N. 54 - Giugno 2012
(LXXXV)
tensioni comunitarie in libano
ombre siriane
di Federico Donelli
La
situazione
libanese
è
caratterizzata
dal
rapporto
di
precario
equilibrio
tra
le
molte
comunità
confessionali
presenti
nel
Paese,
principalmente
tra:
Maroniti,
Sunniti,
Drusi
e
Sciiti.
La
nascita
del
comunitarismo
libanese
deve
essere
ricercata
nel
XIX
secolo
quando
la
provincia
ottomana
conosciuta
come
Grande
Siria
(comprendeva
l’attuale
Libano),
tradizionalmente
dotata
di
ampie
autonomie,
finì
sotto
la
dominazione
egiziana
di
Mehmet
Alì
(1832-1840).
Nel
giro
di
un
decennio
le
maggiori
aperture
liberali
e le
riforme
in
chiave
moderna
promosse
da
Mehmet
Alì
introdussero
nuove
e
sempre
più
strette
relazioni
con
le
potenze
europee
che,
a
partire
da
quel
momento,
iniziarono
a
giocare
un
ruolo
determinante
per
la
definizione
dei
successivi
assetti
politici
e
sociali
del
Paese.
Centrale
fu
la
decisione
presa
nel
1862,
a
seguito
di
nuovi
e
sanguinosi
scontri
tra
la
componente
drusa
(protetta
dalla
Gran
Bretagna)
e
quella
cristiano
maronita
(protetta
dalla
Francia),
di
introdurre
il
così
detto
“regolamento
organico”
che,
da
una
parte
segnò
la
definitiva
internazionalizzazione
della
crisi
libanese,
dall’altra,
legittimò
un
sistema
politico-istituzionale
basato
sul
confessionalismo
comunitario.
Il
comunitarismo
introdotto
dagli
europei
impedì
negli
anni
successivi
lo
sviluppo
di
un’unica
e
coesa
idea
di
nazione,
aprendo
invece
ad
una
perenne
fase
di
precari
equilibri.
Questi
equilibri
vennero
successivamente
confermati
e
istituzionalizzati
nella
moderna
costituzione
libanese
del
1926,
che
determinò
una
precisa
spartizione
del
potere
politico
fra
i
diversi
gruppi
religiosi
confermata
poi
nel
1943,
anno
dell’indipendenza
del
Libano,
nel
famoso
Patto
Nazionale
(al-mīthāq
al-watanī).
Il
Patto
Nazionale,
che
formalmente
è
volto
ad
integrare
la
costituzione
del
1926,
predispone
che
le
tre
principali
cariche
della
Repubblica
parlamentare
libanese
spettino
alle
tre
comunità
confessionali
più
importanti:
il
Presidente
deve
essere
maronita,
il
Primo
Ministro
sunnita
e il
Presidente
del
Parlamento
sciita.
Negli
ultimi
mesi
è
stato
introdotto
un
nuovo
elemento
di
tensione,
dato
dai
diversi
schieramenti
createsi
all’interno
dei
quartieri
delle
città
libanesi
tra
i
sunniti,
contrari
al
regime
siriano
di
Bashar
al-Assad,
e
gli
sciiti,
storicamente
vicini
alla
famiglia
degli
Assad.
Le
prime
avvisaglie
di
scontri
settari
si
sono
levate
nelle
città
del
Libano
settentrionale
dove
è
concentrata
la
maggioranza
della
componente
sunnita
del
Paese;
non
è da
escludere
però
che
nelle
prossime
settimane
possano
estendersi
nel
resto
del
Libano.
Il
primo
grave
episodio
risale
al
12
maggio
scorso,
quando
nella
città
di
Tripoli
è
stato
arrestato
dalle
forze
di
sicurezza
libanesi
il
ventisettenne
islamista
sunnita
Shadi
Mawlawi,
messosi
in
luce
in
questi
mesi
come
fervente
critico
del
regime
di
Assad.
