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N. 85 - Gennaio 2015 (CXVI)

LA TEORIA DEI POTERI IMPLICITI
STORIE DI POTERE - PARTE III

di Laura Ballerini

 

Fin dall’inizio del processo che ha portato alla nascita dell’Unione Europea, i poteri impliciti hanno trovato applicazione. Fin dal suo atto istitutivo tale organizzazione ha contemplato la possibilità di ampliare la sfera dei suoi poteri e delle sue competenze, con una clausola simile a quella statunitense.

 

L’articolo 235 dei Trattati di Roma del 1957 (che hanno dato vita alla Comunità Economica Europea) prese il nome di clausola della flessibilità, poiché permetteva di intraprendere qualsiasi azione necessaria a realizzare uno degli scopi della Comunità nel funzionamento del mercato comune. Si doveva seguire, però, un preciso iter per l’approvazione: su proposta della Commissione e dopo aver consultato l’Assemblea, il Consiglio, deliberando all’unanimità, “prende le disposizioni del caso”.

 

Il fine di questo articolo era dunque quello di consentire a un’Organizzazione i cui Stati crescevano in numero, la possibilità di portare avanti politiche di interesse comune, senza dover necessariamente ogni volta creare a tal fine un trattato ad hoc. Quello che era necessario era che tutti i membri del Consiglio, ovvero i Capi di Stato degli Stati membri, fossero d’accordo all’unanimità: così si poteva superare un ostacolo giuridico non indifferente e promuovere la coesione tra gli Stati.

 

La tendenza che si è riscontrata da quel momento in poi dalla Corte di Giustizia Europea, fu in realtà quella di scavalcare questo articolo, ovvero di passare oltre l’iter di consultazione per l’approvazione, ritenendo che i poteri impliciti potessero semplicemente desumersi dagli articoli. Ad esempio: con la sentenza 22/70 del marzo 1971, la Corte di Giustizia europea si espresse in merito all’Accordo Europeo sul Trasporto Statale (AETS). La Commissione aveva sollevato la questione in seguito alla decisione del Consiglio di avviare negoziati sui trasporti con gli Stati membri, precludendo a questi ultimi di concludere accordi con altri Stati. Trattandosi di una politica comune, la decisione avrebbe dovuto seguire l’iter sopraindicato.

 

La Corte, invece, ritenne valida l’azione del Consiglio riconosceva per la prima volta il principio del primato del diritto comunitario sulle attività esterne degli Stati membri con altri Stati terzi, riconoscendo alla Comunità l’esclusiva competenza in materia di relazioni esterne.

 

Nel periodo che va dagli anni `70 ai Trattati di Lisbona del 2007, l’uso della clausola di flessibilità aumentò. L’inizio del ricorso sempre maggiore all’articolo 235 avvenne in particolare al vertice di Parigi del 1972, quando, dopo la crisi del dollaro, gli Stati europei iniziarono ad auspicare l’unione economica e monetaria.

 

La clausola veniva utilizzata tutte le volte che un’azione comunitaria appariva giustificata dalla necessità di raggiungere gli obbiettivi dell’UE, senza che i Trattati prevedessero specifici poteri.

 

La Corte mantenne una posizione contraria, e così, nel 2007, quando vennero modificati i Trattati istitutivi con i Trattati di Lisbona, si decise di imporre delle strettoie alla clausola di flessibilità. L’articolo 235 oggi è l’articolo 308 del TCE e 352 del TFUE e non si riferisce più al mercato comune, bensì “al quadro delle politiche definite dai Trattati”, ossia il raggiungimento dei fini indicati dall’articolo 3 n. 2/3/5 TUE: spazio di libertà, sicurezza e giustizia, mercato interno, relazioni esterne, ma limitatamente alla politica commerciale comune. Lo spettro di azione viene quindi stabilito e ridotto. Si sono presentati, dunque, due fenomeni paralleli.

 

Il primo è quello della Corte di far derivare da competenze espresse poteri impliciti per un fine ultimo comune.

 

Il secondo è quello degli Stati firmatari che hanno inserito clausole per autorizzare l’uso di competenze non espresse dai Trattati, attraverso un iter di approvazione da parte degli Stati membri.

 

Il primo fenomeno ricorda maggiormente quello statunitense per quel che riguarda il prevalere di un’autorità sull’altra. La Corte infatti tende a far prevalere il diritto comunitario su quello nazionale per una finalità di coesione.

 

Il secondo fenomeno, invece, contraddistingue questa realtà di organizzazione di Stati e offre una modalità fondata sul principio dell’unanimità per coordinare le politiche statali in vista di un fine comune. Il primo caso sembrerebbe maggiormente verticale e il secondo più orizzontale

 

La teoria dei poteri impliciti, però, è applicabile all’Unione Europea poiché essa è un organizzazione con fini integrativi. Anche se il suo Trattato istitutivo non è una costituzione e anche se i suoi organi non sono gli stessi di quelli statali, un’analogia è comunque possibile. Gli Stati hanno scelto di cedere parte della loro sovranità per il fine di integrarsi.

 

All’interno delle Nazioni Unite, invece, questo non accade. Per questo motivo è ancora oggi oggetto di discussione se gli organi dei poteri impliciti possano o meno arrogarsi poteri non previsti dalla Carta ONU. Dalla nascita di questa Organizzazione ci sono stati dei casi in cui si è ricorso alla teoria dei poteri impliciti.

 

La Corte Internazionale di Giustizia nel fornire pareri all’Assemblea Generale si è mostrata favorevole all’ampliamento dei poteri di quest’organo.

 

Nel 1949, ad esempio, si discusse la possibilità dell’ONU di esercitare lo stesso potere di protezione diplomatica, normalmente usata dagli Stati per la tutela dei propri cittadini all’estero, in caso che i propri funzionari subissero danni da uno Stato membro (o anche non membro).

 

La Corte si espresse dicendo che i doveri delle Nazioni Unite dipendono dai fini della Carta, enunciati o impliciti e che a tal fine l’Organizzazione può disporre anche di poteri non espressamente previsti. Riguardo l’applicabilità della teoria dei poteri impliciti agli organi dell’ONU molti giuristi internazionalisti hanno espresso il loro parere: vi è chi ritiene che, considerando la Carta come una costituzione, l’applicazione della teoria dei poteri impliciti sia possibile e anzi auspicabile per il futuro delle Nazioni Unite.

 

Vi è poi la posizione intermedia di quanti ritengono che competenze implicite siano desumibili dai fini espressi dalla Carta, pur senza paragonare quest’ultima a una costituzione. E infine vi è chi rigetta fortemente l’uso dei poteri impliciti da parte degli organi dell’ONU, poiché questo potrebbe produrre situazioni di ingiustizia all’interno del diritto internazionale.

 

Questi ultimi in particolare mostrano preoccupazione nel pensare cosa potrebbe fare, ad esempio, un organo importante e con ampio potere discrezionale come il Consiglio di Sicurezza se esso disponesse anche di poteri che non gli vengono espressamente attribuiti.



 

 

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