N. 128 - Agosto 2018
(CLIX)
ANDREA GAUDENZI
IL
LAUREATO
-
PARTE
II
di
Francesco
Agostini
Due piccole curiosità sulla carriera del faentino. La prima è che Andrea Gaudenzi è stato uno dei pochissimi italiani a pregiarsi di aver sconfitto lo svizzero Roger Federer nella sua carriera.
Il
match
storico
è
andato
in
scena
agli
Internazionali
d’Italia
del
2002,
quando
l’italiano
surclassa
Re
Roger
con
un
pesantissimo
6-4,
6-4.
L’anno
seguente,
nel
2003,
Federer,
allora
numero
11
del
ranking,
vincerà
il
suo
primo
Wimbledon.
Qualche
giorno
dopo,
Gaudenzi
scriverà
ancora
una
volta
la
storia.
L’italiano
sarà
l’ultimo
tennista
che Pete
Sampras affronterà
nell’Open
di
Francia,
il
Roland
Garros;
l’unico
slam
che
‘Pistol
Pete’
non
riuscirà
mai
a
vincere,
non
portando
così
a
compimento
il
career
grand
slam.
Sulla
sua
tanto
amata
terra
rossa
Andrea
Gaudenzi
sconfiggerà
l’americano con
un
sudatissimo
3-6,
6-4,
6-2,
7-6
che
chiuderà
per
sempre
i
sogni
di
gloria
dell’americano.
Dopo
una
carriera
giocata
sempre
ad
alti
livelli
(Andrea
Gaudenzi
ha
avuto
come
best
ranking
il
numero
18
raggiunto
nel
1995),
il
faentino
intorno
ai
30
anni
inizia
a
mollare
da
un
punto
di
vista
psicologico.
Gli
ultimi
anni
si
snodano
tra
dolori
fisici
alla
spalla
e
una
tenuta
mentale
che
si
avvicina
oramai
a
quella
di
un
ex
giocatore.
È lo
stesso
italiano
a
raccontare
quello
stato
d’animo:
“Mi
ricordo
distintamente
della
sensazione
che
provai
a
Kitzbuhel
quando
giocai
contro
Goellner:
mi
faceva
piacere
quando
metteva
a
segno
un
punto.
Purtroppo
non
avevo
più
alcuna
voglia
di
vincere
e
capii
che
era
arrivato
il
momento
di
appendere
la
racchetta
al
chiodo.
Era
il
2003,
giocai
l’ultimo
torneo
a
San
Marino”.
A
quel
punto
il
faentino
capisce
che
oramai
il
tennis
è
qualcosa
che
appartiene
al
passato.
Quando
è
arrivato
il
momento
di
smettere
gli
atleti
lo
capiscono
al
volo:
è
una
questione
di
sensazioni,
di
odori,
di
emozioni.
Lo
sport
che
per
tanti
anni
si è
praticato
non
coinvolge
più
e
allora
è
meglio
troncarla
subito
lì,
evitando
un
doloroso
declino.
Per
un
atleta
quindi
si
apre
un’altra
fase
della
propria
vita.
Solitamente
la
maggior
parte
dei
giocatori
decide
di
continuare
nel
proprio
ambito,
diventando
magari
allenatori
di
qualche
nuova
promessa.
Ma
non
Andrea
Gaudenzi.
Lui
stesso
spiega
qual
era
stato
il
suo
percorso
da
giovane:
“Da
piccolo
ho
sempre
dato
importanza
al
sistema
scolastico.
Quando
mi
allenavo
assieme
ad
altri
tennisti
promettenti
al
centro
tecnico
federale
di
Riano
Flaminio
ero
l’unico
che
andava
al
liceo
scientifico
pubblico
e
non
studiava
in
forma
privata.
Devo
essere
sincero,
però:
se
ho
continuato
gli
studi
dopo
la
scuola
dell’obbligo
lo
devo
ai
miei
genitori
che
mi
hanno
spinto
in
quella
strada.