Mawlawi
è
accusato
di
aver
fornito
appoggio
logistico
e
dotazioni
militari
alle
azioni
compiute
in
queste
settimane
dalle
cellule
di
al-Qaeda
presenti
in
territorio
siriano.
All’arresto
hanno
fatto
seguito
violenti
scontri
in
due
quartieri
della
città:
Bab
Tabbaneh,
dove
la
maggior
parte
dei
residenti
è
sunnita,
e
Jabal
Mohsen,
in
cui
vivono
soprattutto
alawiti
vicini
al
regime
siriano.
Gli
scontri
sono
in
breve
degenerati
diventando
vera
e
propria
guerriglia
urbana
e,
nonostante
una
fragile
tregua
stipulata
tra
i
due
gruppi,
il
livello
della
tensione
cresce
giorno
dopo
giorno,
con
continui
sit-in
in
favore
della
liberazione
di
Mawlawi.
Il
secondo
grave
episodio
è
avvenuto
il
20
maggio,
quando
ad
un
check
point
militari
nel
distretto
di
Akkar
sono
stati
uccisi
il
clerico
sunnita
Ahmed
Abdul-Wahid
e lo
Sheikh
Mohammad
Hussein
al-Mereb,
entrambi
molto
vicini
all’organizzazione
Movimento
del
Futuro
(al-Mustaqbal)
guidato
dall’ex
Primo
Ministro
Saad
al-Hariri
(figlio
del
più
famoso
Rafiq
al-Hariri)
e
collegato
al
Al-Jama’a
Al-Islamiyya,
sezione
libanese
dei
Fratelli
Musulmani.
La
notizia
dell’uccisione
dei
due
importanti
esponenti
dell’universo
sunnita
libanese
ha
innescato
rivolte
durate
più
di
tre
giorni
in
tutta
la
provincia
di
Akkar
dove
a
pesare
ulteriormente
sono
stati
i
minacciosi
annunci
da
parte
di
altri
sheikh
sunniti
di
dare
vita
ad
una
vera
e
propria
forza
armata
di
liberazione
del
Libano.
A
tale
minaccia
la
mente
di
tutti
gli
osservatori
mediorientali
è
andata
alla
lunghissima
e
sanguinosa
guerra
civili
(1975-1990)
quando
il
Libano
diventò
terra
di
nessuno
innescando
una
lunga
serie
di
massacri
e
violenze
su
basi
etnico-religiose
compiuti
da
truppe
irregolari
riconducibili
alle
diverse
comunità
confessionali.
I
due
recenti
episodi
preoccupano
e
non
poco
per
la
futura
stabilità
del
Paese,
soprattutto
perché
appaiono
entrambi
opera
dei
servizi
segreti
libanesi
in
mano
alla
componente
sciita
e su
cui
la
Siria
ha
sempre
goduto
di
moltissima
influenza.
Non
può
e
non
deve
essere
sottovalutato
il
fatto,
riportato
da
fonti
attendibili,
secondo
cui
all’interno
dei
gruppi
di
sicurezza
libanesi
siano
stati
da
tempo
infiltrati
diversi
membri
provenienti
non
solo
dai
servizi
segreti
siriani
ma
anche
da
quelli
iraniani.
Queste
notizie,
da
considerare
molto
più
che
semplici
indiscrezioni,
sembrerebbero
avallare
la
tesi
che
vi
sia
un
ben
preciso
piano
elaborato
dagli
sciiti
libanesi
e
della
Siria
per
cercare
di
portare
azioni
mirate
sul
suolo
libanese,
soprattutto
con
la
volontà
di
assumere
il
totale
controllo
delle
province
nel
nord
del
Paese
per
così
interrompere
le
linee
di
rifornimento
risultate
in
questi
mesi
vitali
al
sostentamento
dell'insurrezione
siriana.
