[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

192 / DICEMBRE 2023 (CCXXIII)


contemporanea

La tentazione di sant’Antonio
SULLOPERA DI FLAUBERT

di Alessio Guglielmini

 

Erminiani, priscillianisti, elcasaiti, carpocraziani, nicolaiti, marcosiani, elvidiani, messaliani, paterniani, arcontici, tazianiti, valentiniani,valesiani,circoncellioni, audiani, colliridiani, asciti, marcioniti, cerinziani,sampseiani, encratiti, cainiti, ebioniti, sethiani, teodotiani, merinziani, apollinaristi, fino ad arrivare agli scismatici capeggiati da Ario. Gli eretici gnosticizzanti che scappano, a folate, dalle pagine di La tentazione di Sant’Antonio di Gustave Flaubert sono uno dei numerosi indizi della destrutturazione, della diversificazione, della scissione che governano, e incatenano a sé stessa, quest’opera.


Flaubert si cimenta per almeno venticinque anni sul testo, liberandone tre diverse edizioni, nel 1849, nel 1856, nel 1874, impossibilitato a risolvere un gioco da procrastinare all’infinito. La Tentation, non a caso, viene definita da Michel Foucault “un fantastico da biblioteca”, che è anche il titolo del suo breve saggio in merito, riunito nella miscellanea Scritti letterari (pp. 135-153). Leggere questo Flaubert equivale infatti a leggere tantissimi altri libri, tra cui i “ferri del mestiere” citati da Foucault, indispensabili per padroneggiare il credo delle antiche sette e raccapezzarsi al cospetto dell’eterogeneità dei culti remoti e delle fantasie leggendarie: dalle Mémoires Ecclésiastiques di Tillemontalle, Histoires Prodigieuses di Boaistuau, dalla Patrologie di Migne, alle Religions de l’Antiquité di Creuzer, per menzionarne alcuni.


Sotto la coltre di questi poderosi volumi riposti con cura nel rifugio del più erudito dei bibliofili, giace l’avvisaglia del più solenne dei libri, le Sacre Scritture, da cui emerge la fenditura tra un pantheon sovraccarico che non vuole scomparire e la novità del verbo cristiano che prova ad azzerare le miriadi di sfumature che, attraverso colori densi e sensuali, Flaubert fa straboccare lungo le visioni del Santo. Il lettore viene così tempestato da quei dubbi che Flaubert rinuncia a esorcizzare, se non con alcune voci stoiche che vorrebbero chetare il cervello in fiamme dell’eremita in preda al delirio mistico e intellettuale.


Tertulliano che ammonisce («Dopo Gesù, la scienza è inutile») prova per l’appunto a vanificare l’andirivieni delle fantasmagorie che costellano il folto palinsesto delle visioni di Antonio Abate. È un tentativo destinato al fallimento, perché alla saggezza del silenzio si sovrappone il coro delle infinite deviazioni dalla verità. Sembra che sia lo stesso eremita, all’inizio del dramma, a propiziare quell’onda allucinatoria, leggendo proprio dalle pagine del libro per eccellenza: «La Bibbia si è trasformata in libreria, la magia delle immagini in appetito di lettura» (Foucault, Scritti letterari, p. 150).


Diversi sono del resto i registri e le prospettive in cui il lettore viene immerso fin dall’esordio. C’è innanzitutto la descrizione della scenografia di base, un vero prologo teatrale che materializza la capanna nella Tebaide, in un desolato nulla, in cui l’eremita è assalito dai ricordi, ancor prima che dalle visioni, diapositive che finiscono per confondersi. C’è poi la voce, il monologo del Santo, che proclama la sua miseria e la sua disgrazia. C’è sicuramente il grosso libro da cui Antonio recita, quella Bibbia da cui prendono forma i convitati, le miriadi di apparizioni che si alternano sul palco diagnosticato dalla ricognizione di Foucault: «Si ha dapprima il lettore (1) – il lettore reale che noi siamo quando leggiamo il testo di Flaubert – e il libro che egli ha sotto gli occhi (1 bis); questo testo, fin dalle prime righe (e nella Tebaide, … la capanna dell’eremita occupa il fondo) invita il lettore a farsi spettatore (2) di una ribalta di teatro in cui lo scenario è minuziosamente indicato» (ivi, cit. p. 142). Foucault prosegue, giungendo a delineare sei livelli scaturiti dal semplice piano del lettore reale.


Che la genesi dell’opera sia rivolta al palcoscenico, è lo stesso Flaubert ad ammetterlo, in una lettera ad Alfred Le Poittevin, datata 13 maggio 1845, dopo aver visto a Genova, presso la collezione Balbi, un quadro attribuito a Pieter Brueghel il Giovane, raffigurante le tentazioni, che gli fornisce l’alibi per un arrangiamento teatrale dei tormenti del Santo. Per inciso, la prima edizione della sua fatica è dedicata proprio all’amico Le Poittevin, morto, come si legge nell’intestazione, a La Neuville-Chant-d’Oisel, il 13 aprile 1848.


