N. 18 - Giugno 2009
(XLIX)
IL REGNO TRA GLI ULTIMI
LA “TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE”
di Lawrence M.F. Sudbury
Tra gli anni ’60 e gli anni ’70, nel cuore del grande
movimento mondiale di rivolta contro lo status quo che
si esplicava a livello morale, sociale e politico,
nacque in Sud America quella che voleva essere una
rivoluzione nel modo di intendere la fede cristiana e di
viverla quotidianamente: la cosiddetta “teologia della
liberazione”.
A lungo essa si presentò come un notevole soggetto di
discussione sia all’interno che all’esterno della
Chiesa, ma, in seguito, la condanna da parte del
Vaticano e il cosiddetto “riflusso” erosero buona parte
delle basi di questo movimento, relegandolo nell’ombra.
Oggi, a più di quarant’anni dalla sua nascita, è però
possibile tentare di tracciarne un quadro di sviluppo
storico che metta in luce i momenti evolutivi più
importanti di quella che, per alcuni versi, è stato la
più importante istanza di cambiamento sorta all’interno
della Chiesa Cattolica (e non solo) negli ultimi
decenni.
Il
primo
elemento
da
puntualizzare
è
che
la
“teologia
della
liberazione”
non
nacque
dal
nulla
ma
ebbe
importanti
radici
sia
remote
che
prossime.
Per
quanto
riguarda
le
prime,
esse
possono
certamente
essere
ricercate
nella
tradizione
profetica
dei
missionari
fin
dai
primi
anni
dell’epopea
coloniale
in
America
Latina,
con
una
serie
di
ecclesiastici
che,
da
subito,
misero
in
discussione
la
tipologia
di
presenza
adottata
dalla
Chiesa
e il
modo
in
cui
gli
indigeni,
i
neri,
i
meticci
e le
masse
povere
sia
agricole
che
urbane
venivano
trattate.
Nomi
come
quelli
di
Bartolomeo
de
Las
Casas,
Antonio
de
Montesinos,
Antonio
Vieira,
Fratello
Caneca
e
molti
altri
sono
solo
la
punta
dell’iceberg
di
un
modo
di
intendere
la
presenza
ecclesiastica
in
una
società
sfruttata
che,
evidentemente,
ebbe
una
influenza
sostanziale
sullo
sviluppo
del
nuovo
sistema
di
pensiero.
Per
quanto
riguarda,
invece,
le
cause
più
prossime
di
insorgenza
di
tale
sistema,
è
impossibile
non
notare
come
i
governi
populisti
sudamericani
tra
gli
anni
’50
e
gli
anni
’60
(da
Perón
in
Argentina,
a
Vargas
in
Brasile,
e a
Cárdenas
in
Messico)
avessero
ispirato
un
nuova
consapevolezza
nazionalista
e
una
significativo
sviluppo
industriale
di
cui
avevano
largamente
beneficiato
le
classi
borghesi
ma
che
avevano
portato
enormi
masse
di
contadini
e di
proletari
urbani
in
uno
stato
di
marginalizzazione
anche
fisica
all’interno
di
aree
rurali
depresse
o di
baraccopoli
al
limite
della
possibilità
di
sopravvivenza.
Lo
sviluppo
economico
procedeva,
dunque,
lungo
linee
di
dipendenza
dal
capitalismo
delle
nazioni
più
sviluppate,
escludendo
la
gran
parte
delle
popolazioni
nazionali
dalle
possibilità
di
migliorare
il
proprio
stato:
era
naturale
che,
in
reazione
a
questa
situazione,
nascessero
ovunque
forti
movimenti
popolari
di
opposizione
che,
però,
a
loro
volta,
provocarono
la
nascita
di
dittature
militari
che
si
ponevano
a
salvaguardia
degli
interessi
del
capitalismo,
spesso
ammantando
il
loro
comportamento
reazionario
con
propositi
di
“sicurezza
nazionale”
che
nascondevano
unicamente
una
totale
repressione
politica
contro
la
dissidenza,
attuata,
per
lo
più,
con
metodi
di
inaudita
violenza.
In
questo
contesto,
la
rivoluzione
socialista
di
Cuba
venne
da
molti
vista
come
una
grande
alternativa
che
portasse
alla
dissoluzione
della
causa
principe
del
sottosviluppo:
la
dipendenza
dal
capitale
straniero.
Così,
gruppi
armati
rivoluzionari,
volti
alla
sovversione
rispetto
ai
governi
esistenti
e
all’instaurazione
di
regimi
socialisti,
sorsero
praticamente
in
tutte
le
nazioni
centro
e
sud
americane,
portando
ad
un
clima
pre-rivoluzionario
fortemente
sentito
all’interno
degli
strati
sociali
più
poveri.
La
Chiesa,
in
una
tale
situazione,
non
poteva
rimanere
“alla
finestra”.
A
partire
dagli
anni
’60,
anche
le
istituzioni
ecclesiastiche
vennero
sconvolte
da
una
forte
ventata
di
rinnovamento.
