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N. 18 - Giugno 2009 (XLIX)

IL REGNO TRA GLI ULTIMI
LA “TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE”

di Lawrence M.F. Sudbury

 

Tra gli anni ’60 e gli anni ’70, nel cuore del grande movimento mondiale di rivolta contro lo status quo che si esplicava a livello morale, sociale e politico, nacque in Sud America quella che voleva essere una rivoluzione nel modo di intendere la fede cristiana e di viverla quotidianamente: la cosiddetta “teologia della liberazione”.

 

A lungo essa si presentò come un notevole soggetto di discussione sia all’interno che all’esterno della Chiesa, ma, in seguito, la condanna da parte del Vaticano e il cosiddetto “riflusso” erosero buona parte delle basi di questo movimento, relegandolo nell’ombra. Oggi, a più di quarant’anni dalla sua nascita, è però possibile tentare di tracciarne un quadro di sviluppo storico che metta in luce i momenti evolutivi più importanti di quella che, per alcuni versi, è stato la più importante istanza di cambiamento sorta all’interno della Chiesa Cattolica (e non solo) negli ultimi decenni.

 

Il primo elemento da puntualizzare è che la “teologia della liberazione” non nacque dal nulla ma ebbe importanti radici sia remote che prossime. Per quanto riguarda le prime, esse possono certamente essere ricercate nella tradizione profetica dei missionari fin dai primi anni dell’epopea coloniale in America Latina, con una serie di ecclesiastici che, da subito, misero in discussione la tipologia di presenza adottata dalla Chiesa e il modo in cui gli indigeni, i neri, i meticci e le masse povere sia agricole che urbane venivano trattate. Nomi come quelli di Bartolomeo de Las Casas, Antonio de Montesinos, Antonio Vieira, Fratello Caneca e molti altri sono solo la punta dell’iceberg di un modo di intendere la presenza ecclesiastica in una società sfruttata che, evidentemente, ebbe una influenza sostanziale sullo sviluppo del nuovo sistema di pensiero.

 

Per quanto riguarda, invece, le cause più prossime di insorgenza di tale sistema, è impossibile non notare come i governi populisti sudamericani tra gli anni ’50 e gli anni ’60 (da Perón in Argentina, a Vargas in Brasile, e a Cárdenas in Messico) avessero ispirato un nuova consapevolezza nazionalista e una significativo sviluppo industriale di cui avevano largamente beneficiato le classi borghesi ma che avevano portato enormi masse di contadini e di proletari urbani in uno stato di marginalizzazione anche fisica all’interno di aree rurali depresse o di baraccopoli al limite della possibilità di sopravvivenza.

 

Lo sviluppo economico procedeva, dunque, lungo linee di dipendenza dal capitalismo delle nazioni più sviluppate, escludendo la gran parte delle popolazioni nazionali dalle possibilità di migliorare il proprio stato: era naturale che, in reazione a questa situazione, nascessero ovunque forti movimenti popolari di opposizione che, però, a loro volta, provocarono la nascita di dittature militari che si ponevano a salvaguardia degli interessi del capitalismo, spesso ammantando il loro comportamento reazionario con propositi di “sicurezza nazionale” che nascondevano unicamente una totale repressione politica contro la dissidenza, attuata, per lo più, con metodi di inaudita violenza.

 

In questo contesto, la rivoluzione socialista di Cuba venne da molti vista come una grande alternativa che portasse alla dissoluzione della causa principe del sottosviluppo: la dipendenza dal capitale straniero. Così, gruppi armati rivoluzionari, volti alla sovversione rispetto ai governi esistenti e all’instaurazione di regimi socialisti, sorsero praticamente in tutte le nazioni centro e sud americane, portando ad un clima pre-rivoluzionario fortemente sentito all’interno degli strati sociali più poveri.

