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N. 139 - Luglio 2019 (CLXX)

Teodosio I: santo o assassino?

Dall’editto alla Strage di Tessalonica

di Serena Scicolone

 

Teodosio I il Grande, imperatore romano dal 379 al 395, fu l’ultimo imperatore “unico” della storia di Roma. Dopo la sua morte infatti, l’impero fu definitivamente e ufficialmente diviso: la parte orientale fu affidata al primogenito Arcadio, quella occidentale al secondogenito Onorio.

 

Da quel momento ciascuna parte dell’impero avrebbe avuto una storia indipendente: l’Occidente sarebbe inevitabilmente crollato sotto i colpi dei barbari nel 476, la parte orientale sarebbe invece caduta solo nel 1453 sotto l’invasione dei temibili Turchi Ottomani, dimostrando così una maggiore stabilità politica, economica e militare rispetto all’Occidente che per molto tempo era stato considerato il centro dell’impero e del mondo.

 

Se la morte di Teodosio rappresenta dunque una svolta nella politica e nell’amministrazione territoriale dell’impero, la sua vita segna una rivoluzione nella storia religiosa del territorio romano e nei complicati rapporti tra Chiesa e Potere, rapporti tesi e difficili che avrebbero poi caratterizzato il Medioevo.

 

Iniziamo con il dire che l’imperatore Teodosio fu poi santificato dalla Chiesa ortodossa, divenendo così San Teodosio I il Grande, commemorato il 17 Gennaio, giorno della sua morte e dunque dies natalis, ovvero il giorno della vera nascita in senso cristiano. Fu pertanto raffigurato a volte con una bella aureola intorno al capo. Eppure, a distanza di secoli, viene da chiedersi se veramente Teodosio fosse degno di quel sacro simbolo di santità.

 

Certo è che non mancassero alla Chiesa cristiana i motivi per essere grati a tale imperatore: era stato proprio Teodosio, con l’Editto di Tessalonica (l’attuale Salonicco) del 380, a rendere la religione cristiana l’unica ammessa all’interno dei confini imperiali e, di conseguenza, a farla diventare religione di stato. Un altro imperatore molto amato dalla Chiesa, Costantino, aveva precedentemente compiuto un primo importante passo promulgando l’Editto di Milano nel 313.

 

A ben vedere, in effetti, quello di Milano fu un editto molto più moderno di quello di Tessalonica, in quanto si limitava ad affermare la libertà di culto di qualunque religione dimostrando dunque una tolleranza che fu poi sconosciuta allo stesso Teodosio.

 

Altro motivo di riconoscenza da parte della Chiesa cristiana fu anche l’atteggiamento rispettosissimo di Teodosio nei confronti del vescovo di Milano Ambrogio, il Sant’Ambrogio patrono di Milano festeggiato ogni 7 Dicembre. Possiamo affermare che Ambrogio non fu solo una guida spirituale per Teodosio ma anche un amico e un consigliere, a volte ingombrante e spesso più potente dello stesso imperatore.

 

Stando a quanto detto, dunque, Teodosio fu fondamentale per l’affermazione e lo sviluppo del cristianesimo nel territorio romano. Tuttavia tale ruolo è davvero sufficiente a giustificare la sua santificazione?

 

Pare strano, infatti, considerare santo un uomo che ha sì rafforzato la religione cristiana ma a suon di persecuzioni, minacce, esecuzioni e confische. Ma questo non è tutto. Già, perché il “San” Teodosio, nella stessa città dalla quale aveva emanato l’editto, dieci anni dopo si macchiò di un peccato che difficilmente si addice alla vita di un santo. All’editto del 380 seguì infatti nel 390 l’evento passato alla storia come l’Eccidio di Tessalonica.

 

Nel Maggio del 390 la città era in piena trepidazione, le strade colme di gente festante diretta verso l’ippodromo. Lì si sarebbe svolta una gara di bighe organizzata dal magnanimo imperatore Teodosio. Quest’ultimo sapeva bene quanto i cittadini amassero le corse e gli aurighi che con i loro corpi statuari e gli sguardi penetranti apparivano quasi come eroi dell’Iliade.

 

Qualche tempo prima della gara era però avvenuto un fatto grave sia da un punto di vista umano che politico: il generale Buterico aveva arrestato uno dei migliori aurighi della città per motivi non molto chiari e aveva poi rifiutato la richiesta della folla di permettere all’atleta di partecipare alla gara. In seguito a tale rifiuto, parte della folla si era avventata su Buterico e lo aveva brutalmente linciato.

 

La morte di Buterico rappresentava per Teodosio un grave atto di insubordinazione e pertanto andava punito in modo esemplare facendo sì che le conseguenze di tale atto servissero da monito per il futuro. Ciò che fece Teodosio però non può essere visto come un atto di giustizia, ma deve inevitabilmente essere considerata una cieca e ingiustificabile vendetta.

 

Una volta che l’ippodromo fu pieno di spettatori, per ordine dell’imperatore, i soldati bloccarono tutte le uscite e iniziarono una spietata strage. Tutti i presenti, circa 7.000, furono uccisi e non è difficile immaginare le urla strazianti degli spettatori divenuti vittime, né i volti increduli di quanti si erano recati lì per assistere a una gara e si ritrovarono invece a essere tristi protagonisti di un aberrante spettacolo. La rabbia di Teodosio si era scagliata contro un elevato numero di innocenti, colpevoli soltanto di non aver compreso il tranello organizzato dal loro imperatore.

 

L’amico vescovo, venuto a conoscenza dei fatti, non poté esimersi dall’esprimere la sua totale disapprovazione per un gesto tanto atroce compiuto da colui che si professava “cristiano”. In una lettera rivolta allo stesso Teodosio, Ambrogio scomunicò l’imperatore e adottò un atteggiamento intransigente ma al tempo stesso misericordioso: l’imperatore sarebbe stato nuovamente accolto dalla Chiesa e avrebbe potuto riceverne i sacramenti solo dopo l’umiliazione della propria anima davanti a Dio.

 

Lo storico Teodoreto di Ciro, nella sua Storia Ecclesiastica, affermò addirittura che quando Teodosio si presentò a Milano in Chiesa, il vescovo gli impedì di entrare e lo rimproverò apertamente perché, evidentemente, non si era ancora reso conto della gravità delle sue azioni.

 

Teodoreto, all’epoca di tali fatti, era solo un bambino e il suo racconto che descrive Ambrogio nell’atto di impedire fisicamente l’accesso di Teodosio alla Chiesa sembra oggi una leggenda e non una verità storica. Certo è però che Teodosio, mesi dopo, dovette pubblicamente pentirsi del suo gesto tanto che Ambrogio nel discorso funebre per la morte dell’imperatore avrebbe elogiato proprio l’umiltà di Teodosio che si era prostrato davanti al vescovo e aveva pianto pubblicamente.

 

Non sappiamo, tuttavia, se tale sentimento fosse sincero o dettato piuttosto dalla paura di perdere la fedeltà dei suoi sudditi cristiani. Sappiamo però che ciò gli fu sufficiente per essere riammesso ai Sacramenti, per riavere la complicità del vescovo Ambrogio e per essere in seguito venerato come un santo.

 

Il suo pubblico pentimento, inoltre, aveva mostrato in modo palese l’inizio della sottomissione del potere temporale a quello spirituale.



 

 

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