Molti
cristiani
cominciarono
a
prendere
davvero
seriamente
la
loro
missione
sociale:
numerosi
laici
si
dedicarono
al
lavoro
tra
i
poveri,
vescovi
e
preti
di
grande
carisma
incoraggiarono
ad
operare
in
favore
di
un
progresso
sociale
e di
una
reale
modernizzazione
nazionale
e
varie
organizzazioni
ecclesiali
tentarono
di
promuovere
la
comprensione
ed
il
miglioramento
delle
terribili
condizioni
di
vita
degli
strati
più
bassi
della
piramide
sociale.
Organizzazioni
come
quelli
dei
“Giovani
Studenti
Cristiani”,
dei
“Giovani
Lavoratori
Cristiani”,
dei
“Giovani
Agricoltori
Cristiani”
o
dei
gruppi
del
“Movimento
per
l’Educazione
Primaria”,
iniziarono
a
darsi
da
fare
attivamente,
sia
operando
attraverso
i
mass
media
che
sul
campo,
per
raggiungere
l’obiettivo
di
una
società
più
equa.
L’opera
di
questi
movimenti,
generalmente
di
estrazione
borghese,
si
basava
filosoficamente
sulla
teologia
europea
delle
realtà
terrene,
sull’integralismo
umanista
di
Jaques
Maritain,
sul
personalismo
sociale
di
Mounier,
sull’evoluzionismo
progressista
di
Teilhard
de
Chardin,
sulla
riflessione
della
dimensione
sociale
del
dogma
di
Henri
de
Lubac,
sulla
teologia
della
laicità
di
Yves
Congar
e
sui
lavori
di
Chenu,
ma
fu
il
Concilio
Vaticano
II a
fornire
la
miglior
giustificazione
teorica
alle
attività
sviluppate
sotto
il
segno
di
una
svolta
progressista
della
missione
cristiana.
La
fine
degli
anni
’60,
la
crisi
del
populismo
e
del
modello
di
sviluppo
ad
esso
correlato
portò
all’avvento
di
una
forte
corrente
del
pensiero
sociologico
che
smascherò
le
vere
cause
del
sottosviluppo,
dimostrando
come
sviluppo
e
sottosviluppo
fossero
da
sempre
due
lati
della
stessa
medaglia:
tutte
le
nazioni
occidentali
erano
impegnate
in
una
vasta
campagna
di
sviluppo
delle
nazioni
meno
progredite,
ma
l’organizzazione
di
tale
sistema
era
tale
per
cui
solo
le
nazioni
già
industrializzate
usufruissero
dei
benefici
del
processo,
lasciando
tutti
i
costi
sociali
a
quegli
Stati
meno
sviluppati
che
risultavano
periferici
rispetto
al
sistema
stesso.
In
pratica,
la
povertà
del
III
Mondo
era
il
prezzo
da
pagare
perché
il I
Mondo
potesse
godere
dei
frutti
della
sovrabbondanza.
Nei
circoli
ecclesiastici
più
attenti
nel
seguire
gli
sviluppi
della
società
e
nello
studiare
i
suoi
problemi,
questa
interpretazione
agì
come
una
sorta
di
lievito
che
portò
una
nuova
vitalità
e un
nuovo
spirito
critico
all’interno
dei
consessi
pastorali.
La
relazione
di
dipendenza
della
periferia
rispetto
al
centro
del
mondo
doveva
essere
sostituita
da
un
processo
di
abbattimento
dei
muri
sociali:
in
questo
senso,
le
basi
della
teologia
dello
sviluppo
vennero
minate
in
profondità
e
sostituite
dal
seme
di
una
teologia
della
liberazione,
i
cui
elementi
costitutivi
si
aggregarono
solo
quando
movimenti
popolari
e
gruppi
cristiani
si
unirono
con
l’obiettivo
comune
di
una
liberazione
sociale
e
politica,
prodromo
per
una
liberazione
completa
ed
integrale
dell’essere
umano.
Le
prime
riflessioni
che
avrebbero
portato
allo
sviluppo
di
un
movimento
teologico
strutturato
ebbero,
dunque,
la
loro
origine
nel
contesto
di
un
dialogo
tra
la
Chiesa
e
una
società
in
fermento,
tra
fede
cristiana
e la
volontà
di
una
trasformazione
che
nasceva
dal
popolo.
Il
Concilio
Vaticano
II
aveva
prodotto
un’atmosfera
teologica
caratterizzata
da
una
grande
libertà
e
creatività
e
questo
diede
ad
alcuni
teologi
latino-americani
il
coraggio
per
rivolgere
una
sempre
maggior
attenzione
ai
problemi
sociali
dei
loro
Paesi.
Ciò
apparve
particolarmente
evidente
nel
dialogo
inter-religioso
tra
Cattolici
e
Protestanti
che
ebbe
luogo
all’interno
del
gruppo
“Chiesa
e
Società
in
America
Latina”
(ISAL),
nel
cui
ambito
si
ebbero
frequenti
incontri
tra
teologi
cattolici
(Gustavo
Gutiérrez,
Segundo
Galilea,
Juan
Luis
Segundo,
Lucio
Gera
e
molti
altri)
e
teologi
protestanti
(Emilio
Castro,
Julio
de
Santa
Ana,
Rubem
Alves,
José
Míguez
Bonino)
allo
scopo
di
intensificare
gli
sforzi
di
riflessione
sulle
relazioni
tra
fede
e
povertà
e
tra
Vangelo
e
giustizia
sociale.
