N. 96 - Dicembre 2015
(CXXVII)
LA TEORIA DEL RESTAURO
SULL’OPERA DI CESARE BRANDI - PARTE I
di Federica Campanelli
Lo storico dell’arte, giornalista e autore senese Cesare Brandi (1906-1988) è passato alla storia per esser stato il principale fondatore, nel 1939, dell’Istituto Regio per il Restauro, poi noto come Istituto Centrale per il Restauro (ICR), di cui fu direttore fino al 1961 (l’ICR dal 2007 ha cambiato denominazione in Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, ISCR).
Come
naturale
conseguenza
di
una
vita
dedicata
al
tema
del
restauro
e in
seno
alla
lunga
gestione
di
un’istituzione
tanto
importante
a
livello
nazionale
come
l’ICR,
Brandi
diede
alla
luce
un’innovativa
teoria
che
gli
valse
l’epiteto
di
“padre
del
restauro”.
La
celebre
Teoria
del
Restauro,
il
testo
sacro
del
restauratore
di
scuola
romana,
è
stato
dato
alle
stampe
per
la
prima
volte
nel
1963,
in
seguito
a
uno
scrupoloso
lavoro
di
raccolta
e
sistemazione
di
studi
e
ricerche
già
compiuti
dall’autore
nel
corso
degli
anni.
Di
certo
il
divario
tra
le
disposizioni
brandiane
presenti
nella
teoria
e la
loro
applicabilità
può,
in
certi
casi,
risultare
enorme:
dopotutto
il
testo,
come
suggerisce
il
titolo,
è
più
una
speculazione
filosofica
sul
tema
che
un
manuale
pratico,
ma è
innegabile
il
prezioso
contributo
di
Brandi
alla
moderna
concezione
di
restauro,
una
disciplina
comunemente
considerata
alla
stregua
di
un’attività
di
bottega
per
aggiusta-tutto
(idea
che,
tuttavia,
non
sembra
essere
ancora
del
tutto
estinta).
Qui
di
seguito
verranno
sommariamente
esposti
i
contenuti
degli
otto
capitoli
di
cui
si
compone
lo
scritto
brandiano.
CAP.
I -
IL
CONCETTO
DI
RESTAURO
È
nel
capitolo
d’apertura
che
Brandi
affronta
il
problema
della
definizione
di
restauro.
Fino
a
quel
momento
(prima
della
pubblicazione
della
Teoria…),
infatti,
il
restauro
era
più
che
altro
inteso
come
quell’insieme
di
interventi
finalizzati
al
ripristino
di
un
oggetto,
più
o
meno
complesso,
realizzato
dall’uomo.
Per
Brandi
l’errore
stava
proprio
nell’aver
incluso,
in
tale
generica
definizione,
qualsiasi
tipologia
di
manufatto.
Brandi
per
tanto
rielabora
questo
concetto
affermando
che:
il
restauro
costituisce
il
momento
metodologico
del
riconoscimento
dell’opera
d’arte,
nella
sua
consistenza
fisica
e
nella
sua
duplice
polarità
estetica
e
storica,
in
vista
della
sua
trasmissione
al
futuro.
Si
tratta
di
una
vera
sterzata
ideologica
in
quanto
finalmente
viene
normalizzata
la
nozione
di
restauro,
limitando
quest’operazione
specificamente
all’opera
d’arte
in
quanto
tale,
e
non
a
qualsiasi
prodotto
materiale
frutto
dell’ingegno
umano.
Non
solo,
con
tale
asserzione
Brandi
sottolinea
l’imprescindibilità
del
processo
preliminare
di
“riconoscimento”
dell’opera
d’arte
nella
sua
duplice
istanza
estetica
e
storica.
Si
vuole
intendere
con
questo
la
valutazione
sia
del
valore
prettamente
estetico,
sia
del
trascorso
storico
dell’opera,
compreso
il
tempo
presente.
Brandi,
inoltre,
pone
l’attenzione
sulla
“consistenza
fisica”
dell’opera,
il
che
a
una
prima
lettura
potrebbe
sembrare
banale
e
scontato;
in
realtà
è
forse
il
concetto
più
rivoluzionario
proposto
nella
neo-definizione
di
restauro:
essa
infatti
pone
la
materia
sullo
stesso
piano
dell’opera
d’arte;
la
materia
dell’opera
diviene
opera
essa
stessa.
Decade
così
(almeno
teoricamente)
la
legittimità
di
quegli
interventi
che,
al
fine
di
ripristinare
la
funzionalità
e/o
il
solo
valore
estetico
di
un’opera,
tendono
a
eliminare
e
sostituire
senza
troppi
scrupoli
i
materiali
che
la
costituiscono.
