TEORIE RAZZISTE
LE IDEE ELABORATE DALL’AMERICANO
LOTHROP STODDARD / PARTE I
di Riccardo Citterio
Per tutto l’Ottocento con le teorie
di Joseph-Arthur Gobineau, di Robert
Knox e con l’eugenetica teorizzata
dal cugino di Charles Darwin,
Francis Galton, si era ribadita la
superiorità della razza bianca su
tutte le altre
razze umane e pertanto si
erano sviluppati studi che volevano
dimostrarne l’eccellenza; per
provarla furono
usati studi sull’anatomia,
sulla filosofia, sulla biologia e
sulla storia.
Questi intellettuali affermarono che
i
bianchi avevano conquistato
il mondo in meno di un secolo grazie
alla loro forza e superiorità sia
fisica, sia
culturale che morale. Queste
tesi però vennero stravolte
dall’avvento della Prima Guerra
mondiale: essa
infatti scardinò la sicurezza
sulla invincibilità e razionalità
della razza cosiddetta superiore,
mostrando a
tutto il mondo le sue
debolezze. Alcuni autori capirono
che questo immane conflitto sarebbe
stato una
svolta per le teorie razziste
e che queste ultime non dovevano più
esaltare la potenza dei bianchi, ma
trovare un modo perché
quest’ultima sopravvivesse e
ritornasse in auge.
Lo zoologo americano Madison
Grant
scrisse nel
suo
testo The
passing
of
the great
race,
datato 1916: «(…) La
salvezza dell’umanità risiederà
quindi nella possibilità di
sopravvivenza di alcuni sani barbari
che
potrebbero
conservare
la
verità
base
che
l’ineguaglianza
e
non
l’uguaglianza
sia
la
legge
base
della
natura».
Grant
faceva
riferimento
alla
razza
bianca
che
negli
ultimi
anni
stava
perdendo
il
dominio
del mondo a favore delle razze non
bianche considerate appunto
inferiori e quindi non degne
di
pari diritti. Fu questo un
punto importante perché, anche se
politicamente l’avanzata dei diritti
delle popolazioni nere fu fermata,
nella cultura e nella mentalità di
molti intellettuali bianchi si venne
a realizzare che la
supremazia della loro razza
si stava sgretolando e che doveva
essere salvata.
Ne è un esempio lo storico
americano Lothrop Stoddard
che nel suo libro The rising tide
of color. The Threat Against White
World-Supremacy,
opera del 1920, descrisse
perfettamente la paura e i doveri
che la razza bianca aveva nel
periodo dopo la
Prima Guerra mondiale. In
questo testo Stoddard analizzò in
maniera “scientifica” il problema
della riscossa
delle razze cosiddette
“colorate” contro l’uomo bianco. Va
ricordato che quest’autore americano
era un
intellettuale legato al
famigerato Ku Klux Klan, quindi la
sua formazione era profondamente
razzista, ma
alcune sue dichiarazioni
risultano interessanti per mostrare
i timori e lo sgomento di una
società bianca che
aveva
paura dell’ondata delle
popolazioni
fin
a quel momento
considerate
inferiori.
Stoddard analizzò la pericolosità
delle stirpi non bianche e non
cristiane che si era sviluppata
anche prima
della Grande Guerra. Il fatto
che scatenò l’inizio del reflusso
della potenza mondiale bianca fu la
guerra
russo-giapponese del 1904.
Con questo conflitto il paese del
Sol Levante aveva fatto vedere al
mondo che
esisteva una potenza non
bianca che poteva avere la forza
militare ed economica per
partecipare alla
spartizione del mondo. Il
Giappone per Stoddard
era il più grande pericolo
perché la sua forza di
espansione e la sua capacità
militare stavano mettendo in serio
pericolo l’ordine mondiale istituito
dalla
comunità bianca. La vittoria
giapponese sull’impero zarista
avrebbe causato molto clamore
soprattutto nel
mondo coloniale, provocando
non tanto delle rivolte, ma un
risveglio culturale che avrebbe
portato molti
intellettuali
neri
a teorizzare
un
modo
per
scardinare
il
dominio
coloniale
occidentale.
A dar man forte a queste teorie fu
soprattutto la guerra italo-turca.