 

La Chiesa, in una tale situazione, non poteva rimanere “alla finestra”. A partire dagli anni ’60, anche le istituzioni ecclesiastiche vennero sconvolte da una forte ventata di rinnovamento. Molti cristiani cominciarono a prendere davvero seriamente la loro missione sociale: numerosi laici si dedicarono al lavoro tra i poveri, vescovi e preti di grande carisma incoraggiarono ad operare in favore di un progresso sociale e di una reale modernizzazione nazionale e varie organizzazioni ecclesiali tentarono di promuovere la comprensione ed il miglioramento delle terribili condizioni di vita degli strati più bassi della piramide sociale. Organizzazioni come quelli dei “Giovani Studenti Cristiani”, dei “Giovani Lavoratori Cristiani”, dei “Giovani Agricoltori Cristiani” o dei gruppi del “Movimento per l’Educazione Primaria”, iniziarono a darsi da fare attivamente, sia operando attraverso i mass media che sul campo, per raggiungere l’obiettivo di una società più equa. L’opera di questi movimenti, generalmente di estrazione borghese, si basava filosoficamente sulla teologia europea delle realtà terrene, sull’integralismo umanista di Jaques Maritain, sul personalismo sociale di Mounier, sull’evoluzionismo progressista di Teilhard de Chardin, sulla riflessione della dimensione sociale del dogma di Henri de Lubac, sulla teologia della laicità di Yves Congar e sui lavori di Chenu, ma fu il Concilio Vaticano II a fornire la miglior giustificazione teorica alle attività sviluppate sotto il segno di una svolta progressista della missione cristiana.

 

La fine degli anni ’60, la crisi del populismo e del modello di sviluppo ad esso correlato portò all’avvento di una forte corrente del pensiero sociologico che smascherò le vere cause del sottosviluppo, dimostrando come sviluppo e sottosviluppo fossero da sempre due lati della stessa medaglia: tutte le nazioni occidentali erano impegnate in una vasta campagna di sviluppo delle nazioni meno progredite, ma l’organizzazione di tale sistema era tale per cui solo le nazioni già industrializzate usufruissero dei benefici del processo, lasciando tutti i costi sociali a quegli Stati meno sviluppati che risultavano periferici rispetto al sistema stesso. In pratica, la povertà del III Mondo era il prezzo da pagare perché il I Mondo potesse godere dei frutti della sovrabbondanza.

 

Nei circoli ecclesiastici più attenti nel seguire gli sviluppi della società e nello studiare i suoi problemi, questa interpretazione agì come una sorta di lievito che portò una nuova vitalità e un nuovo spirito critico all’interno dei consessi pastorali. La relazione di dipendenza della periferia rispetto al centro del mondo doveva essere sostituita da un processo di abbattimento dei muri sociali: in questo senso, le basi della teologia dello sviluppo vennero minate in profondità e sostituite dal seme di una teologia della liberazione, i cui elementi costitutivi si aggregarono solo quando movimenti popolari e gruppi cristiani si unirono con l’obiettivo comune di una liberazione sociale e politica, prodromo per una liberazione completa ed integrale dell’essere umano.

 

Le prime riflessioni che avrebbero portato allo sviluppo di un movimento teologico strutturato ebbero, dunque, la loro origine nel contesto di un dialogo tra la Chiesa e una società in fermento, tra fede cristiana e la volontà di una trasformazione che nasceva dal popolo. Il Concilio Vaticano II aveva prodotto un’atmosfera teologica caratterizzata da una grande libertà e creatività e questo diede ad alcuni teologi latino-americani il coraggio per rivolgere una sempre maggior attenzione ai problemi sociali dei loro Paesi. Ciò apparve particolarmente evidente nel dialogo inter-religioso tra Cattolici e Protestanti che ebbe luogo all’interno del gruppo “Chiesa e Società in America Latina” (ISAL), nel cui ambito si ebbero frequenti incontri tra teologi cattolici (Gustavo Gutiérrez, Segundo Galilea, Juan Luis Segundo, Lucio Gera e molti altri) e teologi protestanti (Emilio Castro, Julio de Santa Ana, Rubem Alves, José Míguez Bonino) allo scopo di intensificare gli sforzi di riflessione sulle relazioni tra fede e povertà e tra Vangelo e giustizia sociale. In brasile, tra il 1959 e il 1964, la sinistra cattolica riuscì così a produrre una serie di testi fondamentali di connessione tra ideale cristiano e azione popolare che già anticipavano la teologia della liberazione: in essi, si poneva l’accento sulla necessità di un impegno personale del singolo nel mondo, sostenuto dallo studio delle scienze sociali e dai principi universali del cristianesimo.

