filosofia & religione
RIFLESSIONI SULLA TECNICA
Parte II / HEIDEGGER E LA RICERCA
DELL’ESSENZA
di Raffaele Pisani
Se leggiamo qualche passo della sua
opera intitolata La questione della
tecnica, del 1953, dove il filosofo
tedesco parla dei modi tradizionali di
coltivare e di costruire per
contrapporli a quelli moderni, siamo
portati a giudicarlo come uno che cerca
in un passato idealizzato quell’armonia
tra attività umane e natura che, già ai
tempi in cui scriveva questo, era ormai
compromessa.
Vediamo qualche esempio: «La terra si
disvela ora come bacino carbonifero, il
suolo come riserva di minerali. In modo
diverso appare il terreno che un tempo
il contadino coltivava, quando coltivare
voleva dire accudire e curare. L’opera
del contadino non pro-voca la terra del
campo. Nel seminare il grano esso affida
le sementi alle forze di crescita della
natura e veglia sul loro sviluppo.
Intanto, però, anche la coltivazione dei
campi è stata presa nel vortice di un
diverso tipo di coltivazione (Bestellens)
che richiede (stellt) la natura.
Essa la richiede nel senso della
pro-vocazione. L’agricoltura è diventata
industria meccanizzata
dell’alimentazione».
Quanto al costruire, contrappone due
esempi significativi: il mulino a vento,
che adopera quella forza che la natura
dona spontaneamente, e la centrale
idroelettrica, che invece sottomette la
forza dell’acqua per le sue esigenze
produttive, facendo di un fiume o di un
bacino dei semplici accessori di una
centrale.
Del primo dice: «Le sue ali girano sì
spinte dal vento, e rimangono dipendenti
dal suo soffio. Ma il mulino a vento non
ci mette a disposizione le energie delle
correnti perché le accumuliamo». Della
seconda afferma: «La centrale
idroelettrica è impiantata (gestellt)
nelle acque del Reno. Questo è richiesto
a fornire la pressione idrica che mette
all’opera le turbine perché girino e
così spingano quella macchina il cui
movimento produce la corrente elettrica
che la centrale di un certo distretto e
la sua rete sono impegnati a produrre
per soddisfare la richiesta di energia.
Nell’ambito di questo successivo
concatenarsi dell’impiego di energia
elettrica anche il Reno appare come
qualcosa di bestellte, di
impiegato».
Questi tratti non ci devono portare a
conclusioni semplicistiche, il pensiero
di Heidegger è estremamente complesso e
nel corso del tempo ha subito un
cambiamento di direzione, la famosa
Kehre, che ha fatto molto discutere
gli studiosi.
Chi cerca nel suo pensiero ricette
pratiche per agire nel presente andrà
incontro a grandi delusioni. Se vogliamo
dire che è comunque una guida di
riferimento, non la dobbiamo intendere
come un binario che costringe in una
direzione, quanto piuttosto come un
punto luminoso nel cielo a cui ci si può
riferire.
L’accettazione entusiastica della
tecnica come il suo rifiuto sono
atteggiamenti che non colgono il cuore
della questione e, come dice lo stesso
Heidegger, ci mantengono allo stato di
prigionia. Si tratta invece di cogliere
l’essenza, solo così potremo procurarci
un rapporto libero con essa.
Martin Heidegger nacque nel 1889 a
Messkirch, si laureò in filosofia
dedicandosi ben presto alla carriera
universitaria; l’elenco delle sue
pubblicazioni è molto lungo e facilmente
reperibile. Ne L’essere e il tempo
svolge l’analisi dell’esistenza
dell’uomo, vale a dire di quell’ente che
si pone la domanda del senso
dell’essere. L’uomo è un Da-sein,
un esserci, è gettato in una situazione
e con essa si confronta. L’uomo è pure
in rapporto con gli altri e con il
mondo, Mit-sein e In der Welt
sein; si prende cura degli altri e
delle cose.