Stoddard accusò l’impresa italiana
della
guerra di Libia di essere una
pericolosa crociata contro un mondo
musulmano che non aveva espresso da
anni un movimento unito. La
paura che questa guerra potesse
avere delle gravi ripercussioni in
tutto il
mondo fece preoccupare gli
inglesi che in India avevano milioni
di sudditi musulmani che avrebbero
potuto
rispondere alla chiamata del
sultano ottomano. Ad aggravare la
situazione l’anno dopo, nel 1912, fu
l’attacco della Grecia e
della Serbia contro l’impero
ottomano che provocò ancor più
sgomento nel mondo
musulmano.
Stoddard citò nel suo libro un
autore indiano musulmano che
incitava i suoi confratelli a
dimenticare l’ostilità che
c’era nei confronti dell’impero
ottomano e a unirsi alla lotta
contro il nemico
crociato. Il fatto più
sconcertante però per l’autore
americano era l’appello che questo
indiano di religione
musulmana rivolgeva ai suoi
storici nemici indù, prima
considerati degli idolatri e quindi
dei miscredenti: li
incitava a combattere contro
l’Occidente e soprattutto contro i
valori che esso rappresentava,
cercando di
coinvolgerli in una alleanza
che avrebbe riunito anche altri
popoli orientali sottomessi al
potere dei bianchi.
Il titolo di questo messaggio era
per l’appunto “The Message of the
East” perché voleva coinvolgere
l’intero
Oriente contro l’Occidente.
Stoddard non citò solo quest’autore,
ma anche l’intellettuale egiziano
Yahya
Siddyk che considerava il
contatto tra Oriente e Occidente sia
positivo che negativo. Nel primo
caso
l’Occidente aveva portato
novità intellettuali e materiali
all’Oriente, ma nel secondo aveva
condannato l’Est
a una decadenza morale e
politica. L’autore egiziano
auspicava quindi che il mondo
orientale, non solo
musulmano, che aveva espresso
negli ultimi anni una grande
vitalità, si unisse contro il comune
nemico per
ottenere
la
libertà.
La Conferenza di pace di Versailles
di certo non aiutò a raffreddare gli
animi di questi colonizzati.
Stoddard
infatti citò uno studioso
orientalista italiano, Leone Caetani,
duca di Sermoneta, che nella
primavera del
1919
affermava: «Un terremoto
ha scosso nelle sue fondamenta la
civiltà insurrezioni in Algeria, il
malcontento a Tripoli, i
tentativi nazionalisti in
Egitto, Arabia e in Libia, sono
tutte manifestazioni diverse dello
stesso profondo
sentimento
e
hanno
come oggetto
la
ribellione
del
mondo
Orientale
contro
la
civiltà
Europea».
La paura e il timore permeano il
libro di Stoddard. Egli infatti nel
suo testo continuò a sciorinare i
numeri
delle popolazioni cosiddette
“colorate” con enorme
preoccupazione, avendo constatato
che tali popoli negli ultimi anni
stavano numericamente
avanzando inesorabilmente: stabilì
che i Cinesi all’epoca fossero circa
400 milioni, i
Giapponesi 60 milioni, i
Coreani 16 milioni, 450 milioni di
cosiddetti marroni (arabi) dislocati
tra il nord
Africa, il medio oriente e
l’Asia e infine 150 milioni di neri
per la maggior parte dislocati in
Africa,
mentre circa 25 milioni nel
nuovo mondo. Alla fine l’autore
americano calcola che la popolazione
mondiale
colorata
fosse
da
stimare
in
1.550.000.000
di
persone
contro solo
550.000.000
di bianchi.
Questi numeri sono significativi
perché rilevano un fatto per l’epoca
molto importante. Dopo la guerra i
paesi occidentali calcolarono
le perdite di uomini validi al
fronte e rimasero sconcertati dalla
quantità di
morti che i campi di
battaglia europei aveva prodotto: il
numero totale fu di circa
10.050.600, un numero
enorme che doveva essere poi
integrato con quello ancora più alto
dei feriti, circa 20.352.907. Era
vero
che anche le colonie e quindi
i paesi abitati da genti colorate
avevano partecipato alla guerra
europea con
migliaia di uomini, ma le più
grandi perdite furono subite dalla
razza cosiddetta superiore. Fu
infatti
quest’ultima che per una sua
volontà di conquista e di potenza
volle iniziare quella guerra che
Stoddard
definì
fratricida.