 

A seguire, durante un incontro di teologi latino-americani a Petrópolis (Rio de Janeiro) nel marzo 1964, Gustavo Gutiérrez per la prima volta descrisse la teologia come “una riflessione critica sull’azione” e questo tema venne ulteriormente sviluppato in altri meeting a L’Avana, Bogotà e  Cuernavaca tra il giugno e il luglio 1965, parte di un programma di lavoro che portò alla conferenza di Medellin del 1968, che pose le vere basi fondative della nuova teologia, di cui vennero discusse metodologie e linee di sviluppo. Nel frattempo, le lezioni di Gutiérrez a Montreal e a Chimbote in Perù nel 1967 avevano focalizzato l’attenzione del clero non solo americano sulla povertà del III Mondo e sulle possibilità di sviluppare una strategia pastorale che tenesse conto delle esigenze economiche delle fasce più disagiate. Il risultato di tutti questi incontri fu presentato all’opinione pubblica mondiale in un convegno-evento a Cartigny, in Svizzera, nel  1969, il cui titolo diede il nome a tutto il movimento che seguirà: "Verso una Teologia della Liberazione".

 

I primi congressi cattolici interamente legati alla teologia della liberazione furono tenuti a Bogotà nel marzo 1970 e nel luglio 1971, mentre, sul versante protestante, negli stessi anni, l’ISAL organizzava qualcosa di molto simile a Buenos Ayres.

 

Infine, nel dicembre 1971, Gustavo Gutiérrez pubblicò la sua opera fondativa  Teología de la Liberación, atto finale di un processo i cui momenti fondamentali erano stati il simposio di Hugo Assmarm "Oppressione-Liberazione: La Sfida dei Cristiani" (Montevideo – Maggio 1971) e la serie di articoli pubblicati da Leonardo Boff sul tema “Gesù Cristo Liberatore”.

A questo punto, la porta era aperta per lo sviluppo di una teologia nata dalla periferia del mondo per la periferia del mondo, capace di presentare una sfida immensa alla missione evangelizzatrice della Chiesa.

 

Per lo sviluppo di una tale teologia, possiamo, per amor di chiarezza, parlare di Quattro tappe fondamentali.

 

1)     Il momento fondativo, nato da coloro che per primi abbozzarono i fondamenti di questo nuovo modo di fare teologia. A parte gli scritti, ispiranti e basilari, di Gustavo Gutiérrez, possiamo ricordare, in questa fase, i testi di Juan Luis Segundo De la sociedad a la teología (1970) e Liberación de la teología (1975);di Hugo Assmann Teología desde la praxis de liberación; di Lucio Gera Apuntes para una interpretactón de le Iglesia argentina (1970) e Teologio de la liberación (1973) e, sul versante protestante, a parte tutte le opere di Emilio Castro e Julio de Santa Ana, gli splendidi contributi di Rubem Alves Religion: Opium of the People (1969) e di José Míguez Bonino La fe en busca de eficacia (1967) e Doing Theology in a Revolutionary Situation (1975). Tutti questi autori si erano concentrati sulla presentazione della teologia della liberazione come una “teologia fondamentale”, cioè come l’apertura di un nuovo orizzonte che dava un assetto completamente diverso all’intera teologia cristiana.

 

2)     Il momento costruttivo, incentrato sulla necessità di dare alla teologia della liberazione un contenuto dottrinale strutturato a partire da tre grandi filoni, riletti secondo le necessità più urgenti della vita della Chiesa: spiritualità, cristologia ed ecclesiologia. Il numero delle opere sudamericane editate in questa fase è enorme, ma tra esse vale la pena di citare gli scritti degli argentini Enrique Dussel, Juan Carlos Scarmone e Severino, dei brasiliani João Batista Libânio, Frei Betio, Carlos Palácio e Leonardo Boff, dei cileni Ronaldo Muñoz, Sergio Torres e Pablo Richard e dei messicani Raúl Vidales e Luis del Valle.

 

3)     Il momento del consolidamento. Una volta che il processo di riflessione teologica era stato ben sviluppato, si sentì il bisogno di attuare un duplice processo di consolidamento per radicare a fondo la nuova teologia. Da un lato vi era la necessità di comprendere che tale teologia necessitava di una solida base epistemologica e, quindi, di scoprire come evitare duplicazioni e confusioni espressive e di livelli, pur dando una espressione coerente a temi sorti dalla esperienza spirituale originale, a partire da una fase osservativa, per poi giungere ad una fase di giudizio teologico e, infine, ad una fase di azione pastorale, sempre tenendo presente  l’idea che una vera teologia della liberazione presupponesse un collegamento strettissimo tra teoria e pratica concreta. Dall’altro lato, il consolidamento  doveva essere raggiunto unicamente attraverso un volontario mescolarsi dei teologi e degli intellettuali all’interno dei circoli popolari: in quest’ottica, un numero sempre maggiore di teologi si fecero pastori a tutti gli effetti, per agire come agenti d’ispirazione per tutta la Chiesa e per la società, tanto che divenne quasi normale vedere teologi che si dividevano tra congressi di alto profilo intellettuale e momenti di catechismo popolare, lotta sindacale e organizzazione di comunità.