Da
queste
considerazioni
preliminari
vengono
così
a
definirsi
i
due
assiomi
della
teoria
del
restauro
di
Brandi:
-
si
restaura
solo
la
materia
dell’opera
d’arte.
-
il
restauro
deve
mirare
al
ristabilimento
dell’unità
potenziale
dell’opera
d’arte,
purché
ciò
sia
possibile
senza
commettere
un
falso
artistico
o
storico,
e
senza
cancellare
ogni
traccia
del
passaggio
dell’opera
nel
tempo.
CAP.
II –
LA
MATERIA
DELL’OPERA
D’ARTE
Per
quanto
concerne
la
necessità
di
una
rinnovata
consapevolezza
della
materia
dell’opera
d’arte,
Brandi
propone
la
distinzione
tra
materia
aspetto
e
materia
struttura.
Con
la
prima
s’intende
la
manifestazione
dell’immagine;
con
la
seconda
accezione
ci
si
riferisce
più
propriamente
alla
materia
intesa
come
“tramite”,
“veicolo”
dell’immagine.
L’esempio
più
immediato
è il
supporto
(pergamena,
tela,
tavola,
intonaco,
ecc).
Durante
un
intervento
di
restauro
e
solo
in
casi
eccezionali
sarà
la
materia
aspetto
a
prevalere
sull’altra.
CAP.
III
–
L’UNITÀ
POTENZIALE
DELL’OPERA
D’ARTE
Brandi
entra
nel
vivo
dell’argomento
trattato
introducendo
i
due
fondamentali
principi
che
regolano
un
importante
intervento
diretto
sull’opera:
la
reintegrazione
cromatica
e
strutturale
delle
cosiddette
lacune-mancanza.
S’intende
con
questa
definizione
quel
tipo
di
lacuna
di
dimensioni
contenute
o le
cui
caratteristiche
non
implichino
interventi
creativi
e
fantasiosi
da
parte
del
restauratore.
La
finalità
ultima
è
quella
di
ricostruire
l’unità
dell’opera.
Primo
principio:
l’integrazione
dovrà
essere
sempre
facilmente
riconoscibile;
ma
senza
che
per
questo
si
debba
venire
ad
infrangere
proprio
quell’unità
che
si
tende
a
ricostruire.
Quindi
l’integrazione
dovrà
essere
invisibile
alla
distanza
a
cui
l’opera
d’arte
deve
essere
guardata
ma
immediatamente
riconoscibile,
e
senza
bisogno
di
speciali
strumenti,
non
appena
si
venga
ad
una
visione
appena
ravvicinata.
Secondo
principio:
ogni
intervento
di
restauro
non
deve
rendere
impossibile
gli
interventi
futuri.
Cioè
il
concetto
di
reversibilità.
Ma
la
lacuna
può
essere
anche
definita
perdita
qualora
questa
comporti
l’interpretazione
dell’immagine
e
non
la
sua
lettura.
Ciò
condurrebbe,
per
forza
di
cose,
alla
realizzazione
di
un
falso.
Nella
pratica
le
lacune-perdita
dovrebbero
essere
trattate
semplicemente
lasciando
il
supporto
a
vista,
poiché
qualsiasi
altro
tipo
di
intervento
(come
per
esempio
il
risarcimento
attraverso
una
tinta
neutra)
potrebbe
“disturbare”
l’occhio
del
fruitore
che
percepirebbe
la
reintegrazione
come
una
forma
a sé
stante
sovrapposta
all’immagine
dell’opera.
CAP.
IV –
IL
TEMPO
RIGUARDO
ALL’OPERA
D’ARTE
E AL
RESTAURO
Per
comprendere
meglio
l’istanza
della
storicità,
Brandi
indaga
la
dimensione
tempo
di
un’opera
d’arte
per
circoscriverne
tre
fasi
fondamentali:
1)
durata
dell’estrinsecazione
dell’opera
d’arte
mentre
viene
formulata
dall’artista,
vale
a
dire
il
tempo
della
creazione;
2)
l’intervallo
interposto
fra
la
fine
del
processo
creativo
e il
momento
in
cui
la
nostra
coscienza
attualizza
in
sé
l’opera
d’arte,
cioè
il
tempo
compreso
tra
il
momento
della
creazione
e
quello
della
fruizione;
3)
l’attimo
di
questa
fulgurazione
dell’opera
d’arte
nella
coscienza,
ossia
il
momento
della
fruizione,
quel
momento
in
cui
si
verifica
il
riconoscimento
dell’opera
in
quanto
tale.
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Parte
II