Egli paragonò la Grande Guerra allo
scontro che frappose Atene e Sparta
nel V secolo a.C. e che portò le
due grandi città greche alla
decadenza sia economica che
culturale e che causò la fine del
mondo greco-classico,
per
far
assurgere
un
nuovo
popolo
a
potenza
del
mondo:
i
Romani.
Questa
è
una
delle
più
grandi paure che si possono
intuire tra le pagine di Stoddard:
la perdita da parte del mondo
occidentale bianco del
primato economico, culturale
e infine la cosa peggiore di tutte
per un intellettuale razzista, la
sostituzione
etnica. Quest’ultima paura
costituì il motore principale delle
nazioni come Australia, Nuova
Zelanda, Sud
Africa e per certi versi
anche gli USA, nel rifiutare la
proposta giapponese di
criminalizzare il razzismo. I
primi tre paesi erano formati
da immigrati bianchi che avevano
sottomesso le popolazioni indigene
al loro
giogo
con delle
politiche
estremamente segregazioniste.
Il caso del Sud Africa fu esemplare,
perché nonostante combattesse sotto
il comando dell’Inghilterra,
durante la prima guerra
mondiale non voleva assolutamente
rinunciare alle proprie mire
espansionistiche
sulle colonie tedesche,
perché i politici sudafricani
avevano l’intenzione di accaparrarsi
quelle terre per
poterle distribuire ai coloni
boeri. Questi afrikaner temevano
appunto un’ondata demografica
indigena
che unita alla debolezza
post bellum dell’impero inglese
avrebbe causato degli sconvolgimenti
sociali che
avrebbero potuto spazzare via
il vecchio ordine sudafricano. Essi
infatti dopo la fine del conflitto
limitarono
con delle leggi speciali la
possibilità dei contadini neri di
acquistare nuove terre, così facendo
lo stato
sudafricano
tutelava
la
proprietà
dei
bianchi
e
limitava
l’espansione
economico
sociale
degli
indigeni.
Gli USA invece temevano che la
propria popolazione nera potesse
chiedere la cessazione del regime
segregazionista che era d’uso
negli stati del sud del paese.
Questo avrebbe provocato delle
enormi proteste
e un indebolimento della base
elettorale del Presidente Wilson,
che era un esponente del partito
democratico,
la
corrente
politica
che
in
quegli
anni
incarnava
i
valori
degli
ex
stati
secessionisti.
Il
Presidente aveva però
promesso, durante la campagna
elettorale per la sua rielezione,
miglioramenti civili
per la comunità nera
americana, che notoriamente in
quegli anni appoggiava invece i suoi
avversari del
partito repubblicano. Il
Presidente fu rieletto, ma i
miglioramenti che aveva promesso non
ci furono, anzi
Wilson introdusse
leggi
segregazioniste
all’interno
del diritto
federale
che limitavano
la
libertà delle
persone
nere.
Un anno dopo la sua rielezione, nel
1917, ci furono ben due rivolte che
aumentarono il conflitto tra le due
componenti etniche. La prima
fu a Saint Louis, dove i lavoratori
bianchi si sentivano minacciati
dalla
concorrenza di quelli neri,
nelle fabbriche che erano impegnate
nello sforzo bellico. Questa
tensione sfociò
in un linciaggio di centinaia
di cittadini neri della città,
perché era circolata la voce che un
afroamericano
avesse
ucciso
una
donna
bianca.
La seconda avvenne a Houston, quando
la polizia portò fuori dalla sua
casa con la forza una donna nera e
la
umiliò. Uno dei testimoni di
questo fatto, un soldato del terzo
Battaglione del 24° Reggimento,
un’unità
composta da soli
afroamericani, dopo aver solo
chiesto che cosa stesse succedendo,
venne arrestato. Un
caporale del battaglione andò
quindi alla stazione di polizia per
avere informazioni sull’arresto e
venne
imprigionato anche lui.