 

4)     Il momento della formalizzazione. Ogni visione teologica originale tende, con il passare del tempo a ricercare una sua espressione più formalizzata. Fin dai suoi esordi la teologia della liberazione aveva avuto come obiettivo un riesame dell’intero contenuto della Rivelazione e della Tradizione, per esplicitare i significati sociali e di liberazione popolare impliciti in entrambe le fonti. Il senso di ciò non stava assolutamente nella volontà di ridurre la totalità del Mistero ad una sola dimensione sociale, ma nel sottolineare aspetti di una Verità più grande che potessero avere particolare rilevanza nel contesto oppressivo della società latino-americana. Una formalizzazione di questo genere corrispondeva pienamente anche alle richieste pastorali: a partire dalla metà degli anni ’70 la Chiesa si stava sempre più confrontando con situazioni in cui doveva ergersi a difensore degli oppressi e sempre nuovi gruppi ecclesiali alla ricerca di un sistema di tutela delle classi più marginali si stavano formando proprio sotto il patrocinio della teologia della liberazione (solo in Brasile si possono ricordare, in questo senso il “Centro per l’Unita e la Coscienza Nera”, i movimenti per i diritti e la difesa degli abitanti delle favelas, le “Missioni agli Amerindi”, i “Centri per la Pastorale Rurale” e molti altri ancora). Per far fronte a queste necessità pastorali e dare un substrato teologico alla formazione dei lavoratori per la pastorale, un gruppo di più di cento teologi cattolici pianificarono e scrissero una serie di 55 volumi di Teologia della Liberazione, pubblicati in spagnolo e portoghese a partire dal 1985, atti a coprire tutti i più importanti temi teologici e pastorali dal punto di vista del nuovo sistema teologico.

 

In sostanza, seppur in sintesi minima, le grandi proposizioni emerse da tutto questo processo sono principalmente quattro:

·         la liberazione è conseguenza della presa di coscienza della realtà socioeconomica latinoamericana in particolare e del contesto socio-economico in generale;.

·         la situazione attuale della maggioranza dei latinoamericani (e, per estensione, di tutti i popoli del III Mondo) contraddice il disegno divino e la povertà diviene, dunque, un peccato sociale;

·         la salvezza cristiana include una "liberazione integrale" dell'uomo e raggruppa per questo anche la liberazione economica, politica, sociale e ideologica, come visibili segni della dignità umana;

·         non vi sono solo peccatori, ma anche persecutori che opprimono e vittime del peccato che richiedono giustizia.

·          

Da tali tesi conseguono una serie di impegni teorici e operativi, tra i quali i più importanti sono:

·         costante riflessione dell’uomo su se stesso per renderlo creativo a suo vantaggio e a quello della società in cui vive;

·         prendere coscienza della forte disuguaglianza sociale tra società opulente e popoli votati alla miseria, ponendosi al fianco dei poveri, che sono le membra sofferenti del corpo crocifisso di Cristo, senza avallare perciò tesi che si avvicinino ad un cristianesimo classista e rivoluzionario. la rivoluzione del vangelo è l'amore, non la lotta. La giustizia sociale è sorella della carità;

·         rivendicare la democrazia approfondendo la presa di coscienza delle popolazioni riguardo i loro veri nemici, per trasformare l’attuale sistema sociale ed economico;

·         eliminare la povertà, la mancanza di opportunità e le ingiustizie sociali, garantendo l’accesso all’istruzione, alla sanità, ecc.;

·         creare un uomo nuovo, come condizione indispensabile per assicurare il successo delle trasformazioni sociali. L’uomo solidale e creativo deve essere il motore dell’attività umana in contrapposizione alla mentalità capitalista della speculazione e della logica del profitto;

·         libera accettazione della dottrina evangelica, ossia procurare innanzi tutto condizioni di vita dignitose e poi, se la persona lo vuole, perseguire l’attività pastorale, diversamente da prima, in cui finché le missioni cristiane sfamavano le persone, allora queste si dichiaravano cristiane.