In
brasile,
tra
il
1959
e il
1964,
la
sinistra
cattolica
riuscì
così
a
produrre
una
serie
di
testi
fondamentali
di
connessione
tra
ideale
cristiano
e
azione
popolare
che
già
anticipavano
la
teologia
della
liberazione:
in
essi,
si
poneva
l’accento
sulla
necessità
di
un
impegno
personale
del
singolo
nel
mondo,
sostenuto
dallo
studio
delle
scienze
sociali
e
dai
principi
universali
del
cristianesimo.
A
seguire,
durante
un
incontro
di
teologi
latino-americani
a
Petrópolis
(Rio
de
Janeiro)
nel
marzo
1964,
Gustavo
Gutiérrez
per
la
prima
volta
descrisse
la
teologia
come
“una
riflessione
critica
sull’azione”
e
questo
tema
venne
ulteriormente
sviluppato
in
altri
meeting
a
L’Avana,
Bogotà
e Cuernavaca
tra
il
giugno
e il
luglio
1965,
parte
di
un
programma
di
lavoro
che
portò
alla
conferenza
di
Medellin
del
1968,
che
pose
le
vere
basi
fondative
della
nuova
teologia,
di
cui
vennero
discusse
metodologie
e
linee
di
sviluppo.
Nel
frattempo,
le
lezioni
di
Gutiérrez
a
Montreal
e a
Chimbote
in
Perù
nel
1967
avevano
focalizzato
l’attenzione
del
clero
non
solo
americano
sulla
povertà
del
III
Mondo
e
sulle
possibilità
di
sviluppare
una
strategia
pastorale
che
tenesse
conto
delle
esigenze
economiche
delle
fasce
più
disagiate.
Il
risultato
di
tutti
questi
incontri
fu
presentato
all’opinione
pubblica
mondiale
in
un
convegno-evento
a
Cartigny,
in
Svizzera,
nel
1969,
il
cui
titolo
diede
il
nome
a
tutto
il
movimento
che
seguirà:
"Verso
una
Teologia
della
Liberazione".
I
primi
congressi
cattolici
interamente
legati
alla
teologia
della
liberazione
furono
tenuti
a
Bogotà
nel
marzo
1970
e
nel
luglio
1971,
mentre,
sul
versante
protestante,
negli
stessi
anni,
l’ISAL
organizzava
qualcosa
di
molto
simile
a
Buenos
Ayres.
Infine,
nel
dicembre
1971,
Gustavo
Gutiérrez
pubblicò
la
sua
opera
fondativa
Teología
de
la
Liberación,
atto
finale
di
un
processo
i
cui
momenti
fondamentali
erano
stati
il
simposio
di
Hugo
Assmarm
"Oppressione-Liberazione:
La
Sfida
dei
Cristiani"
(Montevideo
–
Maggio
1971)
e la
serie
di
articoli
pubblicati
da
Leonardo
Boff
sul
tema
“Gesù
Cristo
Liberatore”.
A
questo
punto,
la
porta
era
aperta
per
lo
sviluppo
di
una
teologia
nata
dalla
periferia
del
mondo
per
la
periferia
del
mondo,
capace
di
presentare
una
sfida
immensa
alla
missione
evangelizzatrice
della
Chiesa.
Per
lo
sviluppo
di
una
tale
teologia,
possiamo,
per
amor
di
chiarezza,
parlare
di
Quattro
tappe
fondamentali.
1)
Il
momento
fondativo,
nato
da
coloro
che
per
primi
abbozzarono
i
fondamenti
di
questo
nuovo
modo
di
fare
teologia.
A
parte
gli
scritti,
ispiranti
e
basilari,
di
Gustavo
Gutiérrez,
possiamo
ricordare,
in
questa
fase,
i
testi
di
Juan
Luis
Segundo
De
la
sociedad
a la
teología
(1970)
e
Liberación
de
la
teología
(1975);di
Hugo
Assmann
Teología
desde
la
praxis
de
liberación;
di
Lucio
Gera
Apuntes
para
una
interpretactón
de
le
Iglesia
argentina
(1970)
e
Teologio
de
la
liberación
(1973)
e,
sul
versante
protestante,
a
parte
tutte
le
opere
di
Emilio
Castro
e
Julio
de
Santa
Ana,
gli
splendidi
contributi
di
Rubem
Alves
Religion:
Opium
of
the
People
(1969)
e di
José
Míguez
Bonino
La
fe
en
busca
de
eficacia
(1967)
e
Doing
Theology
in a
Revolutionary
Situation
(1975).
Tutti
questi
autori
si
erano
concentrati
sulla
presentazione
della
teologia
della
liberazione
come
una
“teologia
fondamentale”,
cioè
come
l’apertura
di
un
nuovo
orizzonte
che
dava
un
assetto
completamente
diverso
all’intera
teologia
cristiana.
