N. 97 - Gennaio 2016
(CXXVIII)
LA TEORIA DEL RESTAURO
SULL’OPERA DI CESARE BRANDI - PARTE II
di Federica Campanelli
CAP. V – IL RESTAURO SECONDO L’ISTANZA DELLA STORICITÀ
Qui si chiarificano i
contenuti
dell’istanza
storica
di
un’opera
d’arte.
I
protagonisti
di
questo
capitolo
sono
il
rudere,
cioè
quell’opera
che
ormai
si
presenta
in
stato
frammentario,
e la
patina,
lo
strato
superficiale
formatosi
a
causa
del
fisiologico
processo
d’invecchiamento
dei
materiali
costituenti
l’opera.
È importante avere coscienza
dei
casi
appena
descritti,
vale
a
dire
del
bene
ridotto
allo
stato
di
rudere
e
dell’eventuale
– in
realtà
molto
probabile
–
presenza
di
una
patina,
due
stati
dell’opera
assolutamente
favoriti
dal
trascorrere
del
tempo.
Sono
i
casi
in
cui
la
leggibilità
e la
fruibilità
del
bene
possono
risultare
sensibilmente
compromessi,
tuttavia
la
Teoria...
esclude,
nel
caso
del
rudere,
un
tipo
d’intervento
che
abbia
lo
scopo
di
ristabilire
l’integrità,
cioè
lo
status
quo
del
bene,
perché
inevitabilmente
si
compirebbe
un
falso
o
comunque
si
intaccherebbe
la
memoria
storica
dell’opera.
È
dunque
questo
il
caso
in
cui
a
prevalere
sarà
l’istanza
storica,
quindi
il
restauro
sarà
limitato
a un
intervento
di
tipo
conservativo
che
sia
in
grado
di
rallentare
il
processo
di
degrado
naturale
dell’opera
(arrestarlo
sarebbe
impossibile).
In nome della storicità
di
un’opera
d’arte
Brandi
raccomanda
di
badare
agli
interventi
di
restauro
pregressi
distinguendo
quelli
che
si
configurano
come
aggiunte
da
quelli
che
rappresentano
dei
rifacimenti:
nel
primo
caso
si
tratta
di
operazioni
che
non
alterano
il processo creativo a monte dell’esecuzione del bene, e in quanto
testimonianza
del
trascorso
storico
le
“aggiunte”
andrebbero
tutelate;
nel
secondo
caso,
invece,
abbiamo
de
facto
un
falso
storico,
poiché
si è
alterato
in
maniera
significativa
l’originalità
del
bene.
L’intervento
di
restauro
implica,
peraltro,
una
componente
indiretta
che
investe
il
contesto
ambientale
in
cui
l’opera
è
ubicata,
tenendo
sempre
conto
della
sua
evoluzione
nel
tempo:
Brandi
a
tal
proposito
riferisce
che
per
l’architettura
diviene
un
problema
urbanistico;
per
la
pittura
e la
scultura,
problema
di
presentazione
e
ambientazione.
Al di là
della
questione
che
Brandi
solleva
sulla
corretta
“presentazione”
del
bene,
o
sulla
compatibilità
paesaggistica
tra
quello
e il
tessuto
urbano
in
cui
è
inserito,
è
bene
anticipare
alcune
considerazioni
di
carattere
più
prettamente
scientifico:
tanto
per
scomodare
la
termodinamica, potremmo considerare
un
bene
materiale
(mobile
o
immobile)
come
un
sistema
aperto,
cioè
caratterizzato
da
uno
scambio
di
energia
e
massa
con
l’ambiente,
quello
che
Brandi
definisce
spazio-ambiente.
Un
approccio
più
esaustivo
per
la
tutela
del
bene
dovrebbe,
quindi,
contemplare
una
serie
di
interventi
che
limitino
l’interazione
fisica.
Ciò
è
valido,
ovviamente,
sia
per
le
opere
outdoor
(in
cui
potrebbe
rientrare
il
caso
del
rudere
prima
citato),
sia
quelle
indoor,
per
le
quali
controllo
e
monitoraggio
delle
condizioni
microclimatiche
risultano
imprescindibili.
Infine Brandi tratta il
difficile
e
spinoso
tema
della
patina:
la
teoria
pretende
le
migliori
capacità
selettive
da
parte
del
restauratore
che
dovrà
riconoscere
e
valutare
la
natura
e
l’entità
dello
stato
di
alterazione
superficiale
(di
una
superficie
pittorica,
muraria,
ecc.).