 

Certamente, a partire dalla metà degli anni ’70, in virtù del suo estremo dinamismo sociale, la teologia della liberazione si diffuse con una rapidità impressionante, grazie sia al supporto di alcuni vescovi-teologi tra i maggiori della Chiesa latino-americana (Hélder Câmara, Luis Proaño, Samuel Ruiz, Sergio Méndez Arceo, i cardinali Paulo Evaristo Arns e D. A. Lorscheider tra gli altri) che al lavoro pubblicistico sulle maggiori riviste teologiche del mondo (e, in particolare, latino-americane) e di organizzazione di congressi e contatti internazionali quali, solo per citare i maggiori, il Congresso dell’Escorial nel luglio 1972 a tema “Fede Cristiana e Trasformazione Sociale in America Latina”; il primo congresso dei teologi latino-americani di Mexico City nell’ Agosto 1975; i contatti con i rappresentanti dei movimenti di liberazione dei neri statunitensi, dei movimenti femministi, dei movimenti amerindi; la creazione di una “Associazione Ecumenica dei Teologi del Terzo Mondo” (EATWOT) nel 1976, che, nei suoi incontri (dal 1976 al 1986) ha sempre sostenuto la necessità di attuare politiche vicine alla teologia della liberazione.

 

Mentre tutti questi sviluppi stavano avendo luogo, alcune riserve e opposizioni cominciarono ad essere espresso da membri della Chiesa che temevano che la fede stesse diventando troppo legata alla politica e da altri che non credevano nell’uso di categorie di origine marxista per l’analisi delle strutture sociali.

Inizialmente, le reazioni negative si cristallizzarono intorno a tre figure in particolare: Alfonso López Trujillo, prima segretario e poi presidente del CELAM, Roger Vekemans del CEDIAL (Centro de Estudios para el Desarrollo e Integración de América Latina, Bogotà) e la rivista Tierra Nueva, e Bonaventura Kloppenburg,  ex direttore dell’Istituto Pastorale di Medellin, poi vescovo ausiliario di Salvador in Brasile e autore del più duro attacco alla teologia della liberazione con il suo testo Christian Salvation and Human Temporal Progress (1979).

 

Ovviamente, il caso non rimase confinato al solo territorio latino-americano: praticamente da subito Roma si interessò di questa nuova teologia, mantenendo una posizione inizialmente piuttosto ambivalente.

Già nel 1971, il documento finale della II Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Giustizia nel Mondo, mostrava tracce di un pensiero piuttosto prossimo a quello della teologia della liberazione, tracce ancor più presenti, tre anni dopo, nel documento finale della III Assemblea, Evangelizzazione del Mondo Moderno e, nel 1975, addirittura in 15 paragrafi dell’Enciclica Evangelii Nuntiandi di papa Paolo VI (nos. 25-39).

 

Con l’elezione di Giovanni Paolo II, però, il vento sembrò cambiare decisamente. Già in uno dei suoi primi viaggi apostolici in Messico, nel gennaio del 1979, il nuovo papa dichiarò che «la concezione di Cristo come una figura politica, un rivoluzionario (...) non è compatibile con gli insegnamenti delle Chiesa». Da quel momento in poi, su sollecitazione dello stesso Santo Padre, la Congregazione per la Dottrina della Fede, presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, studiò a lungo i postulati teologici dei maggiori leader del movimento latino-americano (nel frattempo quasi tutti sospesi dall’insegnamento). Frutto di tali studi furono  due documenti, Libertatis Nuntius (1984) e Libertatis Conscientia (1986): in entrambi, si considerava, in sostanza, che nonostante la vicinanza della Chiesa cattolica ai poveri, la tendenza della teologia della liberazione ad accettare postulati marxisti e di altre ideologie politiche non era compatibile con la dottrina sociale della Chiesa cattolica, specialmente nell’assunto in cui quella teologia sosteneva che la redenzione fosse ottenibile attraverso un compromesso con le esigenze di riscatto sociale dei poveri.

