N. 76 - Aprile 2014
(CVII)
Il tenente Mario Muccini
Il romanzo di uno “scalcinato” rivive per fare memoria
di Vincenzo Grienti
È
l’ottobre
del
1915
quando
il
tenente
Mario Muccini
viene
assegnato
al
147°
Reggimento
fanteria
della
Brigata
Caltanissetta
composta
per
la
maggior
parte
da
soldati
siciliani.
Lui,
un
livornese,
richiamato
alle
armi
come
ufficiale
di
complemento
alla
vigilia
della
Grande
Guerra,
proveniva
dall’88°
Reggimento
fanteria
Friuli.
È
una
storia
originale
quella
del
tenente
Muccini,
classe
1895,
e
per
questo
resta
degna
di
nota,
soprattutto
perché
oggi,
a
distanza
di
cento
anni
dalla
Prima
Guerra
mondiale
è
possibile
rileggere
senza
censura
il
suo
diario,
le
sue
lettere,
i
suoi
pensieri,
il
suo
percorso
e le
sue
riflessioni
sulla
guerra.
Oggi
è
possibile
grazie
alla
pubblicazione
del
libro
“Ed
ora
andiamo!
Il
"romanzo
di
uno
scalcinato”
curato
da
Sergio
Spagnolo,
studioso
di
eventi
della
Grande
Guerra
e
socio
dell’Associazione
Cime
e
Trincee
(ASCeT)
e
del
Gruppo
Ricerche
e
Studi
Grande
Guerra
della
Società
Alpine
delle
Giulie
Cai,
con
il
sostegno
della
Regione
Autonoma
Friuli
Venezia
Giulia,
e la
collaborazione
di
Fabrizio
Corso
e
Paolo
Seno
dell’ASCeT.
Nel
libro,
corredato
da
sei
ulteriori
appendici
mai
pubblicate
prima,
si
narrano
le
alterne
vicende
dell’ufficiale
che
arriva
in
zona
operazioni
mentre
imperversa
la
guerra
sul
Monte
San
Michele
nell’ottobre
del
1915.
Qui
Muccini
viene
subito
ferito
al
petto.
Le
descrizioni
delle
tragiche
condizioni
in
cui
attaccavano
i
soldati
italiani
in
quel
quadrante
operativo
viene
descritta
da
Muccini
con
lucidità
e
obiettività.
Appena
rimessosi
in
piedi
e
dopo
aver
passato
la
convalescenza
nella
sede
distaccata
della
Brigata
Caltanissetta,
a
Castrogiovanni,
l’odierna
Enna,
nonostante
il
parere
contrario
dei
medici,
Muccini
vuole
ritornare
al
fronte.
Nel
frattempo
il
suo
reggimento
si
era
spostato
in
Carnia.
Passato
indenne
dalle
maglie
della
censura,
molto
interessante
è il
riferimento
alla
fucilazione
di
Cercivento,
un
fatto
che
venne
reso
noto
solo
negli
anni
Settanta.
Sul
Pal
Piccolo,
dove
i
soldati
di
fanteria
siciliani
combattono
in
alta
montagna
insieme
agli
alpini,
Muccini
comanda
un
reparto
che
conquista
una
posizione
strategica
in
mano
agli
austro-ungarici:
la
Vetta
Chapot.
Per
questa
azione
viene
decorato
per
la
prima
volta
con
la
medaglia
di
bronzo
al
valor
militare.
Nel
novembre
del
1916
il
tenente
Muccini
torna
sul
Carso
a
Hudi
Log
–
Boscomalo
e a
Nova
Vas.
Qui
descrive
le
terribili
situazioni
in
cui
si
trovarono
i
militari
italiani:
la
vita
nelle
trincee
è
durissima.
Ci
si
poteva
muovere
solo
di
notte,
mentre
di
giorno
bisognava
restare
immobili
nel
fango
fino
al
ginocchio
e
dove
infezioni,
congelamenti
ed
epidemie
erano
all’ordine
del
giorno.
Particolarmente
toccante,
poi,
è il
racconto
dell’incontro
con
un
ufficiale
austriaco
ferito
a
morte
che
gli
affida
il
portafogli
da
spedire
ai
familiari.
Dopo
la
IX
battaglia
dell’Isonzo
la
Caltanissetta
cambia
nuovamente
settore
e
nel
gennaio
del
1917
viene
trasferita
sul
Monte
Mrzli
nei
pressi
di
Tolmin,
uno
dei
teatri
di
guerra
più
drammatici:
“Si
stava
come
le
rondini
appese
ai
cornicioni”
scrive
Muccini.
Qui
è un
continuo
susseguirsi
di
attacchi
e
contrattacchi,
vengono
utilizzati
i
gas
e i
lanciafiamme.
Muccini
rimane
intossicato,
ma
prima
di
perdere
i
sensi
riorganizza
i
soldati
dopo
una
esplosione
devastante
e
non
li
fa
disperdere.
Serra
i
ranghi
e li
fa
arroccare
nuovamente
non
perdendo
la
posizione.
Questo
gli
farà
“conquistare”
una
nuova
decorazione.
In
questa
circostanza
il
tenente
Muccini
descrive
particolari
inediti
della
guerra
e
pochi
noti
ai
cittadini
italiani
rimasti
in
Patria.