Sono
stati
loro
a
spingermi
a
prendermi
una
laurea.
E
così
mi
sono
iscritto
alla
facoltà
di
Giurisprudenza
di
Bologna,
all’inizio
per
rinviare
il
più
possibile
il
servizio
militare.
Poi
ho
continuato
prendendomela
comoda,
dando
due
esami
l’anno;
dopo
dieci
anni
mi
sono
finalmente
laureato”.
E
così,
con
una
laurea
in
tasca,
a 30
anni
Andrea
Gaudenzi
si
ritrova
a
dover
ricominciare
da
zero.
Ma
subito
dopo
il
torneo
di
San
Marino
l’italiano
è
già
pronto
a
ricominciare
con
un Master
Business
Administration alla
International
University
di
Monaco:
“Avevo
già
trent’anni,
eppure
la
mattina
mi
alzavo
come
se
fossi
uno
studente
come
tutti
gli
altri,
col
motorino
e lo
zaino
sulla
spalla.
Rimanevo
in
classe
otto
ore
al
giorno.
Il
primo
anno
è
stato
durissimo
perché
mi
sentivo
svantaggiato
in
tutte
le
materie
rispetto
agli
altri:
economia,
finanza,
statistica
e
matematica.
Era
una
sfida
e le
sfide
mi
sono
sempre
piaciute,
così
alla
fine
sono
uscito
con
voti
eccellenti
e ho
imparato
tante
cose
che
la
Giurisprudenza
non
mi
aveva
insegnato”.
Il
percorso
è
stato
complicato
e
pieno
di
sfide
ma
adesso
il
faentino
è un
business-man
e
opera
all’interno
di
una
startups
nel
settore
della
tecnologia.
Vive
a
Londra
e ha
la
bellezza
di
tre
figli.
Ed è
proprio
per
i
figli
e
per
il
loro
futuro
che
Gaudenzi
è
preoccupato:
“Attualmente
ho
due
figli
che
praticano
il
tennis
e
adesso
mi
rendo
conto
benissimo
che
per
un
ex
atleta
è
davvero
difficile
integrarsi
nel
mondo
del
lavoro.
Le
problematiche
sono
principalmente
due
e
appartengono
a
tutte
le
Nazioni
tranne
che
agli
Stati
Uniti
dove
gli
sportivi
sono
adeguatamente
supportati
dal
sistema.
Quando
inizi
hai
15-16
anni
e
viaggi
tantissimo,
per
cui
non
hai
il
tempo
materiale
per
studiare
e la
scuola
dovrebbe
cercare
di
facilitarti,
non
di
crearti
problemi”.
Poi
Andrea
Gaudenzi
scivola
nei
ricordi
personali:
“Quando
smetti
è
difficile
tornare
alla
realtà.
Quando
giochi
e
hai
raggiunto
certi
risultati,
sei
riconosciuto
per
strada,
coccolato,
hai
la
Mercedes
che
ti
viene
a
prendere
appositamente
sotto
l’hotel
a
cinque
stelle…
a
quel
punto
è
dura
perché
devi
ricominciare
completamente
da
zero.
I
primi
3-4
anni
della
mia
vita
dopo
il
tennis
sono
stati
veramente
duri
e ho
fatto
una
fatica
incredibile
ad
integrarmi.
È
stato
un
bagno
d’umiltà
enorme.
Forse
nel
calcio
le
cose
stanno
diversamente
perché
è un
sistema
più
vasto,
ci
sono
tante
squadre
e
organismi
e
quindi
esistono
tantissime
possibilità
per
riciclarsi
nello
stesso
modo.
Il
tennis
è un
ambiente
molto
più
ristretto
e le
possibilità
sono
minori.
Di
conseguenza
i
figli
è
meglio
che
pensino
prima
alla
scuola
e
dopo
allo
sport.
Giocare
a
tennis
è
meraviglioso,
ma
non
è
tutta
la
vita.
Una
volta
che
è
finito,
ne
inizia
un’altra
molto
più
insidiosa
e
difficile”.