L’attribuzione a Brueghel il Giovane dell’opera viene peraltro messa in discussione da Max Friedländer, come suggerisce Massimo Leone in Tentazioni semiotiche: una danza intertestuale intorno a Flaubert. Paul Cézanne, Odilon Redon, Max Ernst, tra i più famosi, riprendono il tema che affascina Flaubert e che, ben più efficacemente di Brueghel, Hieronymus Bosch ha esplorato nella sua prospettiva multiforme. La tentazione di Sant’Antonio rimane gioco forza un topos, un luogo allettante, benché poco rassicurante, dell’inconscio collettivo; di tanto in tanto, Flaubert torna ad affacciarsi su quel mondo fantasmagorico che, in qualche modo, specifica uno spaccato della sua sensibilità.


A conferma di come i luoghi della Tentation siano innanzitutto interiori, Flaubert sceglie di visitare fisicamente l’Oriente magico e mistico che ha invaso le tavole visive del suo dramma, dopo averne terminato la prima stesura. È il novembre del 1849 e lo scrittore, insieme all’amico Maxime Du Camp, si imbarca da Marsiglia per Alessandria. Visita Il Cairo, Luxor, Karnak, prende appunti febbrili su ogni dettaglio registrato dal suo sguardo e gode appieno delle promesse erotiche degli harem e dei bordelli, cedendo laddove Antonio chiaramente resiste. Si spinge oltre, riavvicinandosi all’Europa, attraverso il Libano (Baalbek) e la Palestina fino a Costantinopoli e alla Grecia.


Dall’inconscio visionario alla realtà, è questa la genesi del suo sant’Antonio che deve, per forza di cose, essere prima immaginato che testato sul campo. Accade il contrario con la sceneggiatura di Salammbô. Nell’aprile del 1858 Flaubert si muove verso Cartagine: percorre l’Algeria, si sofferma a Tunisi e Utica, dedicandosi poi per quattro giorni alle rovine della capitale punica. Le sue missive a Louis Bouilhet testimoniano una profonda immedesimazione in quei siti che Flaubert comincia a sentire come suoi prima di trasporli in dramma. La documentazione libraria che ha anticipato la stessa versione inaugurale della Tentation, con Salammbô si accompagna alla ricerca di prima mano che porta Flaubert ad accertare le informazioni bibliografiche precedentemente acquisite.


Ma, d’altro canto, Salammbô è opera dal fondale storico, mentre la Tentation sfugge repentinamente alle normali coordinate temporali. Il proscenio frequentato dal Santo continua infatti ad albergare nell’intima percezione di Flaubert e a esigere una sorta di esorcismo, sotto forma di revisione e ripensamento. Nel maggio dell’1870, nell’isolamento della casa di Croisset, come scrive Lanfranco Binni (La vita e le opere, nella prefazione del Madame Bovary edito da Garzanti, p. XLII), Flaubert “rientra faticosamente nell’universo mistico dell’opera iniziata nel 1845, e si confronta con la concezione panteistica e faustiana, disperatamente energica, delle prime due redazioni”.


Sempre Binni rievoca la definizione di Charles Baudelaire, a proposito di quest’opera in continua gestazione: “la stanza segreta” di Flaubert. I due autori, nel 1857, subiscono un processo simile con l’accusa di oltraggio alla moralità pubblica e religiosa e ai buoni costumi, mossa dal procuratore Pierre Ernest Pinard. Le opere coeve “messe all’indice” sono rispettivamente Madame Bovary e I fiori del male. Flaubert, affiancato dall’abile avvocato Jules Sénard, ne esce illeso, mentre Baudelaire viene condannato a pagare un’ammenda di 300 franchi e sei poesie della sua raccolta vengono censurate.


Oltre a condividere le tribolazioni in tribunale e, en passant, l’anno di nascita (1821), Baudelaire e Flaubert condividono anche “la stanza segreta” di quest’ultimo, di cui Baudelaire legge la seconda stesura del 1856. Il poeta muore infatti nel 1867 e non può prendere visione della terza e ultima versione, conclusa nel 1872 e pubblicata nel 1874. E, tuttavia, ne coglie l’essenza che prescinde dalle varianti, dai ritocchi, dalle rielaborazioni.

 

La tentazione di Sant’Antonio è fuori dal tempo accertato, è una scatola magica, un gioco sempre attuale nell’animo di Flaubert, tanto da far dire a Binni, già a proposito della prima edizione, che è l’eremita Flaubert, tramite “un punto di vista unitario”, a tenere insieme lo “spettacolo del mondo” su cui lo scrittore posa il suo sguardo erudito.


Il Diavolo, la Regina di Saba, le allegorie medievaleggianti, i sette vizi capitali, il discepolo tentatore Ilarione, il serpente Knuphis, la profetessa Massimilla e il divo gnostico Abraxas sono solo alcuni degli ospiti di questa camera delle meraviglie di cui Flaubert apre,periodicamente, i battenti, facendo scivolare fuori la disperata energia del suo esilio.

 

Proprio come il suo irriducibile Antonio, Flaubert spezza le barriere del suo eremitaggio attraverso le straordinarie peregrinazioni della psiche che, evidentemente, i suoi viaggi fisici non riescono, del tutto, a compensare e cauterizzare.


Riferimenti bibliografici:


Gustave Flaubert, La tentazione di Sant’Antonio, Carbonio Editore, Aci Castello 2023.
Michel Foucault, Scritti letterari, Feltrinelli, Milano 2020.
Massimo Leone, Tentazioni semiotiche: una danza intertestuale intorno a Flaubert in ElC, Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici, 2012.
Lanfranco Binni, La vita e le opere in Gustave Flaubert, Madame Bovary, Garzanti, Milano 1992.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]