Relatività in Italia
La diffusione della teoria nei primi
anni dall’apparizione
di Andrea Fatticcioni
La suggestione esercitata dalla
teoria della relatività ha
oltrepassato i confini della
comunità scientifica, suscitando
l’interesse di filosofi, artisti e
scrittori; tuttavia, la sua
diffusione iniziale è un processo
storico complesso, non immediato né
lineare. L’Italia condivide le
tempistiche della diffusione con
altri stati europei, ma le
peculiarità del panorama nazionale
non sono prive d’importanza.
Intendere la relatività come oggetto
storiografico può originare
ambiguità. In questo contesto, il
riferimento è agli studi di Einstein
tra 1905 e 1916, dalla formulazione
dei due postulati della relatività
ristretta, alla pubblicazione
dell’equazione di campo in cui
descrive la gravità come curvatura
dello spazio-tempo. Gran parte del
suo successo è legato alla conferma
sperimentale ricevuta durante
l’eclissi totale di sole del 1919,
grazie alla previsione della
curvatura dei raggi luminosi,che la
teoria aveva correttamente
attribuito alla gravità solare.
Il termine “relatività” compare nel
vocabolario scientifico nel 1906
nell’ambito degli studi sulla
dinamica dell’elettrone ed è legato
alle ricerche di Hendrick Lorentz.
In Italia, gli studi di Einstein
vengono considerati almeno fino al
1910 come uno specifico contributo
all’opera di Lorentz, anche se ne
viene riconosciuto il valore
matematico.
Dal 1911 compaiono riferimenti
esplicitamente rivolti alla
relatività di Einstein ma il numero
di ricerche è esiguo, anche a causa
della scarsa interconnessione tra
gli studiosi del paese. Retaggio
dell’era preunitaria, l’eccessivo
numero di istituti e accademie
superiori dedicate alle scienze
favoriva la dispersione dei
ricercatori e delle attrezzature,
contribuendo all’arretratezza della
ricerca fisica italiana del periodo.
Nella prima metà degli anni Dieci,
alcuni eventi testimoniano
l’ingresso della teoria nel
dibattito italiano: tra queste è
importante una controversia
(1912-14) tra Einstein e Max
Abraham, professore di meccanica
razionale all’Istituto Tecnico
Superiore di Milano (l’odierno
Politecnico), che ha luogo in parte
sulle pagine di Scientia,
principale rivista di divulgazione
scientifica italiana. Sebbene le
trattazioni siano sporadiche fino
agli anni Venti, è chiaro come sia
soprattutto la matematica della
relatività suscitare interesse, in
accordo con latradizione di
fisica matematica del paese, da
intendersi come la ricerca di
soluzioni matematiche a problemi
formali posti dalla fisica nel suo
sviluppo.
Tali ricerche erano condotte
prevalentemente da matematici, lo
studio della fisica era invece
legato a una metodologia rigidamente
sperimentalista, piuttosto sorda
agli spuntidel convenzionalismo o
del neopositivismo logico,
disinteressata alla fisica teorica
che in Germania aveva acquisito uno
status definito da quasi
cinquant’anni. Le ragioni di questa
tendenza sono da ricercarsi nella
scarsa connessione dei fisici
italiani con l’estero, nella
continuità dei titolari di cattedre
accademiche (con conseguente
staticità nei programmi
d’insegnamento) e nella generale
debolezza numerica ed economica
della ricerca italiana del periodo.
Nel complesso, la risposta dei
fisici sperimentali italiani alla
relatività è riassumibile in una
continua ammirazione per l’apparato
matematico, senza l’attribuzione di
un reale significato fisico, che
eleverebbe la teoria oltre il piano
della speculazione. Un perfetto
esempio di questa concezione è il
fisico palermitano Michele La Rosa,
il quale negando il postulato
dell’invariabilità di c,
avvia (1913) una critica decennale
nota come “ipotesi balistica della
luce”, che costituirà il maggiore
polo di resistenza alla relatività
nel paese, fino alla seconda metà
degli anni Venti. Altre critiche
sono basate sull’impossibilità di
fare a meno dell’etere, la cui
utilità nelle ricerche
sull’elettromagnetismo ne aveva
fatto un vero paradigma di ricerca.