2)
Il
momento
costruttivo,
incentrato
sulla
necessità
di
dare
alla
teologia
della
liberazione
un
contenuto
dottrinale
strutturato
a
partire
da
tre
grandi
filoni,
riletti
secondo
le
necessità
più
urgenti
della
vita
della
Chiesa:
spiritualità,
cristologia
ed
ecclesiologia.
Il
numero
delle
opere
sudamericane
editate
in
questa
fase
è
enorme,
ma
tra
esse
vale
la
pena
di
citare
gli
scritti
degli
argentini
Enrique
Dussel,
Juan
Carlos
Scarmone
e
Severino,
dei
brasiliani
João
Batista
Libânio,
Frei
Betio,
Carlos
Palácio
e
Leonardo
Boff,
dei
cileni
Ronaldo
Muñoz,
Sergio
Torres
e
Pablo
Richard
e
dei
messicani
Raúl
Vidales
e
Luis
del
Valle.
3)
Il
momento
del
consolidamento.
Una
volta
che
il
processo
di
riflessione
teologica
era
stato
ben
sviluppato,
si
sentì
il
bisogno
di
attuare
un
duplice
processo
di
consolidamento
per
radicare
a
fondo
la
nuova
teologia.
Da
un
lato
vi
era
la
necessità
di
comprendere
che
tale
teologia
necessitava
di
una
solida
base
epistemologica
e,
quindi,
di
scoprire
come
evitare
duplicazioni
e
confusioni
espressive
e di
livelli,
pur
dando
una
espressione
coerente
a
temi
sorti
dalla
esperienza
spirituale
originale,
a
partire
da
una
fase
osservativa,
per
poi
giungere
ad
una
fase
di
giudizio
teologico
e,
infine,
ad
una
fase
di
azione
pastorale,
sempre
tenendo
presente
l’idea
che
una
vera
teologia
della
liberazione
presupponesse
un
collegamento
strettissimo
tra
teoria
e
pratica
concreta.
Dall’altro
lato,
il
consolidamento
doveva
essere
raggiunto
unicamente
attraverso
un
volontario
mescolarsi
dei
teologi
e
degli
intellettuali
all’interno
dei
circoli
popolari:
in
quest’ottica,
un
numero
sempre
maggiore
di
teologi
si
fecero
pastori
a
tutti
gli
effetti,
per
agire
come
agenti
d’ispirazione
per
tutta
la
Chiesa
e
per
la
società,
tanto
che
divenne
quasi
normale
vedere
teologi
che
si
dividevano
tra
congressi
di
alto
profilo
intellettuale
e
momenti
di
catechismo
popolare,
lotta
sindacale
e
organizzazione
di
comunità.
4)
Il
momento
della
formalizzazione.
Ogni
visione
teologica
originale
tende,
con
il
passare
del
tempo
a
ricercare
una
sua
espressione
più
formalizzata.
Fin
dai
suoi
esordi
la
teologia
della
liberazione
aveva
avuto
come
obiettivo
un
riesame
dell’intero
contenuto
della
Rivelazione
e
della
Tradizione,
per
esplicitare
i
significati
sociali
e di
liberazione
popolare
impliciti
in
entrambe
le
fonti.
Il
senso
di
ciò
non
stava
assolutamente
nella
volontà
di
ridurre
la
totalità
del
Mistero
ad
una
sola
dimensione
sociale,
ma
nel
sottolineare
aspetti
di
una
Verità
più
grande
che
potessero
avere
particolare
rilevanza
nel
contesto
oppressivo
della
società
latino-americana.
Una
formalizzazione
di
questo
genere
corrispondeva
pienamente
anche
alle
richieste
pastorali:
a
partire
dalla
metà
degli
anni
’70
la
Chiesa
si
stava
sempre
più
confrontando
con
situazioni
in
cui
doveva
ergersi
a
difensore
degli
oppressi
e
sempre
nuovi
gruppi
ecclesiali
alla
ricerca
di
un
sistema
di
tutela
delle
classi
più
marginali
si
stavano
formando
proprio
sotto
il
patrocinio
della
teologia
della
liberazione
(solo
in
Brasile
si
possono
ricordare,
in
questo
senso
il
“Centro
per
l’Unita
e la
Coscienza
Nera”,
i
movimenti
per
i
diritti
e la
difesa
degli
abitanti
delle
favelas,
le
“Missioni
agli
Amerindi”,
i
“Centri
per
la
Pastorale
Rurale”
e
molti
altri
ancora).
Per
far
fronte
a
queste
necessità
pastorali
e
dare
un
substrato
teologico
alla
formazione
dei
lavoratori
per
la
pastorale,
un
gruppo
di
più
di
cento
teologi
cattolici
pianificarono
e
scrissero
una
serie
di
55
volumi
di
Teologia
della
Liberazione,
pubblicati
in
spagnolo
e
portoghese
a
partire
dal
1985,
atti
a
coprire
tutti
i
più
importanti
temi
teologici
e
pastorali
dal
punto
di
vista
del
nuovo
sistema
teologico.