Questo causò la presa delle armi di
156 soldati del Reggimento, che
causarono uno
scontro dove persero la vita
quattro di quei soldati e 15
bianchi. La reazione del governo fu
dura: proclamò
la legge marziale e molti dei
soldati neri furono arrestati,
processati e mandati in galera.
Nessun bianco
venne
imprigionato.
Con l’entrata in guerra la pressione
della richiesta per i diritti civili
crebbe ulteriormente. La popolazione
afroamericana infatti vedeva nel
servizio militare l’occasione di
entrare di diritto nella società
statunitense,
come cittadini con pieni
diritti. La dislocazione di queste
truppe però causò non pochi problemi
al Dipartimento
militare americano, che cercò
in tutti i modi di impedire che
questi soldati raggiungessero il
fronte e
combattessero a fianco dei
loro concittadini bianchi. Il
ministero statunitense riuscì a
spedire la maggior
parte di questi volontari in
territori che non avevano niente a
che vedere con la guerra, come le
Hawaii, e li
inserì nel servizio di
supplemento. Ci furono però due
divisioni che riuscirono a
raggiungere la Francia e a
combattere
sul
fronte in
prima
linea: la
92a
e
la
93a
divisione.
Questa esperienza bellica fu molto
importante per la comunità nera
statunitense, non tanto per
l’eroismo che questi soldati
dimostrarono in battaglia (vennero
assegnate 170 croci di guerra dal
governo francese a soldati
della 93a), quanto
piuttosto per la possibilità di
vivere in un paese che non aveva
leggi segregazioniste, che
impedisse loro di andare in giro
liberamente. Fu questo modo di
vivere che
rafforzò la loro coscienza di
emancipazione e fece di conseguenza
crescere la paura dei razzisti
bianchi nei
loro
confronti.
Stoddard, essendo un rappresentante
dell’élite bianca e razzista, sapeva
che la popolazione nera nel
suo paese non doveva
assolutamente prendere potere,
perché, come affermava nel suo
libro, la grande
forza di questi ultimi era
nella grande crescita demografica.
Egli infatti disprezzava i neri più
di tutte le altre
genti “colorate”, per la loro
mancanza di storia e di cultura e ne
temeva la rapida espansione che
avrebbe
potuto mettere in pericolo la
supremazia bianca: era stata la
razza europea a impedire che i neri
aumentassero a dismisura
provocando disordini e guerre e
furono sempre i bianchi a
civilizzarli.
Portò come esempio le leggi
segregazioniste del sud degli USA e
della repubblica sudafricana che
erano l’unico argine
che poteva essere frapposto
per impedire l’ondata della
popolazione nera. Con la fine della
guerra e
soprattutto con la Conferenza
di pace di Versailles il movimento
pan africano aveva cercato di
emergere per
far sentire la propria voce
ai vincitori: era un terribile
pericolo per la supremazia bianca
del mondo e
soprattutto preoccupò
Stoddard
la partecipazione
di elementi
afroamericani.
Questo suo sentimento era già stato
espresso da gran parte della società
bianca americana; infatti tra
Aprile e Novembre del 1919 si
erano sviluppate in tutti gli Stati
Uniti rivolte contro la comunità
afroamericana. Questi
attacchi, denominati “Red Summer”,
furono mossi sia dagli stereotipi
che
circolavano nella comunità
bianca, sia dalla concorrenza nei
posti di lavoro e dalla paura di
vedere dei neri
armati e addestrati come
soldati. Le maggiori rivolte si
ebbero a Chicago, dove il presidente
Wilson fu
costretto a far intervenire
le truppe federali e successivamente
a Elaine in Arkansas, dove morirono
migliaia
di afroamericani.
La tesi che Stoddard cercò di
dimostrare nel suo testo, dopo che
aveva introdotto le particolarità e
le
caratteristiche delle varie
razze considerate da lui inferiori,
era che il destino del mondo doveva
rimanere
comunque in mano alla
comunità bianca. Le rivolte sopra
citate, soprattutto quelle del 1917,
si
possono leggere come dei
disordini causati dall’atteggiamento
razzista che i bianchi erano di
solito tenere
con gli afroamericani. Se si
vanno ad analizzare le cause
scatenanti di queste sommosse, si
può notare
infatti che
furono tutte
causate da delle
azioni violente che
i bianchi
erano soliti
perpetrare
nei confronti
dei neri, perché sicuri di
non ricevere nessuna risposta
violenta.