Ne è
un
esempio
la
distribuzione
delle
mutande
di
gomma
contro
i
gas
urticanti,
ma
anche,
purtroppo,
episodi
di
giustizia
sommaria
da
parte
di
ufficiali
verso
chi
si
rifiutava
di
andare
all’assalto,
ma
anche
di
suicidi
e
segni
di
squilibrio
anche
per
via
della
sospensione
dei
permessi
e
delle
licenze
ai
soldati
siciliani
per
paura
di
defezioni
e
diserzioni
una
volta
giunti
a
casa.
Insomma
una
condizione
difficile
per
la
brigata
in
cui
prestava
servizio
il
tenente Muccini
che,
il
24
ottobre
1917,
viene
letteralmente
travolta
perché
non
riesce
a
difendere
la
posizione.
Muccini
vede
morire
tra
le
sue
bracce
il
colonnello
Maurizio
Piscicelli,
una
delle
poche
medaglie
d’oro
al
valor
militare
concesse
in
quei
giorni.
Poi
inizia
la
grande
ritirata
attraverso
il
Friuli,
passando
per
Cividale,
Udine,
Campoformido,
Codroipo,
Avianno,
Pordenone,
Sacile.
Sono
i
giorni
in
cui
Muccini
scrive
di
un
esercito
allo
sbando
senza
nessuna
organizzazione
e in
alcuni
casi
protagonista
infelice
di
saccheggi,
violenze
e
diserzioni.
Una
brigata,
la
sua,
senza
controllo
né
disciplina,
che
verrà
sciolta
per
ignominia,
ma
ingiustamente,
e
per
le
troppe
perdite
subite.
Subito
dopo
Caporetto
Muccini
sarà
promosso
capitano
e,
essendo
il
147°
reggimento
dissolto,
viene
trasferito
per
breve
tempo
al
32°
“Siena”
e
all’88°
“Friuli”
e
infine
al
36°
“Pistoia”
dove
resterà
in
sevizio
fino
alla
fine
della
guerra.
Nel
primo
dopoguerra
consegue
una
laurea
in
giurisprudenza
nel
1920
e
una
seconda
in
lettere
nel
1923
mentre
lavorava
come
impiegato
alla
Banca
di
Modena.
Nel
1923
si
sposa
e
negli
anni
seguenti
diventa
papà
di
Franca
e
Annamaria.
Come
la
maggior
parte
dei
reduci
vedrà
in
modo
positivo
l’avvento
del
fascismo,
ma
in
una
frase
da
lui
scritta
nel
1954
viene
racchiuso
il
suo
pensiero:
“Sono
stato
fascista
come
tutti
gli
altri;
ora
non
lo
sono
più,
come
tutti
gli
altri”.
Nel
1930,
dopo
aver
intrapreso
la
carriere
dell’insegnamento,
diventa
preside
e,
nel
1936,
prefetto
della
scuola,
quello
che
oggi
potrebbe
essere
definito
il
Provveditore
agli
studi.
Viene
trasferito
in
molti
distretti
scolastici,
da
Trapani
a
Mantova,
Bergamo,
La
Spezia,
Palermo
e
Bologna.
Nel
1944,
con
la
Seconda
guerra
mondiale
ormai
conclusa
a
favore
degli
Alleati,
al
momento
della
nascita
della
Repubblica
Sociale
Italiana,
si
trova
a
Padova
dove
sceglie
di
continuare
a
lavorare
per
il
Ministero
dell’Educazione
Nazionale.
Per
tale
ragione,
finita
la
guerra,
subisce
il
processo
di
epurazione
da
cui
ne
esce
discriminato
e
reintegrato
in
servizio.
Nel
1948
è
provveditore
a
Savona,
poi
a
Grosseto,
a La
Spezia
e
infine
a
Venezia.
Morirà
a 66
anni
il 3
giugno
1961.
Oggi
il
suo
“diario
di
guerra”
che
racconta
le
sue
vicende
militari
nel
primo
conflitto
mondiale
è
acquistabile
con
un’offerta
per
scopi
di
beneficenza:
ricostruire
la
chiesetta
di
San
Luigi
costruita
dai
soldati
italiani
che
parteciparono
alla
Prima
Guerra
mondiale.
In
accordo
con
Annamaria,
la
figlia
di
Mario
Muccini,
si è
scelta
la
strada
di
un’iniziativa
benefica
senza
scopo
di
lucro.
Dopo
un
progressivo
abbandono
dal
1938,
anno
in
cui
furono
riesumati
e
traslati
nel
Sacrario
di
Oslavia
i
3546
caduti
che
riposavano
nell’antistante
cimitero
militare,
la
chiesetta,
ridotta
a
rudere
fu
localizzato
dai
ricercatori
Antonio
Scrimali
e
Pierpaolo
Russian.
Con
l’aiuto
del
Comune
di
Kanal
ob
Soci,
del
proprietario
del
terreno,
della
Sovrintendenza
ai
beni
culturali
sloveni
di
Nova
Gorica
e
della
scrittrice
piemontese
Maria
Luisa
De
Caroli,
figlia
di
un
ufficiale
medico
e di
un
gruppo
di
volontari,
l’area
antistante
è
stata
ripulita
e
protetta.
Ora
si
tratta
di
ristrutturarla
in
memoria
di
chi
ha
perso
la
vita
tra
le
trincee.