La
patina,
quando
e
solo
quando
è
figlia
del
tempo,
rappresenta
il
passaggio
dell’opera
d’arte
attraverso
la
storia
e
per
tanto
andrebbe
conservata.
Inoltre
alcuni
celebri
artisti,
specie
dal
XVII
secolo,
si
dimostrarono
ben
consapevoli
degli
effetti
che
il
processo
di
invecchiamento
di
alcuni
pigmenti
miscelati
al
proprio
medium
avrebbero
comportato.
CAP.
VI –
IL
RESTAURO
SECONDO
L’ISTANZA
ESTETICA
Dal punto di vista estetico,
il
rudere
si
configura
come
un’opera
d’arte
allo
stato
frammentario,
di
cui
non
si
può
ripristinare
l’unità
potenziale
senza
che
quest’intervento
comporti
la
falsificazione
dell’opera
stessa.
Tuttavia
la
questione
risulta
molto
più
complessa:
come
sottolineato
dal
Brandi,
ogni
caso
è
unico
ed è
dunque
necessaria
una
valutazione
attenta
del
contesto
in
cui
il
rudere
è
inserito,
cioè
l’eventualità
che
il
rudero
s’integri
a un
determinato
complesso
o
monumentale
o
paesistico,
o
determini
il
carattere
di
una
zona.
Attraverso la citazione
di
alcuni
esempi
di
ruderi
totalmente
riassorbiti
in
un
altro
complesso
più
recente,
Brandi
invita
a
non
illudersi
di
poter
completare
e
ripristinare
la
primitiva
unità
del
rudere,
in
quanto
la
qualificazione
della
zona
urbana
o il
paesaggio
in
cui
si
trova,
è
connesso
proprio
al
suo
essere
mutilo
e
alla
sua
co-presenza
con
altri
oggetti.
È a tal punto che Brandi
ripropone
la
questione
della
conservazione
o
della
remozione
delle
aggiunte,
dove
queste,
ricordiamo,
testimoniano
il
passaggio
dell’opera
attraverso
la
storia.
Quest’operazione,
che
risponde
all’istanza
storica,
entra
in
conflitto
con
le
esigenze
artistiche.
Brandi afferma che se
l’aggiunta
deturpa,
snatura,
offusca,
sottrae
in
parte
alla
vista
l’opera
d’arte,
questa
aggiunta
deve
essere
rimossa.
La
condotta
migliore
sarebbe
quella
di
documentare
la
presenza
dell’aggiunta
(che
è
testimonianza
storica)
e la
sua
collocazione
nell’opera.
CAP. VII – LO SPAZIO DELL’OPERA D’ARTE
Nel considerare
un’opera
d’arte
(mobile
o
immobile)
è
necessario
tener
presente
anche
lo
spazio
in
cui
si
trova,
spazio
che
deve
essere
tutelato
nel
e
dal
restauro.
Questa
è
precisazione
necessaria
perché
Bandi
vuole
sottolineare
come
l’intervento
sul
contesto
faccia
parte
esso
stesso
del
restauro:
si
deve
intervenire
anche
sulla
spazialità
dell’opera,
tra
l’altro
indispensabile
affinché
vengano
garantite
la
lettura
e la
fruibilità
dell’opera
stessa.
CAP. VIII – IL RESTAURO PREVENTIVO
Per
restauro
preventivo
non
deve
intendersi
un
intervento
in
grado
di
immunizzare
l’opera
nel
tempo,
cioè
in
grado
di
prevenire
quei
processi
(fisiologici)
di
invecchiamento
dei
materiali
che
la
costituiscono.
Questo,
infatti,
non
solo
è
fisicamente
impossibile,
ma
risulta
anche
scorretto
ai
fini
del
rispetto
della
storicità
dell’opera.
Il
restauro
preventivo
è
piuttosto
quell’insieme
di
misure
volte
a
rallentare
il
più
possibile
quel
processo
di
invecchiamento,
di
alterazione
dei
materiali
che
potrebbero
compromettere
l’integrità
e la
lettura
dell’opera.
Nel
caso
più
specifico
di
un
contesto
urbano,
il
restauro
preventivo
può
riferirsi
anche
alle
disposizioni
legislative
che
impediscono
il
danneggiamento
di
un’architettura
o
complesso
architettonico.
È
altresì
doveroso
specificare
che
tali
misure
giuridiche
non
dovrebbero
limitarsi
alla
proibizione
di
alterare
in
qualsiasi
modo
la
facciata
stessa,
ma
debbono
stabilire
l’intangibilità
delle
zone
adiacenti.
Link
Parte
I