In
particolare
la
volontà
siriana
è
quella
di
dare
un
duro
colpo
all’approvvigionamento
dell’Esercito
libero
siriano
(FSA),
forza
irregolare
sunnita
di
opposizione
ad
Assad,
le
cui
roccaforti
sono
le
città
siriane
di
Homs
e
Hama,
ma
nelle
cui
fila
si
sono
arruolati
da
tempo
diversi
sunniti
libanesi.
Attraverso
l’utilizzo
delle
vecchie
rotte
usate
per
il
contrabbando
nella
valle
di
Bekaa,
il
FSA
ha
goduto
fino
a
questo
momento
di
ingenti
forniture
non
solo
di
armi,
ma
anche
di
cibo,
medicinali,
acqua
e
strumenti
determinanti
a
garantire
la
comunicazione
tra
i
diversi
gruppi
d’opposizione
al
regime
siriano.
È
inoltre
probabile
che
dietro
il
disegno
della
Siria
(o
dell’Iran?..)
si
celi
in
realtà
anche
la
volontà
di
esportare
il
conflitto
in
territorio
libanese
dove
assumerebbe
inevitabilmente
la
connotazione
di
guerra
settaria.
Un
tale
scenario
aiuterebbe
il
regime
alawita
a
distogliere
l’attenzione
internazionale
da
ciò
che
quotidianamente
avviene
in
Siria
e,
al
tempo
stesso,
metterebbe
in
guardia
gli
altri
Paesi
vicini
su
un
eventuale
contagio
delle
tensioni
interconfessionali.
In
questo
quadro
diventa
però
delicata
la
posizione
dei
principali
sponsor
dell’opposizione
al
regime
degli
Assad,
su
tutti
Stati
Uniti,
Arabia
Saudita
e il
Qatar
che,
convinti
di
poter
sgretolare
il
regime
siriano
dall’interno
senza
quindi
alcun
intervento
armato
come
invece
avvenuto
in
Libia,
in
questi
mesi
hanno
provveduto
a
rifornire
il
FSA
utilizzando
proprie
le
rotte
attraverso
il
nord
del
Libano.
Questa
strategia
rischia
ora
di
andare
incontro
ad
uno
stallo
che
potrebbe
risultare
determinante
negli
sviluppi
della
situazione
siriana
o,
scenario
ben
peggiore,
potrebbe
rivelarsi
un
boomerang
se
dovesse
emergere
che
eventuali
futuri
scontri
settari
siano
stati
compiuti
utilizzando
armi
fornite
da
potenze
esterne
al
Paese.
In
questo
senso
bisogna
tener
presente
che
molti
degli
aiuti
forniti
in
particolare
dall’Arabia
Saudita,
vanno
al
gruppo
guidato
da
Saad
al-Hariri
a
cui
sembrerebbero
essere
legati
anche
diversi
gruppi
salafiti
che
nell’ottica
di
Riyadh
dovrebbero
diventare
la
forza
di
contrasto
alle
milizie
sciite
Hezbollah.
Emerge
ancora
una
volta
nitido
il
complesso
intreccio
di
interessi
e
strategie
tra
attori
esterni
diversi
che,
come
già
più
volte
accaduto
nella
storia
del
Libano,
cercano
di
sfruttare
a
proprio
vantaggio
le
situazioni
di
instabilità
e
tensione.
Una
tattica
che,
anche
oggi,
se
ulteriormente
alimentata,
rischia
di
gettare
benzina
sul
fuoco,
andando
a
peggiorare
una
situazione,
come
quella
libanese,
in
cui
i
molti
odi
latenti
e
mai
dimenticati
attendono
solamente
il
giusto
pretesto
per
esplodere.
Molto
probabilmente
le
forze
siriane
non
riusciranno
ad
esportare
violenze
settarie
su
larga
scala
in
Libano,
tuttavia
è
possibile
che
le
crescenti
tensioni
di
queste
settimane
possano
alla
lunga
andare
a
toccare
i
già
delicati
equilibri
del
Libano.