In
sostanza,
seppur
in
sintesi
minima,
le
grandi
proposizioni
emerse
da
tutto
questo
processo
sono
principalmente
quattro:
·
la
liberazione
è
conseguenza
della
presa
di
coscienza
della
realtà
socioeconomica
latinoamericana
in
particolare
e
del
contesto
socio-economico
in
generale;.
·
la
situazione
attuale
della
maggioranza
dei
latinoamericani
(e,
per
estensione,
di
tutti
i
popoli
del
III
Mondo)
contraddice
il
disegno
divino
e la
povertà
diviene,
dunque,
un
peccato
sociale;
·
la
salvezza
cristiana
include
una
"liberazione
integrale"
dell'uomo
e
raggruppa
per
questo
anche
la
liberazione
economica,
politica,
sociale
e
ideologica,
come
visibili
segni
della
dignità
umana;
·
non
vi
sono
solo
peccatori,
ma
anche
persecutori
che
opprimono
e
vittime
del
peccato
che
richiedono
giustizia.
·
Da
tali
tesi
conseguono
una
serie
di
impegni
teorici
e
operativi,
tra
i
quali
i
più
importanti
sono:
·
costante
riflessione
dell’uomo
su
se
stesso
per
renderlo
creativo
a
suo
vantaggio
e a
quello
della
società
in
cui
vive;
·
prendere
coscienza
della
forte
disuguaglianza
sociale
tra
società
opulente
e
popoli
votati
alla
miseria,
ponendosi
al
fianco
dei
poveri,
che
sono
le
membra
sofferenti
del
corpo
crocifisso
di
Cristo,
senza
avallare
perciò
tesi
che
si
avvicinino
ad
un
cristianesimo
classista
e
rivoluzionario.
la
rivoluzione
del
vangelo
è
l'amore,
non
la
lotta.
La
giustizia
sociale
è
sorella
della
carità;
·
rivendicare
la
democrazia
approfondendo
la
presa
di
coscienza
delle
popolazioni
riguardo
i
loro
veri
nemici,
per
trasformare
l’attuale
sistema
sociale
ed
economico;
·
eliminare
la
povertà,
la
mancanza
di
opportunità
e le
ingiustizie
sociali,
garantendo
l’accesso
all’istruzione,
alla
sanità,
ecc.;
·
creare
un
uomo
nuovo,
come
condizione
indispensabile
per
assicurare
il
successo
delle
trasformazioni
sociali.
L’uomo
solidale
e
creativo
deve
essere
il
motore
dell’attività
umana
in
contrapposizione
alla
mentalità
capitalista
della
speculazione
e
della
logica
del
profitto;
·
libera
accettazione
della
dottrina
evangelica,
ossia
procurare
innanzi
tutto
condizioni
di
vita
dignitose
e
poi,
se
la
persona
lo
vuole,
perseguire
l’attività
pastorale,
diversamente
da
prima,
in
cui
finché
le
missioni
cristiane
sfamavano
le
persone,
allora
queste
si
dichiaravano
cristiane.
Certamente,
a
partire
dalla
metà
degli
anni
’70,
in
virtù
del
suo
estremo
dinamismo
sociale,
la
teologia
della
liberazione
si
diffuse
con
una
rapidità
impressionante,
grazie
sia
al
supporto
di
alcuni
vescovi-teologi
tra
i
maggiori
della
Chiesa
latino-americana
(Hélder
Câmara,
Luis
Proaño,
Samuel
Ruiz,
Sergio
Méndez
Arceo,
i
cardinali
Paulo
Evaristo
Arns
e D.
A.
Lorscheider
tra
gli
altri)
che
al
lavoro
pubblicistico
sulle
maggiori
riviste
teologiche
del
mondo
(e,
in
particolare,
latino-americane)
e di
organizzazione
di
congressi
e
contatti
internazionali
quali,
solo
per
citare
i
maggiori,
il
Congresso
dell’Escorial
nel
luglio
1972
a
tema
“Fede
Cristiana
e
Trasformazione
Sociale
in
America
Latina”;
il
primo
congresso
dei
teologi
latino-americani
di
Mexico
City
nell’
Agosto
1975;
i
contatti
con
i
rappresentanti
dei
movimenti
di
liberazione
dei
neri
statunitensi,
dei
movimenti
femministi,
dei
movimenti
amerindi;
la
creazione
di
una
“Associazione
Ecumenica
dei
Teologi
del
Terzo
Mondo”
(EATWOT)
nel
1976,
che,
nei
suoi
incontri
(dal
1976
al
1986)
ha
sempre
sostenuto
la
necessità
di
attuare
politiche
vicine
alla
teologia
della
liberazione.
Mentre
tutti
questi
sviluppi
stavano
avendo
luogo,
alcune
riserve
e
opposizioni
cominciarono
ad
essere
espresso
da
membri
della
Chiesa
che
temevano
che
la
fede
stesse
diventando
troppo
legata
alla
politica
e da
altri
che
non
credevano
nell’uso
di
categorie
di
origine
marxista
per
l’analisi
delle
strutture
sociali.
