grande tra le preoccupazioni perché: «La superficie della Terra è limitata in estensione: e mentre in molte parti dell’Europa il tasso di natalità sta scemando, in Asia e in Africa sta probabilmente aumentando e in tutte le regioni il tasso di mortalità sta diminuendo. Cosa si potrà fare quando queste moltitudini sovraffolleranno il loro territorio nativo?».
 
La risposta a questa domanda era per questi autori da trovarsi nella teoria eugenetica. Questi intellettuali assistettero infatti alla tragedia della Prima guerra mondiale e videro la società occidentale distruggere quel primato che aveva duramente costruito. L’unico modo per difendere quel poco di potere bianco rimasto era formulare delle leggi sull’immigrazione estremamente severe e fortemente basate sulla teoria dell’eugenetica. Stoddard infatti ribadì che: «È importante, pertanto, che niente nella costituzione della Società delle Nazioni limiti il diritto di qualsiasi nazione di decidere chi possa essere ammesso nella sua vita: poiché, come dice Le Bon una preponderanza di elementi estranei distrugge la cosa più preziosa che si possiede; la propria anima».
 
Selezionare il migliore e scartare il peggiore. Per Stoddard questa frase poteva tradursi così: i bianchi dovevano in tutti i modi impedire che l’ondata delle popolazioni di colore distruggesse e affondasse la cultura e la razza bianca. Nella parte finale del suo testo infatti Stoddard afferma che se gli Stati Uniti d’America non avessero posto un freno all’immigrazione, il popolo americano, formato da varie razze bianche, non avrebbe avuto tempo per affinare una sua cultura e non si sarebbe amalgamato in modo tale da creare un unico popolo; avrebbe in tal modo perso la sua anima che era stata impiantata dai primi colonizzatori venuti dall’Inghilterra.
 
Egli citò il suo collega Madison Grant: «Noi americani dobbiamo realizzare che gli ideali altruistici che hanno condotto la nostra politica sociale durante l’ultimo secolo e lo smielato sentimentalismo che ha fatto dell’America un ricovero per oppressi ha spinto la nazione verso un abisso razziale. Se al Melting Pot viene concesso di bollire senza controllo e continuiamo a seguire il nostro motto nazionale e nascondiamo deliberatamente a noi stessi le distinzioni di razza credo e colore, il tipico discendente del nativo Americano Coloniale si estinguerà come gli Ateniesi dell’era di Pericle e i Vichinghi dell’era di Rollo».
 
Stoddard ritenne che in quel periodo mentre alcune forze europee cercavano di mantenere il controllo sui loro imperi coloniali, le popolazioni di colore stavano approfittando del momento per invadere le madrepatrie dei bianchi con il loro numero e con la loro forza lavoro. Questo per l’autore americano era un fatto inaccettabile e pericolosissimo, perché avrebbe costretto l’occidente a piegare la testa davanti a culture e persone che fino a poco tempo prima erano state sconfitte e sottomesse dai bianchi.
 
I bianchi dovevano tornare un unico popolo prendendo ad esempio gli stati come l’Australia che con un anonimo autore aveva espresso così la battaglia per la propria sopravvivenza razziale: «L’idea di una Australia bianca non è una teoria politica. È un vangelo. Conta più della religione; conta più di una bandiera, perché la bandiera sventola su tutti i tipi di teste; conta più dell’impero, perché l’impero è per la maggior parte nero, marrone e giallo; è in gran parte pagano, in gran parte poligamo e in parte cannibale. Infatti, la dottrina di una Australia bianca si basa sulla necessità di scegliere tra esistenza nazionale e suicidio nazionale».
 
Questo inno razzista doveva essere innalzato non solo nelle ex colonie e nei dominions britannici, ma anche nel vecchio continente. L’Europa infatti non poteva considerarsi al sicuro dall’invasione delle razze cosiddette inferiori, perché essa infatti era già iniziata prima dello scoppio del conflitto mondiale.
 