Ai fisici italiani l’impossibilità
sperimentale di rilevarlo (nucleo
delle critiche mosse all’etere prima
del suo abbandono) non appariva
sufficiente per abbandonarlo.
Una prima fase della circolazione
della relatività si deve soprattutto
a Tullio Levi Civita, che dal 1915
intrattiene una corrispondenza con
Einstein in cui lo aiuta in maniera
decisiva a trovare l’espressione
corretta delle equazioni di campo.
Il matematico presenterà il suo
formalismo basato sul calcolo
differenziale in diverse occasioni
tra 1917 e 1919, trovando grande
credito ma suscitando anche
l’opposizione dei “vettorialisti”,
che credevano che il formalismo
vettoriale fosse il solo in grado di
legittimare una teoria fisica.
La conferma astronomica del 1919 non
comporta solamente una validazione
scientifica ma anche un’impennata
del pubblico raggiunto dalla teoria:
le prime pagine di giornali in tutto
il mondo (tra cui il Times di
Londra) riportano i risultati
dell’esperimento, rendendo Einstein
una star internazionale. Nel
1921, il soggiorno dello scienziato
in Italia suscita l’interesse della
comunità scientifica e della
borghesia intellettuale,
favorendo,tra 1921 e 1925, un
fiorire di trattazioni sul tema che
oltrepassa il campodella fisica e
assume carattere filosofico e
politico.
Nel 1921, il fisicomatematico
Roberto Marcolongo pubblica il primo
volume italiano sul tema; due anni
dopo (1923) viene pubblicata
l’edizione italiana del manuale di
August Kopff I fondamenti della
relatività einsteiniana, che
nella prefazione contiene un
resoconto eccezionale delle visioni
dei principali fisici italiani.
Nonostante un tale picco d’interesse
non sia più destinato a ripetersi,
la relatività si colloca stabilmente
nell’alveo delle teorie fisiche
discusse nel paese e verso il 1928
le ricerche iniziano a convergere
verso la teoria del campo unificato.
Un aspetto peculiare della reazione
italiana alla relatività sono le sue
implicazioni ideologiche e politiche
particolarmente evidenti. Barbara J.
Reeves ha dimostrato che se prima
della Grande Guerra si attribuiva
con leggerezza l’aggettivo
“rivoluzionaria” alla teoria di
Einstein, dal dopoguerra viene
percepito come il termine rischi di
assumere una connotazione eversiva,
che legittimi la sovversione
dell’ordine costituito tramite
quella dell’ordine celeste.
La politicizzazione esplicita della
relatività sarà però compiuta da
Mussolini stesso nell’editoriale del
Popolo d’Italia (1922), dove
il fascismo è definito
relativistaper il suo disprezzo
delle categorie fisse e degli schemi
predefiniti: a Mussolini giova il
paragone con la deriva morale di una
teoria che ha eliminato i
riferimenti assoluti, perché è
funzionale alla delicata
ridefinizione del movimento come
partito e al mantenimento di libertà
d’azione nel sistema parlamentare.
Ironicamente, Albert Einstein
provava una totale idiosincrasia con
il fascismo, che lo spinse
addirittura a non partecipare al
grande congresso internazionale di
fisica a Como, nel 1927.
Riferimenti bibliografici:
Glick T. F. (a cura di), The
comparative reception of relativity,
Reidel, Boston 1987.
Guaraggio A., Nastasi P., Italian
Mathematics Between the Two World
Wars, Birkhauser, Berlino 2006.
Maiocchi R., Einstein in Italia.
La scienza e la filosofia italiane
di fronte alla teoria della
relatività, Franco Angeli
Editore, Milano 1985.
Pantaleo M. (a cura di),
Cinquant’anni di relatività.
1905-1955, Edizioni Giuntine,
Firenze 1955.