Inizialmente,
le
reazioni
negative
si
cristallizzarono
intorno
a
tre
figure
in
particolare:
Alfonso
López
Trujillo,
prima
segretario
e
poi
presidente
del
CELAM,
Roger
Vekemans
del
CEDIAL
(Centro
de
Estudios
para
el
Desarrollo
e
Integración
de
América
Latina,
Bogotà)
e la
rivista
Tierra
Nueva,
e
Bonaventura
Kloppenburg,
ex
direttore
dell’Istituto
Pastorale
di
Medellin,
poi
vescovo
ausiliario
di
Salvador
in
Brasile
e
autore
del
più
duro
attacco
alla
teologia
della
liberazione
con
il
suo
testo
Christian
Salvation
and
Human
Temporal
Progress
(1979).
Ovviamente,
il
caso
non
rimase
confinato
al
solo
territorio
latino-americano:
praticamente
da
subito
Roma
si
interessò
di
questa
nuova
teologia,
mantenendo
una
posizione
inizialmente
piuttosto
ambivalente.
Già
nel
1971,
il
documento
finale
della
II
Assemblea
Ordinaria
del
Sinodo
dei
Vescovi,
Giustizia
nel
Mondo,
mostrava
tracce
di
un
pensiero
piuttosto
prossimo
a
quello
della
teologia
della
liberazione,
tracce
ancor
più
presenti,
tre
anni
dopo,
nel
documento
finale
della
III
Assemblea,
Evangelizzazione
del
Mondo
Moderno
e,
nel
1975,
addirittura
in
15
paragrafi
dell’Enciclica
Evangelii
Nuntiandi
di
papa
Paolo
VI (nos.
25-39).
Con
l’elezione
di
Giovanni
Paolo
II,
però,
il
vento
sembrò
cambiare
decisamente.
Già
in
uno
dei
suoi
primi
viaggi
apostolici
in
Messico,
nel
gennaio
del
1979,
il
nuovo
papa
dichiarò
che
«la
concezione
di
Cristo
come
una
figura
politica,
un
rivoluzionario
(...)
non
è
compatibile
con
gli
insegnamenti
delle
Chiesa».
Da
quel
momento
in
poi,
su
sollecitazione
dello
stesso
Santo
Padre,
la
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
presieduta
dal
cardinale
Joseph
Ratzinger,
studiò
a
lungo
i
postulati
teologici
dei
maggiori
leader
del
movimento
latino-americano
(nel
frattempo
quasi
tutti
sospesi
dall’insegnamento).
Frutto
di
tali
studi
furono
due
documenti,
Libertatis
Nuntius
(1984)
e
Libertatis
Conscientia
(1986):
in
entrambi,
si
considerava,
in
sostanza,
che
nonostante
la
vicinanza
della
Chiesa
cattolica
ai
poveri,
la
tendenza
della
teologia
della
liberazione
ad
accettare
postulati
marxisti
e di
altre
ideologie
politiche
non
era
compatibile
con
la
dottrina
sociale
della
Chiesa
cattolica,
specialmente
nell’assunto
in
cui
quella
teologia
sosteneva
che
la
redenzione
fosse
ottenibile
attraverso
un
compromesso
con
le
esigenze
di
riscatto
sociale
dei
poveri.
Tali
giudizi
fortemente
critici
e la
forte
pressione
dei
settori
conservatori
della
Chiesa,
come
l'Opus
Dei,
spinsero
verso
la
negazione
di
un
appoggio
della
Santa
Sede
richiesto
da
monsignor
Oscar
Romero,
anche
se,
in
seguito,
lo
stesso
papa
Giovanni
Paolo
II,
ebbe
modo
di
riconoscere
che
la
teologia
della
liberazione
aveva
avuto
un
ruolo
«buono,
utile
e
necessario»
per
la
difesa
dei
poveri,
in
una
lettera
rivolta
alla
Conferenza
Episcopale
Brasiliana
ed
egli
stesso
assunse,
nel
suo
magistero
sociale,
in
particolare
nella
Centesimus
annus,
la
tematica
della
liberazione
come
compito
della
Chiesa
del
nostro
tempo.
Tali
posizioni
del
Vaticano
finirono
certamente
per
indebolire
la
teologia
della
liberazione,
marginalizzandola,
spesso
portandola
troppo
vicino
a
movimenti
terroristici
di
estrema
sinistra
e,
soprattutto,
togliendole
voce
nei
principali
consessi
teologici
mondiali.
Allo
stato
attuale,
grazie
soprattutto
al
contributo
di
Leonardo
Boff
e
dei
suoi
numerosi
libri
come
Ecologia,
mondialità,
mistica,
o il
più
recente
Spiritualità
per
un
altro
mondo
possibile,
la
teologia
della
liberazione
ha
sviluppato
un
filone
nuovo,
scoprendo
lo
stretto
legame
di
necessaria
interdipendenza
tra
solidarietà
che
gli
esseri
umani
sono
chiamati
ad
avere
tra
loro
e
quella
che
devono
avere
con
la
natura,
attraverso
la
riscoperta
dell'ambiente
e di
una
rinnovata
cura
ecologica.