Stoddard citò un autore inglese James Stanley Little che nel suo testo, The Doom of Western Civilization del 1907, scrisse: «Nessun intellettuale equilibrato può pensare che si possa prevenire la migrazione di razze intelligenti, rappresentate la metà aggregata della popolazione del mondo, se tali popoli capiscono appieno che per il loro benessere debbano andare a cercare lavoro in Europa. In questi giorni di transito, di cambiamento tali misure di repressione sarebbero impossibili (…) Non saremo distrutti dall’improvvisa ondata di invasori, poiché Roma venne sopraffatta dalle orde settentrionali: noi verremo gradualmente assorbiti e sottomessi da un “pacifica invasione” di razze più virili».
 
L’Europa aveva commesso non solo l’errore di iniziare una guerra inutile e dannosa, ma per poterla combattere aveva dovuto usare le risorse economiche e umane delle proprie colonie. Stoddard già nelle pagine precedenti aveva accusato le potenze coloniali europee dell’utilizzo di soldati di colore sui campi di battaglia del vecchio continente, ma anche l’utilizzo di questi uomini nelle fabbriche. Come affermò Stoddard: «Ma durante la terribile guerra in Europa, uomini gialli, marroni e neri vennero importati in massa, non solo negli eserciti ma anche nei campi e nelle fabbriche. Questi alieni colorati sono stati per lo più rispediti alle loro case. Tuttavia, essi avevano portato con loro il ricordo delle meraviglie dell’Ovest e il racconto verrà portato in tutti i più remoti angoli del mondo colorato, spingeranno gli affamati ad imprese lontane. Inoltre l’Europa ha avuto una pratica dimostrazione dell’utilità dell’alieno colorato, e se i problemi dell’Europa si prolungassero, gli uomini colorati verrebbero sempre più utilizzati sia in guerra che in pace».
 
Il risultato del maggiore utilizzo di uomini di colore nelle attività industriali avrebbe di conseguenza portato a un impoverimento della società bianca causando disordini e morti che i bianchi non potevano più permettersi. Già nella madrepatria di Stoddard si erano create delle sanguinose sommosse provocate dalla paura dei bianchi per la concorrenza degli afroamericani. Gli USA però potevano comunque affrontare il problema delle razze colorate da una posizione privilegiata perché, pur partecipando alla guerra, i nordamericani non avevano avuto le terribili perdite degli stati europei e soprattutto non avevano subito devastazioni sul loro territorio. l’Europa però in quel momento era in ginocchio a livello economico e sociale e quindi, per gli autori razzisti, facile preda dell’ondata delle popolazioni non bianche.
 
Stoddard incitava così alla resistenza contro questa possibile invasione: «E la lezione è sempre la stessa: la migrazione colorata è un pericolo universale che minaccia ogni parte del mondo bianco. In nessun luogo può resistere alla competizione di quello colorato; ovunque “l’Est può sopravvivere all’Ovest”. La triste verità della questione è questa: l’intera razza bianca sarà esposta, prima o poi, alla possibilità di una sterilizzazione sociale e a un finale rimpiazzamento o assorbimento da parte delle brulicanti razze colorate».
 
La paura di queste migrazioni incontrollate divenne estremamente comune in Europa nel periodo subito dopo la Grande Guerra. Molti territori erano passati di mano e le popolazioni che ivi vivevano in certi casi non erano viste di buon occhio dal nuovo occupante. La Società delle Nazioni corse al riparo cercando di controllare i flussi migratori con il Passaporto di Nansen. Quest’ultimo permetteva a determinate etnie che scappavano dai loro paesi di origine di poter entrare nei paesi che riconoscevano tale documento e garantiva a questi migranti la sicurezza di non essere rimpatriati.
 