La comunità bianca non aveva capito
che in
quel momento non poteva più
permettersi di trattare gli
afroamericani in quel modo, senza
subire delle
conseguenze. Con la guerra
infatti le comunità nere stavano
prendendo coscienza dei loro reali
diritti e non
si sarebbero più piegate a
quelle leggi e atteggiamenti
ingiusti. Le azioni che gli
afroamericani misero in
atto nelle rivolte del 1917
spaventarono molto i bianchi, e
aumentarono l’odio razziale tra le
due comunità.
Le sommosse del 1919 furono
dei linciaggi da parte della
comunità bianca contro quella nera,
proprio
perché i bianchi stavano
rispondendo a questi tentativi di
cambiamento con la violenza. Nel
caso di Elaine,
dove la violenza dei bianchi
fu particolarmente feroce,
addirittura la corte suprema degli
Stati Uniti stabilì,
nel
1923,
che
lo
Stato
dell’Arkansas
era
colpevole
di
aver
violato
i
diritti
costituzionali
dei
cittadini.
Quest’ultimo avvenimento era proprio
quello che Stoddard con il suo libro
cercava di impedire: la lotta tra
bianchi e la rivalutazione
delle persone nere. La prima guerra
mondiale non era nient’altro per
l’intellettuale americano che
lo scontro tra persone della stessa
razza che egoisticamente
anteponevano il
bene del proprio paese sui
propri simili. È questa l’intuizione
sfruttata dall’intellettuale
razzista americano:
egli infatti basò la sua
teoria su una semplice idea che fece
emergere dal suo scritto un solidale
razzismo
biologico
bianco.
Era
questa
la
linea
di
condotta
che
doveva
essere
perseguita
per
far
sì
che
la
razza
bianca ritornasse a governare
il mondo.
Nell’Ottocento con lo svilupparsi
dei grandi imperi coloniali l’uomo
bianco
aveva
assunto
su
di
sé
l’onore
e
l’onere di
governare
la
Terra
e
tutte
le
altre
razze
degli
uomini. Stoddard affermò
anche che la potenza dei bianchi non
scaturiva solamente dalla
solidarietà razzista, ma
anche da un grado di
innovazione tecnologico che nessun
altro popolo aveva. Le nazioni
bianche lo avevano
acquistato con la rivoluzione
industriale che aveva portato
l’Europa da essere un territorio per
lo più rurale,
a essere un grande continente
industrializzato.
D’altra parte l’avanzamento
industriale portò secondo
l’autore americano anche
degli svantaggi. La ricchezza e
l’agio fecero perdere di vista i
valori e la sua forza
vitale che avevano permesso
all’uomo bianco di poter dominare il
mondo e quindi fecero perdere alla
razza
dominatrice
parte
della
sua
forza.
Una
delle
cause
più
evidenti
fu
la
caduta
della
crescita
demografica,
come risultava essere molto
evidente in Francia. Questo crollo
delle nascite fece decrescere,
sempre
secondo il pensiero del
razzista Stoddard, anche la società
europea che percorse un lento
declino biologico
lasciando
lo spazio alle
razze
inferiori.
Il declino della società occidentale
infatti non fu solamente
demografico, ma anche culturale. Di
fondamentale importanza per
l’Occidente doveva essere l’unità
della razza, la sua superiorità, la
sua
potenza, andando al di là di
certe ideologie, che per Stoddard,
furono le cause della guerra e del
declino
dell’Europa. Egli cita un suo
connazionale, Madison Grant, che nel
suo libro del 1916 The Passing of
the
Great race, come lui
riteneva che la razza era ciò che
distingueva gli esseri superiori
dagli esseri inferiori.
Grant
affermava
che: «La lezione è sempre
la stessa, vale a dire che la razza
è tutto. Senza razza non ci sarebbe
nulla a parte uno
schiavo che veste i panni del
padrone, ruba l’orgoglioso nome del
padrone, usa la lingua del padrone e
vive
nelle
rovine
del
palazzo del suo
padrone».