In
questo
senso,
il
cuore
dell’azione
teologica
ha
sposato
le
tesi
e
l'azione
del
movimento
altermondialista
(detto
anche
"no-global"),
in
cui
alla
contestazione
del
neoliberismo
si
aggiunge
la
promozione
della
pace
fondata
sulla
giustizia
e la
richiesta
di
una
partecipazione
democratica
efficace
da
parte
dei
movimenti
di
base.
In
ambito
extra-ecclesiale,
a
seguito
degli
scontri
sempre
più
forti
tra
la
gerarchia
della
Chiesa
e il
movimento
della
teologia
della
liberazione,
si è
giunti
a
sposare
le
tesi
della
teologia
radicale
e
politica,
europea
e
statunitense,
unendosi
quindi
nella
richiesta
di
una
reale
partecipazione
dei
laici
e
delle
donne
alla
vita
e
alla
guida
della
Chiesa,
al
decentramento
del
potere
ecclesiale
e
all'inculturazione
del
Vangelo
nelle
Chiese
e
nelle
tradizioni
locali,
al
macroecumenismo
(condivisione
di
riflessione
e
impegno
allargata,
cioè,
alle
grandi
religioni
mondiali),
al
pluralismo
nelle
questioni
riguardanti
la
salvezza,
in
cui
il
ruolo
di
Gesù
Cristo,
pur
non
marginalizzato,
non
risulti
più
esclusivo
delle
altre
esperienze
religiose
umane.
Il
13
ottobre
2006
Benedetto
XVI
ha
promulgato
una
Notificazione
(pubblicata
il
14
marzo
2007),
che
condanna
come
"erronee
e
pericolose"
alcune
tesi
espresse
dal
teologo
della
liberazione
Jon
Sobrino,
gesuita
basco
emigrato
in
El
Salvador,
nei
suoi
due
libri
Jesucristo
liberador.
Lectura
histórico-teológica
de
Jesús
de
Nazaret,
del
1991,
e
La
fe
en
Jesucristo.
Ensayo
desde
las
víctimas,
del
1999,
che
hanno
avuto
grande
diffusione
in
America
Latina.
Tale
ulteriore
condanna
ha
avuto
ripercussioni
fortissime
sui
teologi
della
liberazione,
creando
una
vera
frattura
interna
al
movimento.
Paradigmatica,
in
questo
senso
è
stata
la
disputa
sorta
tra
due
delle
figure
principali
della
corrente:
i
fratelli
Boff.
Nell’autunno
2007,
con
un
saggio
pubblicato
sulla
“Revista
Eclesiástica
Brasileira”
(curata
dai
Francescani
del
Brasile),
Clodovis
Boff
ha
rotto
con
questa
corrente
teologica,
o
meglio,
con
“l'errore
di
principio”
su
cui
a
suo
giudizio
si
fonda.
Clodovis
Boff
appartiene
ai
Servi
di
Maria,
vive
a
Curitiba,
nello
stato
del
Paraná,
e
insegna
nella
Pontificia
Università
Cattolica
della
città.
Non
è
stato
mai
processato
dalla
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
ma
negli
anni
‘80
perse
la
cattedra
nella
Pontificia
Università
Cattolica
di
Rio
de
Janeiro
e
gli
fu
impedito
di
insegnare
al "Marianum",
la
facoltà
teologica
del
suo
ordine,
a
Roma.
Oggi,
dopo
essersi
portato
su
posizioni
molto
vicine
a
quelle
di
Comunione
e
Liberazione,
egli
afferma
che
l'errore
"fatale"
in
cui
la
teologia
della
liberazione
incorre
è di
collocare
il
povero
come
“primo
principio
operativo
della
teologia”,
sostituendolo
a
Dio
e a
Gesù
Cristo.
E
spiega:
“Da
questo
errore
di
principio
possono
derivare
solo
effetti
funesti.
[...]
Quando
il
povero
acquista
lo
statuto
di 'primum'
epistemologico,
cosa
avviene
con
la
fede
e la
sua
dottrina
a
livello
di
teologia
e
anche
di
pastorale?
[...]
Il
risultato
inevitabile
è la
politicizzazione
della
fede,
la
sua
riduzione
a
strumento
per
la
liberazione
sociale”.
Le
conseguenze
sono
gravi
anche
per
la
vita
della
Chiesa:
“La
'pastorale
della
liberazione’
diventa
un
braccio
fra
tanti
del
'movimento
popolare'.
La
Chiesa
si
fa
simile
a
una
ONG
e
così
si
svuota
anche
fisicamente:
perde
operatori,
militanti
e
fedeli.
Quelli
'di
fuori'
provano
scarsa
attrazione
per
una
'Chiesa
della
liberazione',
poiché,
per
la
militanza,
dispongono
già
delle
ONG,
mentre
per
l’esperienza
religiosa
hanno
bisogno
di
molto
più
che
una
semplice
liberazione
sociale.