Nonostante ciò questi immigrati erano ritenuti un pericolo per la supremazia bianca non solo nel mondo, ma anche in Europa e nel Nuovo Mondo. Questo era il pericolo più immediato per le nazioni bianche e Stoddard nella parte finale del suo libro ribadisce la sua idea di andare al di là delle nazioni, al di là delle bandiere e unire tutti i popoli che facevano parte della razza bianca per resistere all’avanzata delle razze colorate. Per poter preservare il sangue puro della razza eletta, secondo l’autore americano, il mondo dei bianchi doveva dimenticare la falsa idea che tutti gli uomini fossero uguali: la verità scientifica infatti era un’altra e determinava che gli uomini erano catalogabili in razze tra loro differenti, con delle determinate caratteristiche. Si doveva perciò individuare “una cura per il sangue”, un metodo per poter garantire il futuro al mondo che fino ad allora apparteneva ai bianchi. Stoddard infatti affermò: «In altre parole: l’ereditarietà è fondamentale nell’evoluzione umana, tutte le altre cose sono fatti secondari».
 
L’unico modo per poter garantire una ereditarietà consona per le generazioni bianche future era applicare alla politica del mondo l’eugenetica razzista. Stoddard concluse il suo testo ribadendo: «Con il passare degli anni sia la suprema importanza dell’eredità che il valore supremo della stirpe affonderanno nel nostro essere, e acquisiremo una vera coscienza raziale (opposta a una coscienza nazionale e culturale) che colmerà gli abissi politici, rimedierà agli abusi sociali, ed esorcizzerà lo spettro in agguato della mescolanza. In quei giorni migliori, noi o le future generazioni prenderemo in mano il problema della corruttibilità della razza, e porremo fine al decadimento della razza con la segregazione dei deficienti, con l’eliminazione degli handicap che penalizzano la stirpe migliore. A quel tempo la nostra conoscenza della biologia sarà accresciuta e la filosofia popolare della vita sarà così idealizzata che sarà possibile inaugurare misure positive per il miglioramento della razza che sicuramente produrranno il maggior numero di risultati positivi».
 
Furono affermazioni molto forti, ma che illustrano perfettamente a che livelli il pensiero razzista era giunto. Con queste parole Stoddard ribadì ancora una volta la sua ferma convinzione di una Internazionale Bianca che andasse oltre le bandiere e i confini e che unisse per una volta tutti i bianchi in un unico scopo: seguire il progetto di riportare la razza bianca al governo del mondo utilizzando metodi scientifici come l’eugenetica. Non era più la scienza che doveva solamente selezionare all’interno della razza bianca i migliori, ma doveva essere applicata selezionando le razze che erano degne di poter perpetuare se stesse.
 
Karl Pearson, studioso britannico, aveva descritto nel suo testo, Nature and Nurture. The Problem of the Future del 1910, i casi statistici di elementi malati o disagiati che trasmettevano la loro imperfezione alle generazioni successive. La particolarità di questo testo era però che l’eugenetica non si basava appunto sulla difesa della razza bianca dall’assalto delle razze colorate, bensì la difesa della stirpe in sé. Stoddard superò Pearson: l’americano infatti volle una dottrina eugenetica che andasse a selezionare non solo il migliore in termini di salute, ma il migliore in termini di razza.
 
Stoddard e gli altri pensatori razzisti con le loro teorie influenzarono notevolmente il mondo occidentale, andando ad alimentare un sentimento di razzismo e di xenofobia che sarebbe sfociato nel secondo conflitto mondiale. Nella seconda guerra mondiale le idee eugenetiche e razziste prevalsero su quelle nazionaliste classiche portando alla tragedia della Shoah e al massacro di milioni di persone di etnie e condizioni cosiddette inferiori da parte di nazioni che si ritenevano razzialmente superiori.
 
Ancora oggi quelle idee che furono redatte un secolo fa guidano molti movimenti politici che fomentano l’odio e il razzismo nei confronti del “diverso”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]