Per Stoddard queste rovine erano le
macerie che la Grande Guerra aveva
provocato nella civilizzata Europa.
Per colpa di questo
conflitto, dunque, le razze
cosiddette inferiori avrebbero
occupato gli spazi che prima
appartenevano ai loro
padroni, rappresentandone però delle
mere e ridicole copie, secondo i due
autori
americani.
Stoddard nel suo testo affermò che
l’uomo bianco aveva da sempre
espresso le sue potenzialità
nei periodi di pace come la
Pax Romana, la Civitas Dei
durante il Medioevo e infine
l’equilibrio diplomatico
del XIX secolo, che era stato
creato dopo le guerre napoleoniche.
Tutto questo però stava crollando
per
colpa delle idee nazionaliste
e internazionaliste che si erano
sviluppate nell’Ottocento. Stoddard
citò Renè Pinon,
un
giornalista
francese
che in
alcune
sue
dichiarazioni,
datate
1905,
affermava: «(…)
nell’Europa di oggi ci potrebbe esse
il principio di un’intesa e su cosa
si potrebbe basare? Ci sono troppi
interessi divergenti, troppi
rivali ambiziosi, troppi odi
manifesti, troppi morti che parlano,
che zittiscono la
Coscienza
dell’Europa».
Le ideologie che in quegli anni si
erano sviluppate avevano infatti
creato un clima di tensione enorme
che
poi sarebbe sfociato nella
Prima Guerra mondiale, che per
Stoddard era da paragonare, come si
è detto
poco prima, a una guerra del
Peloponneso, una vera e propria
guerra civile di popoli civilizzati.
La volontà
di potenza, l’imperialismo,
il nazionalismo e il sindacalismo
avevano provocato per Stoddard
quella
fiammella che avrebbe
incendiato il vecchio continente,
portandolo a una veloce distruzione.
La potenza
dell’Europa venne incanalata
nello sforzo bellico, le spese che i
vari Stati sostennero furono enormi
e le vite
che
furono
sprecate
per
pochi
chilometri
di
terra
troppe
per
poterne
giustificare
il
sacrificio.
Stoddard portò l’esempio della
Francia che arruolò 8 milioni di
uomini perdendone 1.400.000 e avendo
il
doppio dei feriti. Questo
causò danni alla crescita della
popolazione, perché ci fu una
perdita di nuove leve
bianche che il mondo, per
Stoddard, non poteva permettersi.
L’autore aggiunse nel suo testo il
commento
di un corrispondente
americano, Will Irwing, sulle
perdite che sia la Francia, ma anche
la Germania, avevano
subito
durante
la
guerra: «Ma nei paesi a
leva obbligatoria, come Francia e
Germania, c’è un processo di
selezione in cui in generale i
migliori muoiono e i peggiori
restano. I sottosviluppati, i
deboli, i deboli di mente, gli
uomini che soffrono di
malattie
ereditarie
o sono
portatori
di malattie
restano
per
portare
avanti
la
razza».
Anche in Italia questi argomenti
vennero discussi durante la guerra.
Alcuni studiosi infatti dovettero
ammettere che, secondo le
idee eugenetiche, la razza bianca
avrebbe subito delle enormi perdite
a causa
della
guerra:
1. Perché, non portando più alla
distruzione completa dei vinti,
questi continuano a propagarsi e a
perpetuare
quelle
qualità
che dovrebbero
essere
meno
desiderabili;
2. Perché le perdite essendo spesso
più gravi per la parte vincitrice
che per la vinta, il popolo
vittorioso
può
uscir
dalla
guerra
ancor
più
danneggiato
del
vinto
dal
punto di
vista
della bontà
della
razza;
3. Perché in causa delle perdite, la
proliferazione, tanto presso il
popolo vincitore che presso il
vinto, è,
dopo la guerra, affidata a
dei riproduttori fisicamente e
moralmente inferiori, sicché la
razza umana ne esce
nel
suo complesso deteriorata;
4. Perché la distruzione di
ricchezze materiali, causata dalla
guerra, abbassando il tenore di vita
di
ogni
popolo
belligerante
e
accrescendo
la
miseria
ne diminuisce
la
resistenza
alla
morbilità.