Inoltre,
per
il
fatto
di
non
percepire
l’estensione
e la
rilevanza
sociale
dell’attuale
inquietudine
spirituale,
la
teologia
della
liberazione
si
mostra
culturalmente
miope
e
storicamente
anacronistica,
ossia
alienata
dal
suo
tempo”.
Gli
ha
risposto
suo
fratello
Leonardo,
che
si
autodefinisce
oggi
"theologus
peregrinus",
senza
fissa
dimora
dopo
essere
stato
estromesso
dall'insegnamento
nelle
facoltà
di
teologia
cattoliche
da
una
sentenza
del
1985
della
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
causata
principalmente
dal
suo
libro
Chiesa:
carisma
e
potere.
Saggio
di
ecclesiologia
militante,
sentenza
dopo
la
quale
egli
ha
lasciato
l'abito
francescano
e si
è
sposato.
In
una
“lettera
aperta”,
ripresa
da
numerose
testate
brasiliane,
Leonardo
Boff
respinge
la
tesi
sostenuta
dal
fratello
Clodovis
come
“sbagliata,
teologicamente
erronea
e
pastoralmente
dannosa”.
Essa
infatti,
scrive,
“corre
il
rischio
di
condannare
la
Chiesa
e la
teologia
all’irrilevanza
storica
e
alla
sterilità
pastorale”.
A
giudizio
del
fratello,
la
tesi
di
Clodovis
va
rovesciata:
“Non
è
vero
che
la
teologia
della
liberazione
sostituisca
Dio
e
Cristo
con
il
povero.
[...]
È
stato
Cristo
che
ha
voluto
identificarsi
con
i
poveri.
Il
luogo
del
povero
è un
luogo
privilegiato
di
incontro
con
il
Signore.
Chi
incontra
il
povero
incontra
infallibilmente
Cristo,
ancora
nella
forma
del
crocifisso,
che
chiede
di
essere
deposto
dalla
croce
e
resuscitato”.
E,
quanto
alle
conseguenze
dell'attacco
portato
da
Clodovis
contro
la
teologia
della
liberazione,
Leonardo
Boff
scrive:
“Il
mio
sospetto
è
che
le
critiche
avanzate
da
Clodovis
forniscano
alle
autorità
ecclesiastiche
locali
e
romane
le
armi
per
condannarla
nuovamente
e,
chissà,
bandirla
definitivamente
dallo
spazio
ecclesiale.
Poiché
le
critiche
devastanti
provengono
dall’interno,
da
uno
dei
suoi
più
noti
espositori,
esse
possono
prestarsi
a
questo
gioco
infelice.
[...]
La
sua
posizione
è
musica
per
le
orecchie
di
quanti,
lontani
dal
mondo
e
dalla
sofferenza
dei
poveri,
hanno
in
abominio
questa
teologia.
Rafforza
il
tentativo
di
coloro
che
nella
società
e in
settori
del
Vaticano
la
vogliono
morta
o
impediscono
che
venga
studiata
o
proibiscono
che
sia
un
riferimento
per
la
pratica
pastorale
con
i
poveri
e
gli
emarginati.”
E’
probabile
che
il
maggior
rappresentante
vivente
del
movimento
che
ha
impresso
una
svolta
radicale
alla
teologia
terzomondista
esageri:
la
condanna
definitiva
e
assoluta
della
teologia
della
liberazione
da
parte
della
Chiesa
Cattolica
significherebbe,
in
questo
momento,
allontanare
dalla
fede
milioni
di
latino-americani
che
vi
si
riconoscono
e
non
pare
che
questo
sia
un
obiettivo
possibile
per
una
Chiesa
già
in
crisi
di
fedeli.
Più
verosimile
è
che
il
Vaticano
stia
semplicemente
in
attesa,
aspettando
che
la
polemica
“fratricida”
(e
mai
come
in
questo
caso
il
termine
potrebbe
essere
appropriato)
agisca
dall’interno,
spaccando
il
fronte
progressista
e
facendolo
implodere,
come
già
sta
avvenendo,
in
un
nugolo
di
sub-movimenti
divisi
da
aspetti
marginali
o da
posizioni
politiche
divergenti.
Riferimenti
bibliografici:
L.
Boff,
C.
Boff
,
Introducing
Liberation
Theology,
Orbis
Books
1987
L.
Ceci,
La
Teologia
della
Liberazione
in
America
Latina.
L'Opera
di
Gustavo
Gutierrez,
F.
Angeli
1999
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
Libertatis
nuntius.
Istruzione
su
alcuni
aspetti
della
Teologia
della
liberazione,
Tipografia
poliglotta
vaticana
1984
M.
Cuminetti,
La
Teologia
della
Liberazione
in
America
Latina,
Edizioni
Borla
1975
E.
Gringiani,
Utopia
o
fallimento
della
dottrina
sociale
della
Chiesa?
Dalla
"Rerum
novarum"
alla
teologia
della
liberazione.
Contributo
critico
al
pensiero
sociale
della
Chiesa,
Gianluigi
Arcari
1996
R.
McAfee
Brown,
Liberation
Theology,
Westminster
John
Knox
Press
1993
S.
Scatena,
La
Teologia
della
Liberazione
in
America
Latina,
Carocci
2008