attualità
LE TECNICHE DEL TATUAGGIO
SUGLI STRUMENTI DEL MESTIERE DEI
TATUATORI / I
di Emanuel De Marchis
Una delle più antiche tecniche di
tatuaggio usate dall’uomo rimanda al
termine giapponese irezumi,
formato dall’unione delle parole
iru” (“inserire”) e sumi”
(“inchiostro”). Questo è peraltro a
volte sostituito dal sostantivo
horimono, che esprime il concetto di
“intagliare”. Tale particolare forma di
tatuaggio, che fino a qualche secolo fa
veniva praticata sul corpo dei criminali
o dei prigionieri di guerra, per
renderli riconoscibili a prima vista, ha
più volte variato forma nel corso del
tempo, non venendo più destinata a
schiavi, briganti e guerrieri, ma a
tutta la popolazione, quale
arricchimento estetico del corpo,
prendendo spesso spunto dai tradizionali
kimono giapponesi.
Entrando nel vivo dell’argomento,
sappiamo che nell’irezumi vi è un grande
uso di ideogrammi, di simboli floreali –
in primis fiori di loto e di ciliegio –
e di altre figure di vario genere, dai
draghi ai demoni, talvolta di natura
benefica e altre volte malvagia. Per
ottenere un buon risultato, il tatuatore
che pratica tale antica arte giapponese,
ispirata appunto alle fogge dei kimono,
deve ricoprire parti molto estese del
corpo, peraltro utilizzando un metodo
assai doloroso d’incisione del tessuto.
In compenso, lo stile di questa forma di
tatuaggio non ha eguali per quel che
riguarda precisione e cura dei
dettagli.
Non è cosa facile entrare nelle grazie
di un maestro tatuatore del Sol Levante,
ma nel caso ci si riesca, è bene sapere
alcune cose importanti, prima di
affidargli la nostra di pelle. Nel
dettaglio, per l’irezumi i tatuatori
usano bacchette, dette hari, che
possono essere di legno, avorio o bambù
e che hanno differenti dimensioni e
colori. All’estremità di ogni bacchetta
sono fissati da uno a trenta aghi, la
cui disposizione complessiva richiama
alla mente una lisca di pesce o un
pettine.
Per realizzare i contorni dei disegni si
utilizzano in genere bacchette con pochi
aghi, mentre per riempire le zone
interne e ottenere effetti sfumati si
usano strumenti che ne contengono un
maggior numero. Una volta posizionata la
punta della bacchetta sulla pelle, il
tatuatore inizia a imprimere il
tatuaggio colpendola con un martelletto,
finché, colpo dopo colpo, l’inchiostro
non penetra in modo soddisfacente. Il
tutto, facendo affidamento a grandi dosi
di pazienza: la realizzazione di un’irezumi
può infatti protrarsi giorni, e in
alcuni casi addirittura per mesi se non
anni.
Il temerario che decida d’intraprendere
questo lungo percorso tatuatorio, dovrà
essere ben conscio, come accennato, che
l’irezumi implica la sopportazione di un
dolore non indifferente, a fronte però
di una resa artistica di tutto rispetto.
E a proposito di artisti, quando si
parla di irezumi non si può non citare
il nome di Horiyoshi III (all’anagrafe
Yoshihito Nakano),
tatuatore nipponico, classe 1946,
considerato tra i più grandi maestri
contemporanei di tale arte. Si racconta
che a instradarlo verso l’irezumi
(di cui apprese la difficle tecnica nel
laboratorio di un altro leggendario
artista giapponese,
Yoshitsugu Muramatsu) fu, quand’era
ancora bambino, la visione di un
gangster con il corpo interamente
coperto di tatuaggi, tanto che pareva
avesse appunto un decoratissimo kimono
incollato sulla pelle.
L’uso di bacchette e martello,
nonostante lo sviluppo nell’ultimo
secolo delle macchinette
elettromeccaniche, è in auge ancora oggi
– pur con il ricorso a inchiostri di
nuova generazione, meglio tollerabili
dalla belle e complessivamente più
igienici – tra coloro che desiderano
ottenere un risultato dal sapore antico.
A tal fine, si utilizzano anche
strumenti non di origine nipponica, come
nel caso del cosiddetto “tatuaggio
siberiano”, per realizzare il quale si
usavano in principio bacchette ricavate
da ossa animali e lische di pesce. Tra i
nomadi siberiani il metallo era
d’altronde raro, così come presso altre
popolazioni legate alla storia del
tatuaggio, su tutte quelle polinesiane.
Anche per quanto riguarda gli
inchiostri, le antiche popolazioni
trovarono varie ingegnose soluzioni, tra
cui l’utilizzo dei residui della
bruciatura della resina degli alberi,
mischiata con altri tipi di
cenere. Prima di arrivare ai prodotti
certificati di oggi, si è inoltre
passati per tentativi estremamente
“tossici”, come l’uso della fuliggine
della gomma, ottenuta bruciando le suole
delle scarpe o pneumatici. Tale
escamotage, diffuso soprattutto nell’est
Europa, pare servisse a ottenere un nero
“perfetto”.
Seppure condizionato da tempi di
lavorazioni più lunghi, il cosiddetto
tatuaggio “a mano”, basato appunto sulle
tradizioni più antiche – fatta eccezione
per gli inchiostri – comporta una
tipologia di ferite la cui guarigione è
migliore rispetto a quella derivante dai
tatuaggi con macchinetta. L’ago della
bacchetta, infatti, non apre la pelle,
ma la spinge all’interno, con tutto
inchiostro, e così la ferita guarisce
prima.
Infine, va ricordato che, quando ci si
appresta a realizzare un tatuaggio a
mano, bisogna creare, per ogni disegno,
una serie personalizzata di aghi, ognuno
rispondente a una precisa necessità
lavorativa. Peraltro, la stesura di una
linea rimane ovviamente “grezza” se
messa a confronto con una macchinetta a
bobine, ma proprio ciò rappresenta
l’anima di questo tipo di tatuaggio la
cui origine risale alla notte dei tempi.
E chi oggi lo sceglie, lo fa proprio per
creare un legame col passato,
connettendo la propria storia personale
alla tradizione culturale insita nell’irezumi.
Tuttavia, per chi volesse una soluzione
più rapida e meno dolorosa, esiste
sempre la possibilità di realizzare un
tatuaggio irezumi tramite le moderne
macchinette. Il risultato non sarà
identico, ma il richiamo alla tradizione
sarà comunque ben evidente... su gran
parte del corpo.
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