 

Tali giudizi fortemente critici e la forte pressione dei settori conservatori della Chiesa, come l'Opus Dei, spinsero verso la negazione di un appoggio della Santa Sede richiesto da monsignor Oscar Romero, anche se, in seguito, lo stesso papa Giovanni Paolo II, ebbe modo di riconoscere che la teologia della liberazione aveva avuto un ruolo «buono, utile e necessario» per la difesa dei poveri, in una lettera rivolta alla Conferenza Episcopale Brasiliana ed egli stesso assunse, nel suo magistero sociale, in particolare  nella Centesimus annus, la tematica della liberazione come compito della Chiesa del nostro tempo.

 

Tali posizioni del Vaticano finirono certamente per indebolire la teologia della liberazione, marginalizzandola, spesso portandola troppo vicino a movimenti terroristici di estrema sinistra e, soprattutto, togliendole voce nei principali consessi teologici mondiali.

 

Allo stato attuale, grazie soprattutto al contributo di Leonardo Boff e dei suoi numerosi libri come Ecologia, mondialità, mistica, o il più recente Spiritualità per un altro mondo possibile,  la teologia della liberazione ha sviluppato un filone nuovo, scoprendo lo stretto legame di necessaria interdipendenza tra solidarietà che gli esseri umani sono chiamati ad avere tra loro e quella che devono avere con la natura, attraverso la riscoperta dell'ambiente e di una rinnovata cura ecologica. In questo senso, il cuore dell’azione teologica ha sposato le tesi e l'azione del movimento altermondialista (detto anche "no-global"), in cui alla contestazione del neoliberismo si aggiunge la promozione della pace fondata sulla giustizia e la richiesta di una partecipazione democratica efficace da parte dei movimenti di base.

 

In ambito extra-ecclesiale,  a seguito degli scontri sempre più forti tra la gerarchia della Chiesa e il movimento della teologia della liberazione, si è giunti a sposare le tesi della teologia radicale e politica, europea e statunitense, unendosi quindi nella richiesta di una reale partecipazione dei laici e delle donne alla vita e alla guida della Chiesa, al decentramento del potere ecclesiale e all'inculturazione del Vangelo nelle Chiese e nelle tradizioni locali, al macroecumenismo (condivisione di riflessione e impegno allargata, cioè, alle grandi religioni mondiali), al pluralismo nelle questioni riguardanti la salvezza, in cui il ruolo di Gesù Cristo, pur non marginalizzato, non risulti più esclusivo delle altre esperienze religiose umane.

 

Il 13 ottobre 2006 Benedetto XVI ha promulgato una Notificazione (pubblicata il 14 marzo 2007), che condanna come "erronee e pericolose" alcune tesi espresse dal teologo della liberazione Jon Sobrino, gesuita basco emigrato in El Salvador, nei suoi due libri Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret, del 1991, e La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas, del 1999, che hanno avuto grande diffusione in America Latina.

 

Tale ulteriore condanna ha avuto ripercussioni fortissime sui teologi della liberazione, creando una vera frattura interna al movimento. Paradigmatica, in questo senso è stata la disputa sorta tra due delle figure principali della corrente: i fratelli Boff.

 

Nell’autunno 2007, con un saggio pubblicato sulla “Revista Eclesiástica Brasileira” (curata dai Francescani del Brasile), Clodovis Boff ha rotto con questa corrente teologica, o meglio, con “l'errore di principio” su cui a suo giudizio si fonda.

 

Clodovis Boff appartiene ai Servi di Maria, vive a Curitiba, nello stato del Paraná, e insegna nella Pontificia Università Cattolica della città. Non è stato mai processato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ma negli anni ‘80 perse la cattedra nella Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro e gli fu impedito di insegnare al "Marianum", la facoltà teologica del suo ordine, a Roma. Oggi, dopo essersi portato su posizioni molto vicine a quelle di Comunione e Liberazione, egli afferma che l'errore "fatale" in cui la teologia della liberazione incorre è di collocare il povero come “primo principio operativo della teologia”, sostituendolo a Dio e a Gesù Cristo. E spiega: “Da questo errore di principio possono derivare solo effetti funesti. [...] Quando il povero acquista lo statuto di 'primum' epistemologico, cosa avviene con la fede e la sua dottrina a livello di teologia e anche di pastorale? [...] Il risultato inevitabile è la politicizzazione della fede, la sua riduzione a strumento per la liberazione sociale”. Le conseguenze sono gravi anche per la vita della Chiesa: “La 'pastorale della liberazione’ diventa un braccio fra tanti del 'movimento popolare'. La Chiesa si fa simile a una ONG e così si svuota anche fisicamente: perde operatori, militanti e fedeli. Quelli 'di fuori' provano scarsa attrazione per una 'Chiesa della liberazione', poiché, per la militanza, dispongono già delle ONG, mentre per l’esperienza religiosa hanno bisogno di molto più che una semplice liberazione sociale. Inoltre, per il fatto di non percepire l’estensione e la rilevanza sociale dell’attuale inquietudine spirituale, la teologia della liberazione si mostra culturalmente miope e storicamente anacronistica, ossia alienata dal suo tempo”.