L’uomo che si rivolge esclusivamente
agli enti vive un’esistenza inautentica
legata al “si dice, si fa”, rimane
perciò sul piano ontico. Ma la
domanda originaria sul senso dell’essere
non trova risposta negli enti. Solo
affrontando l’angoscia di fronte alla
possibilità del nulla che si rivelano
essere gli enti, si vive quel distacco,
quella anticipazione della morte, che
introduce nel piano ontologico.
La metafisica occidentale secondo
Heidegger, da Platone a Nietzsche, è
frutto dell’oblio dell’essere, che è
anche oblio della differenza tra
l’essere e l’ente; la verità che i primi
filosofi avevano concepito come un
disvelarsi dell’essere, come
non-nascondimento, alétheia, è
diventata esattezza della
rappresentazione, Orthòtes. La
tecnica è quindi l’esito di questo
errore originario: l’uomo occidentale,
dimentico dell’essere si è dedicato
all’ente sviluppando oltre misura la
tecnica; questo però non è un felice
destino, donde la necessità di chiarire
il malinteso.
L’essere si manifesta nel linguaggio,
specie quello poetico, Heidegger ha una
particolare predilezione per Hölderin;
nell’arte in generale e nella tecnica
intesa nella sua essenza, di cui ci
proponiamo di chiarire qualche aspetto.
All’inizio del breve scritto di una
trentina di pagine sulla questione della
tecnica Heidegger così si esprime: «Noi
poniamo la domanda circa la tecnica
e intendiamo con ciò procurarci un
rapporto libero con essa. Tale rapporto
è libero quando apre il nostro esserci
all’essenza della tecnica. Se
corrispondiamo a tale essenza, ci
mettiamo in condizione di esperire la
tecnicità nella sua delimitazione».
Questo discorso iniziale trova la sua
esplicitazione verso la fine della
trattazione, ma procediamo nell’ordine
dell’autore.
Usualmente la tecnica è definita come:
attività dell’uomo, come mezzo in vista
di fini; Heidegger trova siano esatte
tali definizioni ma l’esattezza, come
abbiamo appena visto, non è
necessariamente la verità intesa nel suo
significato autentico e originario di
alétheia. Anche riguardo la
strumentalità e la finalità descritta
dalle tradizionali quattro cause
aristoteliche Heidegger compie un
radicale cambio di prospettiva.
Un artista che modella un calice
d’argento che dovrà servire per un rito
sacrificale è corresponsabile assieme
alla materia argentea, a una forma a cui
si riferisce per modellarlo e allo scopo
per cui l’oggetto è destinato. La
responsabilità, che non è di tipo morale
ma eziologico, è quella di lasciar
avanzare l’evento, lasciar apparire la
cosa.
Il moto che porta questa produzione,
questo schiudersi, questo venire alla
luce è in se stesso completo nella
natura physis, mentre invece
nella téchne, intesa come arte o
come tecnica, questo avviene con la
corresponsabilità dell’autore.
Le moderne tecniche industriali, di cui
abbiamo fatto cenno all’inizio, cosa
hanno in comune e in cosa differiscono
da quelle legate alla tradizione?
Nella loro essenza sono entrambe
disvelamento, è nel loro procedere che
differiscono. Alla produzione,
poiesis,delle seconde si contrappone
la provocazione delle prime. In queste
la natura è vista come un fondo,
giacenza Bestand a cui si può
attingere. Una cosa, anche la più
estetica è considerata in base alla suo
possibile impiego; fa il riferimento a
un paesaggio lungo il Reno, che anche se
in se stesso è pur un qualcosa, viene
visto solo in quanto utilizzabile, ad
esempio per l’industria delle vacanze.
L’uomo, l’ente che si pone la domanda
sul senso dell’essere, diventa egli
stesso in un certo senso fondo,
materiale umano; nel testo
heideggeriano c’è già l’espressione:
risorse umane. Nell’età della
tecnica moderna egli è provocato dal
disvelamento che porta a vedere la
natura come riserva, fondo. Questo lo
induce a costituire una scienza della
natura calcolante e misurante, nella
quale anch’egli è oggetto di calcolo.