Riguardo a queste affermazioni
bisogna specificare che le perdite
che importavano erano quelle
bianche,
non
dei soldati
neri. Gli accademici italiani
non furono gli unici che fecero
risaltare questo enorme problema per
la razza bianca.
Stoddard infatti nel suo
libro citò altri studiosi che
affermarono che la guerra appena
conclusa avrebbe
avuto sulla popolazione
bianca un effetto estremamente
negativo.
Uno di questi è il biologo Seth K.
Humphrey,
che
nel
suo
testo
Mankind:
Racial
Values
and
the
Racial
Prospect, edito nel
1917,
affermò: «È sicuro
affermare che tra i milioni di
morti, ce ne sarà un milione che
trasporta superbe caratteristiche
ereditarie, ciò da cui
dipende la razza. Non c’è niente di
più assurdo di una nazione che pensi
di rimpiazzare
queste eredità in poche
generazioni incoraggiando la
riproduzione da parte dei
sopravvissuti. Essi sono persi
per sempre. I sopravvissuti
trasmetteranno le loro inferiori
caratteristiche. Non ci sono parole
per descrivere
questa
terribile
perdita».
Il vecchio continente però non
doveva subire solamente la perdita
del materiale biologico, destinato a
far
progredire ancora di più la
razza bianca, ma doveva prevedere
che non avrebbe più ottenuto quelle
condizioni
economiche,
politiche
e
sociali
che
erano
presenti
prima
che
il
conflitto
scoppiasse.
Stoddard sottolinea questo
fattore usando le parole di un
professore italiano, l’antropologo
Giuseppe Sergi che, in suo scritto
datato
1916,
si
espresse
su tale
argomento
così: «(…) la prosecuzione
della guerra è all’origine di questo
fenomeno (della relativa
sterilità), non solamente
nella generale perdita di
uomini in battaglia, ma anche
attraverso una serie di condizioni
speciali che si
presentano contemporaneamente
in uno squilibrio dei processi
vitali e che creano in quest’ultimo
un
fenomeno difficile da
esaminare in ognuno dei suoi
elementi. Il disturbo biologico non
dipende solamente
dalla perdita di giovani
vite, quelle meglio adatte a
procreare, ma anche delle pessime
condizioni in cui
viene lasciata
inaspettatamente una nazione: da ciò
derivano disturbi di natura mentale
e sentimentale,
nervosismo, ansia, dolore e
pene di ogni tipo a cui
contribuiscono anche le gravi
condizioni economiche del
tempo
di
guerra;
tutte
queste
cose
hanno
un
effetto
dannoso
sull’economia
generale
della
nazione».
L’economia, lo sviluppo, l’industria
che avevano reso grande la razza
bianca ora sarebbero stati anche la
sua
rovina, perché le condizioni
economiche che i popoli delle
nazioni bianche avrebbero dovuto
affrontare
dopo il conflitto sarebbero
state disperate e avrebbero causato
a loro notevoli disagi, ma
contemporaneamente grandi
vantaggi per quelle popolazioni che
prima erano sotto il loro giogo.
Stoddard
riportò anche il commento di
quello che sarebbe diventato il 30°
Presidente degli Stati Uniti,
Herbert
Hoover, che
nel 1919
faceva parte
di
una commissione
per la
gestione
dei
rifornimenti
alimentari
all’Europa. Il futuro
Presidente descrisse che il vecchio
continente aveva subito troppe gravi
perdite per
poter
ritornare
la
potenza
che
era
prima
della Grande
Guerra.
Hoover
infatti
affermò: «In generale non
è solo molto al di sotto del livello
di produzione rispetto al periodo
prima della firma
dell’armistizio, ma non è in
grado di mantenere la vita e la
salute senza un alto tasso di
importazione (…).
Da tutte queste cause
accumulate in maniera diversa in
zone diverse, vi è il fatto
sostanziale che se la
produttività non possa essere
rapidamente aumentata, non ci può
che essere caos politico, morale ed
economico».
Con queste parole Stoddard cercò di
mostrare la pericolosità e
l’insensatezza di una divisione tra
le varie
nazioni bianche. Che senso
aveva avuto combattere una guerra
per il dominio del mondo da parte di
una
sola nazione quando in realtà
quel potere era già in mano ai
bianchi?