 

Gli ha risposto suo fratello Leonardo, che si autodefinisce oggi "theologus peregrinus", senza fissa dimora dopo essere stato estromesso dall'insegnamento nelle facoltà di teologia cattoliche da una sentenza del 1985 della Congregazione per la Dottrina della Fede, causata principalmente dal suo libro Chiesa: carisma e potere. Saggio di ecclesiologia militante, sentenza dopo la quale egli ha lasciato l'abito francescano e si è sposato.

 

In una “lettera aperta”, ripresa da numerose testate brasiliane, Leonardo Boff respinge la tesi sostenuta dal fratello Clodovis come “sbagliata, teologicamente erronea e pastoralmente dannosa”. Essa infatti, scrive, “corre il rischio di condannare la Chiesa e la teologia all’irrilevanza storica e alla sterilità pastorale”. A giudizio del fratello, la tesi di Clodovis va rovesciata: “Non è vero che la teologia della liberazione sostituisca Dio e Cristo con il povero. [...] È stato Cristo che ha voluto identificarsi con i poveri. Il luogo del povero è un luogo privilegiato di incontro con il Signore. Chi incontra il povero incontra infallibilmente Cristo, ancora nella forma del crocifisso, che chiede di essere deposto dalla croce e resuscitato”.

 

E, quanto alle conseguenze dell'attacco portato da Clodovis contro la teologia della liberazione, Leonardo Boff scrive: “Il mio sospetto è che le critiche avanzate da Clodovis forniscano alle autorità ecclesiastiche locali e romane le armi per condannarla nuovamente e, chissà, bandirla definitivamente dallo spazio ecclesiale. Poiché le critiche devastanti provengono dall’interno, da uno dei suoi più noti espositori, esse possono prestarsi a questo gioco infelice. [...] La sua posizione è musica per le orecchie di quanti, lontani dal mondo e dalla sofferenza dei poveri, hanno in abominio questa teologia. Rafforza il tentativo di coloro che nella società e in settori del Vaticano la vogliono morta o impediscono che venga studiata o proibiscono che sia un riferimento per la pratica pastorale con i poveri e gli emarginati.

 

E’ probabile che il maggior rappresentante vivente del movimento che ha impresso una svolta radicale alla teologia terzomondista esageri: la condanna definitiva e assoluta della teologia della liberazione da parte della Chiesa Cattolica significherebbe, in questo momento, allontanare dalla fede milioni di latino-americani che vi si riconoscono e non pare che questo sia un obiettivo possibile per una Chiesa già in crisi di fedeli.

Più verosimile è che il Vaticano stia semplicemente in attesa, aspettando che la polemica “fratricida” (e mai come in questo caso il termine potrebbe essere appropriato) agisca dall’interno, spaccando il fronte progressista e facendolo implodere, come già sta avvenendo, in un nugolo di sub-movimenti divisi da aspetti marginali o da posizioni politiche divergenti.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

L. Boff, C. Boff , Introducing Liberation Theology, Orbis Books 1987

L. Ceci, La Teologia della Liberazione in America Latina. L'Opera di Gustavo Gutierrez, F. Angeli 1999

Congregazione per la Dottrina della Fede, Libertatis nuntius. Istruzione su alcuni aspetti della Teologia della liberazione, Tipografia poliglotta vaticana 1984

M. Cuminetti, La Teologia della Liberazione in America Latina, Edizioni Borla 1975

E. Gringiani, Utopia o fallimento della dottrina sociale della Chiesa? Dalla "Rerum novarum" alla teologia della liberazione. Contributo critico al pensiero sociale della Chiesa, Gianluigi Arcari 1996

R. McAfee Brown, Liberation Theology, Westminster John Knox Press 1993

S. Scatena, La Teologia della Liberazione in America Latina, Carocci 2008



 

 

 

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