La nascita della scienza nel senso
attuale avviene quasi due secoli prima
della relativa applicazione tecnica, è
ragionevole pensare che Heidegger si
riferisca in particolare alla Germania.
Se storicamente è avvenuto questo, ben
diverso è il discorso quando il
riferimento è all’essenza della tecnica.
Egli afferma: «La moderna teoria fisica
della natura non apre solo alla via
della tecnica, ma all’essenza della
tecnica moderna. Giacché la riunione
provocante nel disvelare impiegante
domina già nella fisica». Nel Seicento
la tecnica era già nata nella sua
essenza, i calcoli matematici e le leggi
della fisica erano già finalizzati a
misurare, a computare la natura come
fondo come risorsa.
L’uomo che nel suo essere nel mondo,
come abbiamo accennato sopra, ha il
compito di prendersi cura
dell’ente, ha finito invece per
provocarne drammaticamente l’usura.
Avevamo accennato come anticipazione al
rapporto libero dell’uomo con la
tecnica; ora che abbiamo capito la sua
essenza come disvelamento, sappiamo che
essa non è il risultato di un meccanismo
ineluttabile né il frutto della volontà
dell’uomo. Il disvelamento, di cui la
tecnica è parte, è secondo Heidegger un
destino e l’uomo diventa libero nella
misura in cui appartiene a tale destino.
Leggiamo: «È l’accadere del disvelamento,
ossia della verità, ciò con cui la
libertà ha una parentela più stretta e
profonda». Svelare è un’azione, un
dinamismo che libera da un diaframma, il
vero è tale nell’atto di liberarsi.
Il pericolo dell’errore, sempre presente
nell’uomo, riveste un carattere
particolare nel tempo in cui impera una
tecnica pro-vocante; questa può
mascherare il disvelamento in quanto
tale e indirizzarci solo sul disvelato
utilizzabile come fondo. Solo avendo
chiara l’essenza della tecnica ci si può
salvare. Essenza non intesa secondo la
tradizione: la quidditas che
permane al variare delle circostanze; il
significato autentico Heidegger lo scova
nel linguaggio poetico, precisamente in
Goethe, nel termine fortgewähren,
continuare a concedere. Heidegger ci
invita a considerare, più di quanto
finora abbiamo fatto, cosa sia che
davvero dura e afferma che «Solo ciò che
è concesso dura. Ciò che principalmente,
dall’origine, dura è quello che
concede».
L’uomo è posto davanti a un bivio che
conduce alla salvezza o alla rovina: «Da
un lato, l’im-posizione pro-voca a
impegnarsi nel furioso movimento
dell’impiegare, che impedisce ogni
visione dell’evento del disvelare e in
tal modo minaccia nel suo fondamento
stesso il rapporto con l’essenza della
verità. D’altro lato l’im-posizione
accade da parte sua in quel concedere il
quale fa sì che l’uomo – finora senza
rendersene conto, ma forse in modo più
consapevole nel futuro – duri nel suo
essere adoperato-salvaguardato per la
custodia dell’essenza della verità. Così
appare l’aurora di ciò che salva».
Riferimenti bibliografici:
Martin Heidegger, La questione della
tecnica, a cura di Federico
Sollazzo, trad. Gianni Vattimo, goWare,
Firenze 2017.
Karl Jaspers, La situazione
spirituale del tempo, pref. di
Armando Rigobello, Jouvence, Roma 1982.
Max Scheler, Essenza e forme della
simpatia, curatrice Laura Boella,
trad. Luca Oliva e Silvia Soannini,
Franco Angeli, 2012.
Michela Nacci, Tecnica e cultura
della crisi (1914-1939), Loescher
Editore, Torino 1982.
Bertrand Russell, Panorama
scientifico, trad. Emilio A.G.
Loliva, Laterza, Bari 1934. |